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Focus downsizing: perché la cilindrata delle moto continua ad aumentare

La cilindrata media delle automobili è drasticamente scesa negli ultimi 15 anni. Perché nelle moto accade il contrario?
"There's no replacement for displacement", dicono gli americani. Non c’è niente come un bel motore di grande cubatura: e basta vedere cosa ha prodotto la loro lunga tradizione nei V8 – o, sulle moto, nei V2 di grossa cilindrata, per capire il loro punto di vista.
Ma è veramente così? E perché allora negli ultimi anni in campo auto abbiamo assistito a una vistosa e radicale tendenza alla riduzione dei frazionamenti e delle cilindrate? V8 rimpiazzati dai V6 (persino in Formula1!), V6 o 6 boxer rimpiazzati da 4 in linea o 4 boxer e 4 in linea rimpiazzati da motori a tre cilindri o addirittura bicilindrici, che sulle quattro ruote non si vedevano dal Dopoguerra.

E perché invece le moto a ogni generazione guadagnano 50 o 100 centimetri cubici? Ducati ha lanciato i suoi bicilindrici sportivi in una cavalcata da 851 cc, 888, 916, 996, 1098, 1198 e 1284 cc prima di passare al V4, KTM è salita da 942 cc (950) a 999 (990), 1049 (1090), 1194 (1190), 1300 (1290) e attualmente 1349 (1390) cc, BMW ha portato i suoi boxer da a 797 cc a 980, 1.085, 1.130, 1.170, 1.254 e infine 1.300 cc.
In casa Honda, pur con motori radicalmente diversi, l’Africa Twin è stata 650 e 750 prima di rinascere a 1.000 e poi 1.100, Hornet e Transalp sono passate da essere circa 600 cc agli attuali 750 cc. Harley-Davidson rinnova i suoi motori ogni 10 anni o più, ma ogni paio di stagioni regala loro una manciata di cc e ormai sfiora i 2.000 cc con gli ultimi Milwaukee-Eight 121.
Potremmo andare avanti a lungo, ma la traiettoria è evidente e coinvolge tutti, in tutto il mondo. Come mai le moto e le auto si comportano in modo così diverso? Come mai, in particolare, l’auto ha imboccato con decisione la strada del downsizing e la moto invece quella dell’upsizing? Le ragioni sono diverse e intrecciate tra loro. Sono ragioni tecniche, normative ed economiche.

Il contesto: aspettative dei motociclisti
Per generazioni di motociclisti cresciuti truccando i loro cinquantini, ma anche per gli altri, l’idea del miglioramento attraverso la crescita è così radicata che ogni volta che qualcuno presenta un nuovo motore, una delle domande che immancabilmente gli si fanno è "c’è margine per crescere di cilindrata?"
Questo vale alla fine anche per gli automobilisti, e spiega perché si è iniziato a parlare di downsizing, parola nata negli uffici tecnici e di cui il marketing si è immediatamente appropriato perché risolve un problema non banale: quello appunto che la gente si è abituata alla crescita, e la "decrescita felice" è un concetto per nulla naturale nel motorismo, come non lo è nella vita in generale. Invece dici "downsizing" e le persone capiscono che gli stregoni dell’ingegneria hanno orchestrato qualcuna delle loro magie. Magari non ti piacerà, ma almeno stai a sentire.
E allora vediamo di che si tratta, facendo riferimento alle auto perché nelle due ruote l'unico caso evidente di downsizing è la MotoGP, che passerà nel 2027 da 1000 a 850 cc: non a caso una modifica che ha fatto molto discutere. Ma quello è un downsizing fatto apposta per ridurre le prestazioni, mentre il downsizing del mondo auto nasce per ridurre consumi ed emissioni, a prestazioni più o meno inalterate.

Diciamo subito che il downsizing è un modo per ottenere motori più efficienti. Vale a dire avere la stessa potenza – o meglio la stessa coppia – usando meno benzina. La preoccupazione per i consumi è una preoccupazione economica prima ancora che ambientale, ed è stata tipica dei Paesi privi di risorse come il Giappone e l’Italia – ma tutta l’Europa in generale – mentre ha solo sfiorato gli Stati Uniti, una prima volta con la crisi petrolifera del 1973 e più di recente come effetto indiretto della lotta alle emissioni di CO2.
Gli Stati Uniti hanno costruito la loro prosperità sulla disponibilità di materie prime a basso costo (lo stesso percorso che sta oggi facendo la Cina) e fra queste il petrolio è sempre stato una delle più importanti. Sappiamo intuitivamente che le automobili americane hanno sempre consumato più delle nostre, perché la loro benzina costa poco. Il consumo medio in USA nel 1966 era di 13,5 mpg, pari a 5,7 km/l: a spanne due o tre volte più alto delle auto italiane; e nonostante gli enormi progressi degli ultimi anni, siamo ancora attorno ai 10 km/l, il doppio di un normale Diesel e almeno il 50% in più di un’auto europea a benzina. Questo te lo puoi ovviamente permettere se la benzina costa poco:

Il costo reale della benzina in America è attualmente di circa 3 dollari al gallone, pari a 0,83 euro al litro. Se la benzina ti costa meno della metà che in Italia, anche se consumi il doppio stai comunque spendendo meno di un italiano. Pur partendo da livelli diversi, l’imperativo per tutti è stato quello di migliorare l’efficienza dei motori, il che significa in soldoni meno emissioni inquinanti e meno CO2, che puoi vedere da un lato in funzione dell’effetto-serra e dall’altro del portafoglio, perché meno CO2 significa meno benzina consumata dal motore.
Le tecnologie messe in campo per mitigare l’impronta ecologica dei veicoli a motore, preservando al contempo i consueti livelli di prestazione, includono l'ibridazione, le trasmissioni intelligenti e il downsizing tramite sovralimentazione. Quest'ultimo è forse il pezzo più importante nella strategia dell'industria automobilistica, perché la sovralimentazione, ovvero la pre-compressione della carica (o dell’aria) al di fuori del ciclo (fuori dal cilindro), è ormai ben conosciuta come mezzo per aumentare efficacemente l'efficienza termodinamica del motore.

Le ragioni tecniche: la sovralimentazione
Perché avviene questo? Fondamentalmente per due ragioni. La prima è che possiamo vedere un motore sovralimentato come un motore di grande cilindrata ma allo stesso tempo più piccolo. Un 1.000 con 0,3 bar funziona grossomodo come un 1.300 aspirato, ma ha dimensioni ridotte e tende a dissipare meno energia per attriti e dispersioni varie.
La seconda ragione è più strettamente termodinamica: e non è il fatto sempre ripetuto che nei motori turbosovralimentati si recupera energia dai gas di scarico. Questo è senz’altro un beneficio, ma in qualunque motore sovralimentato, anche per via meccanica (compressore trascinato dall’albero motore, come il Kawasaki H2) o elettrica (come il futuro Honda V3) il lavoro utile estratto dalla benzina è in generale maggiore rispetto al lavoro utile di un motore aspirato.
Questo perché la sovralimentazione “gonfia” il ciclo di lavoro del motore, che è legato appunto al lavoro utile. L’aumento della pressione massima comporta un aumento delle sollecitazioni, comunque inferiore all’aumento del lavoro utile: tanto è vero che si può ridurre il rapporto di compressione fino a riportare la pressione massima nel cilindro al livello di quella del motore aspirato di partenza, ottenendo comunque più lavoro, e quindi un maggior rendimento.

Gli interventi per sovralimentare un motore non si limitano comunque all’inserimento della girante del compressore. La girante ha bisogno di essere azionata e questo richiede o una turbina, o un comando meccanico o un comando elettrico con la relativa complessità (tubazioni di scarico, materiali speciali, cinghia o catena o epicicloidale, batteria e alternatore maggiorato, ecc.).
Ma bisogna anche fare in modo che la macchina rotante funzioni in un regime fluidodinamicamente accettabile, inserendo quindi elementi “correttivi” come le valvole pop-off, blow-by e via dicendo. E bisogna garantire che il motore sovralimentato funzioni correttamente modificando la fasatura e l’iniezione per tener conto della maggior portata d’aria disponibile, riducendo il rapporto di compressione per evitare il rischio di detonazione e potenziando il raffreddamento per smaltire il maggior calore prodotto, a volte introdurre un intercooler per raffreddare l’aria dopo che, comprimendola, si è scaldata e quindi espansa di nuovo. Insomma, un grande lavoro di messa a punto che si aggiunge quindi ai costi della componentistica.
Sulle auto c’è poi stato un lavoro ancora più grande sulla combustione: miscele molto magre, accensione controllata, motori a benzina a iniezione diretta e throttle-less che funzionano quasi come Diesel – e che come i Diesel richiedono sofisticati sistemi di trattamento dei gas di scarico. Sono motori che tendono a funzionare bene in condizioni stazionarie e perdono brillantezza, che viene recuperata con la sovralimentazione, col supporto di un motore elettrico (ibridazione) o con entrambe le cose. Di nuovo, costi che si aggiungono a costi e si giustificano solo per motori prodotti in grandi volumi, per fare grandi percorrenze.

Meglio sovralimentare o aumentare la cilindrata?
I limiti del downsizing non sono insomma tanto tecnici quanto economici. Quando la complessità del motore aumenta così tanto, ha senso soltanto per motori di un certo pregio e che possibilmente percorrono molti chilometri, in modo che il gioco valga la candela. Se guardiamo ad esempio le turbine delle centrali elettriche, che producono migliaia di kW per migliaia di ore l’anno, hanno una complessità impiantistica elevatissima, ma giustificata dal fatto che miglioramenti di efficienza anche dello 0,1%, moltiplicati per quella taglia e quel fattore di utilizzo, diventano significativi. Ma per un motore, spesso la soluzione più efficace per recuperare prestazioni e a volte anche efficienza è aumentare leggermente la cilindrata.
Il vero problema dei motori downsized, in campo moto, è infatti la concorrenza dei motori aspirati. Un motore downsized costerà sempre più – spesso molto di più – dello stesso motore portato a una cilindrata un po’ più grande. Suzuki ha presentato qualche anno fa un twin 500 sovralimentato, che probabilmente avrebbe funzionato benissimo: il problema è che avrebbe avuto più o meno le prestazioni del suo attuale bicilindrico 800 con una complessità e un costo (anche in termini di manutenzione) ben superiori. Si parlava di 100 CV a 8.000 giri e 100 Nm a 4.500 (contro gli 83 CV a 8.500 giri e 78 Nm a 6.800 giri delle GSX-8), ottenuti con un semplice monoalbero 2 valvole per cilindro. Sulle moto, dove la tecnologia degli alti regimi si è sviluppata presto e con grande efficacia, un motore sovralimentato rappresenta infatti di solito un “passo indietro” in termini tecnologici: basti vedere il motore Kawasaki H2, con rapporto di compressione 9,3:1 e distribuzione a bicchierini.

Ecco perché non vediamo il downsizing: perché non conviene a nessuno, su veicoli che fanno così pochi chilometri. In questo senso, per le moto vale assolutamente il detto "There’s no replacement for displacement". Anche nella fascia premium, dove questi costi sarebbero affrontabili, c’è da fare i conti con le aspettative dei consumatori: quando ha messo mano all’erede della K 1300, BMW ha fatto un sondaggio tra i possessori chiedendo se avrebbero preferito un 3 in linea sovralimentato o un 6 in linea. Il risultato lo potete immaginare.
Eccolo qua il paradosso: il downsizing sarebbe più interessante sui motori piccoli e di grande percorrenza diffusi nei Paesi in via di sviluppo, che però non se lo possono permettere. Dei circa 100 milioni di due ruote a motore prodotti e venduti ogni anno, circa il 95% ha un motore monocilindrico sotto i 200 cc, un tipo di propulsore per il quale la sovralimentazione è fuori portata: basti dire che un motore da moto indiano completo di questo tipo costa circa 100 dollari. Se esistesse una soluzione a bassa tecnologia e basso costo, le cose cambierebbero; ma i tentativi fatti finora, come il Drum Charger, non sono stati raccolti dalle Case.
Veniamo allora ai pochissimi motori sovralimentati moderni apparsi sulle moto. Il recente e chiacchieratissimo Honda V3 con sovralimentazione elettrica è una forma di downsizing? Possiamo dire di sì, anche se in modo indiretto: è un 8-900 con prestazioni annunciate pari a un motore ben oltre 1.000, perlomeno nei transitori visto che la sovralimentazione sembra dover essere, come abbiamo già spiegato, "a tempo parziale". E giusto per tornare un momento ai temi più tecnici, questo lascia un forte interrogativo sul rapporto di compressione al quale questo motore dovrebbe funzionare, perché come abbiamo detto un motore aspirato ad alte prestazioni viaggia a 12,5:1 o oltre, mentre un motore sovralimentato raramente supera i 10:1. Potrebbe essere un motore con compressione variabile, ottenuta magari agendo sulla fasatura? Tutto è possibile, ma sarebbe un ulteriore elemento di costo e complessità.

Anche il Kawasaki H2 è un downsizing un po’ obliquo: funziona come un 4 in linea da 1.300 o 1.400 cc… a patto che sia costruito con la stessa tecnologia. Perché 200 CV posso farli anche con un 4 in linea da 1 litro – pur di adottare misure più superquadre, distribuzione a levette oscillanti, organi meccanici alleggeriti e tutto quello che vediamo, ad esempio, sui motori BMW M 1000 RR o Honda CBR1000RR-R. Ma l’erogazione sarebbe comunque diversa; e soprattutto sarebbe diverso il ritorno di immagine, su cui Kawasaki conta molto.
Kawasaki comunque ha fatto vedere quello che finora è l’unico vero esempio di downsizing nelle moto, segnalandolo fin dalla sigla: le Ninja 7 Hybrid e Z 7 Hybrid, che nonostante quel “7” non sono 700 ma 450 di cilindrata. Il fatto è che subito dopo quel 7 troviamo la parola “Hybrid”, che ci porta immediatamente al mondo del motore elettrico, batteria, inverter e via dicendo; in realtà però il primo risultato ottenuto da Kawasaki è quello di realizzare con un motore 450 una moto che ha lo spunto di un 1.000 e in molte situazioni consumi da 250 (che abbiamo peraltro verificato): esattamente lo scopo del downsizing.
Un caso insomma da manuale, di cui forse si è discusso poco appunto perché realizzato non con la turbosovralimentazione ma con la tecnologia elettrica. Quando alla guida si preme il tasto “Boost”, però, la distinzione assolutamente scompare, perché quel che conta è la spinta che si avverte: che è una spinta sempre presente e tutt’altro che da twin 450.

Le ragioni normative ed economiche
La Kawasaki è perfetta? No: per molti versi è ancora acerba, come abbiamo sottolineato nelle nostre prove. Tuttavia rappresenta una strada interessante, a cui non si era più di tanto pensato, per fare downsizing. E del resto se consideriamo i costi della sovralimentazione con compressore (complessità impiantistica, girante, organi di intercettazione, calibrazione motore – anche senza contare l’eventuale turbo), a maggior ragione se pensiamo a una sovralimentazione elettrica come ha fatto Honda (batteria o supercondensatore, alternatore maggiorato, ecc.), allora questo tipo di sovralimentazione per via "ibrida" ha molto senso, e il downsizing può riservare ulteriori benefici come la possibilità di marciare per brevi tratti a bassa velocità in elettrico, utile ad esempio nei centri urbani.
E qui veniamo all’altro risvolto del problema. La mobilità pesa tra un quinto e un quarto nel quadro complessivo delle emissioni, sia di inquinanti primari che di CO2, e le normative di tutto il mondo da ormai mezzo secolo lavorano per spingere le Case a ridurre la loro impronta emissiva. Arrivati al limite di quello che potevano fare con catalizzatori, sistemi di ricircolo (EGR) ma anche cambi automatici, start&stop e via dicendo, i motoristi hanno cominciato a pensare a motori più piccoli con maggiore densità di potenza. Motori che essendo più compatti e magari con meno cilindri avessero meno perdite termiche, meno attriti interni e fossero più leggeri, consentendo di risparmiare peso e ingombro sulle auto (questo poi mal si sposa con la richiesta di auto sempre più grandi e accessoriate, ma gli ingegneri cercano di metterci comunque una pezza).
È a partire più o meno dal 2010 che, per effetto di queste spinte, legate anche al tipo di ciclo di omologazione, inizia a diffondersi la pratica del downsizing: le generazioni di motori che sostituiscono quelli esistenti diventano sempre più piccole, il ricorso alla sovralimentazione e all’iniezione diretta si estende dal Diesel al benzina e diventa possibile realizzare combinazioni fin lì inconcepibili, tipo tricilindrici da 1 litro che muovono berline di alta gamma (il Ford T3 1.0 Eco-Boost sulla Ford Mondeo, il Fiat GSE/Firefly T3 1.0 sulla Jeep Renegade e T4 1.3 sulla Jeep Compass e Alfa Romeo Tonale, eccetera).

Le auto, però, sono tante e percorrono tanti km mentre le moto, come abbiamo già detto, di strada ne fanno poca e – almeno in Occidente – solo per diporto: per cui su di loro la normativa ha sempre chiuso un occhio, come pure le amministrazioni locali che spesso le fanno entrare nei centri storici e nelle corsie preferenziali. Di nuovo, quindi, non c’è spinta normativa verso il downsizing, così come non c’è spinta tecnica per via dei costi.
Al contrario, sappiamo che la crescita delle cilindrate negli ultimi anni è stata in parte dettata dall’esigenza di mantenere inalterate le prestazioni a fronte di normative più restrittive: la Honda Africa Twin che passa da 1.000 a 1.100 come pure la Versys di Kawasaki, che ha anche portato il suo twin 400 a 450 cc; ci sono poi le tante 650 cresciute a 700 e tutte le maxi di BMW e KTM che abbiamo già elencato. È quel che dicevamo: per i motoristi la prima soluzione è sempre un aumento della cilindrata. Ed eccoci dunque con il contrario del downsizing, l’upsizing.
In sintesi, normative più o meno simili si sono tradotte in spinte opposte sulle auto, che hanno imboccato la via del downsizing, e sulle moto che hanno imboccato quella dell’upsizing. Bisogna comunque dire che, come abbiamo visto, a tirare sono sempre i gusti dei consumatori: e tra i motociclisti un po' di stanchezza per questa continua crescita di cilindrata e dimensioni sembra iniziare a trasparire.

Il futuro: moto con motori più piccoli?
È dunque possibile che nei prossimi anni vedremo cilindrate più piccole; o più facilmente vedremo, come sta già avvenendo, modelli più piccoli sostituire modelli più grandi: Yamaha ha oggi la Tracer 9 al posto della FJR 1300 e la Ténéré 700 al posto della Super Ténéré 1200, e un po' tutti stanno potenziando l’offerta nella fascia bassa e media piuttosto che in quella alta.
Del resto anche tra le auto non tutti sono entusiasti del downsizing e ci sono vistose eccezioni come quella di Mazda, che sulle sue vetture di classe media e medio-alta sta proponendo dei Diesel a 6 cilindri da 3,3 litri e dei benzina aspirati da 2,5 litri (che hanno appena sostituito i precedenti 2 litri), assistiti da una serie di tecnologie interessanti come la combustione HCCI, una specie di “ibrido” tra benzina e Diesel.
Insomma il downsizing è come abbiamo visto una risposta tecnica – e in parte anche del marketing – a esigenze ben precise. Una risposta: il che non vuol dire l’unica: fortunatamente tra le moto la libertà tecnica, nei limiti dei vincoli di costo, è ancora piuttosto alta. Noi pur ammirando le prestazioni, le dotazioni e l’equilibrio delle maxi di ultima generazione, sinceramente facciamo il tifo per moto un po' più piccole e leggere, e magari meno costose, anche a prezzo di qualche cavallo in meno. Vedremo cosa dirà il mercato nei prossimi anni. Ci rivediamo a parlarne nel 2030, quando anche la MotoGP da 850 cc sarà ormai consolidata.

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