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Suzuki RGV 500 XR89

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È la meno potente fra le quattro cilindri, ma ha vinto il campionato mondiale 2000 della massima cilindrata, il più prestigioso e conteso. Come ha fatto? Noi l’abbiamo provata in Australia ed abbiamo scoperto il suo segreto

Il “tremendo” freno anteriore della RGV 500


di Alan Cathcart
, foto Paul Barshon

Missione compiuta! Dopo aver vinto quattro GP ed aver concluso la stagione 1999 al secondo posto della classe 500, Kenny Roberts jr. e la Suzuki RGV 500 XR89 sono riusciti a migliorarsi nel 2000: vincendo altre quattro corse, hanno conquistato il titolo mondiale con due gare d’anticipo, dimostrando una superiorità che notoriamente non deriva da una maggior potenza del motore, ma da un equilibrio generale che il pilota ha saputo sfruttare al massimo.


L’occasione di provare la moto campione del mondo della massima categoria è arrivata appena due giorni dopo la disputa dell’ultimo GP della stagione 2000, e mi è stata offerta sullo stesso circuito di Phillip Island che aveva siglato la conclusione del campionato vinto dalla Suzuki.




Un anno prima avevo avuto modo di provare la stessa moto, ma sul circuito di Jerez, ed il movimentato tracciato spagnolo mi aveva svelato il segreto della XR89, ossia una maneggevolezza straordinaria, sintesi del lavoro congiunto del pilota, degli ingegneri di Hamamatsu e dell’ingegnere di pista, che avevano messo a punto un telaio bilanciatissimo, decisamente superiore, in questo senso, a qualsiasi altro.

Un test a Phillip Island, pista invece molto veloce, mi è subito apparso come la miglior integrazione dell’esperienza fatta a Jerez, soprattutto per capire se l’agilità, la facilità di inserimento in curva e nei cambi di direzione, fossero stati ottenuti a scapito della stabilità e della competitività generale della moto sui tracciati dove le medie sul giro si fanno più elevate.






La Suzuki 500 GP non è una moto normale, ma un prototipo da Gran Premio in cui tutto è finalizzato alla competitività in pista, e poco o nulla alla raffinatezza estetica. Estetica, per i tecnici del reparto corse di Hamamatsu significa soprattutto aerodinamica, infatti le modifiche fatte alla carrozzeria della XR89 a fine ’99 sono state dettate non da un disegnatore in giornata di vena, ma da precise sperimentazioni nella galleria del vento, volte unicamente a ridurre l’handicap di velocità massima di cui la Suzuki soffre nei confronti delle concorrenti.

Stante un divario di potenza calcolato in circa 15 CV a 10.000 giri nei confronti del motore Honda NSR 500 ufficiale, il reparto corse si è concentrato soprattutto sul propulsore, che ad un occhio attento denuncia modifiche percepibili anche esternamente.

L’angolo fra i cilindri è infatti passato da 70° a 80°, una variazione apparentemente poco significativa, che però ha portato grossi vantaggi per la miglior sistemazione delle valvole lamellari.

La potenza è cresciuta, in un ambito compreso fra 5000 e 9000 giri, ma gli ingegneri della Suzuki sono stati estremamente attenti a non compromettere, lavorando sul motore, gli eccellenti risultati ottenuti sulla ciclistica.




Contemporaneamente infatti si è operato sul telaio, che fondamentalmente è rimasto lo stesso del ’99, almeno per quanto riguarda la geometria, ma con qualche modifica costruttiva. Più sensibili le differenze nella sospensione posteriore, che ha ora tre diverse possibilità di attacco del monoammortizzatore.



Il motore due tempi a quattro cilindri della Suzuki XR89 ha fatto sensibili progressi nel corso del 2000, con l’ampliamento del V fra i cilindri da 70° a 80°, un nuovo disegno delle luci, una nuova taratura della carburazione e dell’accensione.

Più che in potenza massima, il guadagno si è espresso nell’erogazione e nell’allungo: ora è possibile spingersi anche oltre i 14.000 giri, a tutto vantaggio della guidabilità, potendo, un simile allungo, evitare al pilota di dover cambiare in un momento critico e facilitando il controllo del mezzo.

Conciliare le esigenze del motore con quelle della ciclistica è la preoccupazione costante dei tecnici della Suzuki. Per migliorare l’efficienza della sospensione posteriore, che mostra i suoi limiti nelle staccate esasperate, si è provato ad esempio ad abbandonare la soluzione degli scoppi “big-bang” reintroducendo la classica fasatura a 180°, ma questa soluzione ha evidenziato carenze di potenza ai medi regimi, tanto che si è preferito ritornare al “big-bang”, senza esasperarlo però per non perdere in velocità massima.

Con questa fasatura, il freno motore nel rapido susseguirsi delle scalate in staccata è ancora eccessivo e fonte di un sensibile deterioramento del pneumatico.

La forcella Ohlins ha raggiunto un apprezzabile livello di efficienza e una taratura di massima sulla quale si interviene quasi solo per aggiustamenti in relazione al pneumatico adottato. Sulla Suzuki di Roberts si usa praticamente sempre, all’anteriore, la gomma di 17”, che dopo aver sperimentato in alcune piste anche la soluzione di 16,5”, è apparsa il compromesso migliore.


Motore: a 2 tempi, 4 cilindri a “V” trasversale di 80°, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 54 x 54,5 mm, cilindrata 499 cc; distribuzione a luci incrociate regolata dal pistone con valvole lamellari all’aspirazione e valvole elettroniche sullo scarico; alimentazione mediante quattro carburatori Keihin con diffusore di Ø 36 mm con powerjet. Accensione elettronica Nippondenso programmabile. Scarico a volume variabile a controllo elettronico.
Trasmissione: primaria a ingranaggi, finale a catena. Frizione multidisco a secco, cambio a sei marce.
Ciclistica: telaio a montanti diagonali in alluminio. Sospensione anteriore a forcella teleidraulica Ohlins con steli invertiti di Ø 42 mm; sospensione posteriore di tipo progressivo con monoammortizzatore Ohlins e forcellone oscillante in alluminio. Ruote: cerchi Marchesini in lega leggera pressofusa con pneumatici Michelin 12/60-17” anteriore e 190/67-16,5" posteriore. Freni: anteriore a doppio disco Brembo in carbonio di Ø 320 mm con pinze Brembo radiali a quattro pistoncini; posteriore a disco Suzuki in acciaio di Ø 210 mm con pinza Brembo a due pistoncini.
Dimensioni (in mm) e peso: interasse 1400 mm. Peso a secco 132 kg (con olio e acqua – senza carburante) distribuzione dei pesi: 54% ant; 46% post.
Prestazioni dichiarate: potenza oltre 180 CV (132,35 kW) a 12.500 giri. Coppia n.d.






La differenza fra una 500 GP e una SBK sta tutta nel rapporto peso/potenza, che fa sì che su una 500 tutto sembri accadere più velocemente, anche se il responso cronometrico dei tempi sul giro non evidenzia affatto tale abissale diversità.

Su una SBK tutti hanno l’impressione di poter gestire in qualche modo la potenza disponibile e di riuscire a sfruttare al massimo la forza frenante dei dischi in acciaio, coadiuvata dall’efficace freno motore tipico del quattro tempi.

Ben altra cosa è una 500 GP, dove i dischi in carbonio e il freno motore pressoché inesistente richiedono una sensibilità e un controllo del mezzo largamente superiori, inoltre al pilota sembra di essere costantemente al limite e anche oltre, creando una cortina di diffidenza che non è facile superare.




La qualità che subito mi ha impressionato favorevolmente guidando la XR89 è l’incredibile facilità di inserimento in curva e il buon feeling dato dalla forcella Ohlins, settata in modo ideale per la gomma Michelin di 17” anteriore.

La sensazione più negativa è invece venuta – come già l’anno scorso a Jerez – dalla perdita di stabilità nelle staccate esasperate. Kenny Roberts dice che non è un grosso problema: lui usa il freno posteriore prima di quello anteriore per limitare il trasferimento di carico, e sfrutta al massimo la stabilità in curva del telaio, che gli permette di percorre le traiettorie a velocità maggiore delle altre moto.

Ho provato a seguire queste indicazioni per errore, quando, nel secondo turno di prove, ho clamorosamente sbagliato il riferimento per la staccata in una curva e sono entrato a una velocità letteralmente da suicidio, accorgendomi che in realtà la moto accettava quel trattamento senza problemi e senza reazioni realmente pericolose. Il giro successivo sono entrato in curva alla stessa “folle” velocità. Ma l’ho fatto apposta...
Il “tremendo” freno anteriore della RGV 500
Alan Cathcart in ginocchio, Kenny Roberts sul trono...
Il “tremendo” freno anteriore della RGV 500

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