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Trump, l’Harley-Davidson, i dazi e l’Unione Europea: chi vince e chi perde
La strategia della casa di Milwaukee, che aveva spostato parte della produzione in Thailandia, per evitare i dazi d’importazione UE, è stata sconfessata dall’ultima sentenza della Corte di Giustizia Europea. Come risponderanno gli USA?
La recente vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d'America ha riportato nel dibattito pubblico l’argomento dei dazi e della guerra commerciale. Un esempio lampante di quali possano essere le conseguenze di questa “autarchia moderna” è il caso che sta contrapponendo da anni Harley-Davidson e l’Unione Europea.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando bisogna fare un passo indietro nel tempo, fino al dicembre 2016, quando Donald Trump salì al potere per la prima volta negli Stati Uniti, e fin da subito mise in pratica alcune misure economiche volte a proteggere le aziende americane nei confronti di quelle europee.
Per questo diede il via ad una guerra commerciale, in cui molti prodotti e materie prime europei furono soggetti a dazi e tariffe d’importazione molto elevati. La risposta dell’Unione Europea fu la stessa, e in questa guerra commerciale i grandi marchi motociclistici, europei e d’oltreoceano, furono tra i più colpiti.
Harley-Davidson, per cercare di aggirare le normative che imponevano gravi imposte sull’importazione delle moto americane, decise di spostare parte della produzione fuori dagli Stati Uniti, più precisamente in Thailandia, paese che non era interessato dalle extra tariffe UE.
L’Unione Europea però non si fece trovare impreparata e decise di citare in giudizio il costruttore americano, sostenendo che la strategia di delocalizzare la produzione mirava solo ad evitare i dazi doganali in vigore. Dopo varie sentenze del Tribunale dell'Unione europea, il processo è arrivato fino alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, che lo scorso 21 novembre si è pronunciata ancora una volta contro Harley -Davidson, sancendo che “le operazioni di lavorazione effettuate in un paese o territorio non siano da considerare economicamente giustificate se, sulla base dei fatti disponibili, risulta che l’obiettivo principale o prevalente del trasferimento della produzione da un paese (Stati Uniti d’America) in un altro (Thailandia) è stato di evitare, l’applicazione di misure di politica commerciale introdotte dalla UE. Spetta, invece, all’operatore economico provare che esiste un motivo plausibile che induca a ritenere che lo scopo principale o dominante dell’operazione non fosse quello di conseguire un risparmio daziario”.
A sostegno delle proprie argomentazioni circa la sussistenza di una pratica “elusiva”, la Corte ha richiamato l’attenzione sulla “sussistenza di una “coincidenza temporale” tra la decisione di delocalizzazione delle operazioni in Thailandia, da parte della Harley-Davidson,e l’adozione, da parte della UE, dei dazi supplementari; questa circostanza, ad avviso della Corte, fa presumere che la delocalizzazione sia stata una decisione attuata al solo fine di evitare l’applicazione di tali misure daziarie”.
Questa decisione mette ora nei guai Harley-Davidson, in un momento in cui il produttore americano stava migliorando le vendite realizzate nel 2023, ma anche altri marchi come Indian o Zero, e allo stesso modo potrebbe colpire i marchi europei se la guerra commerciale si intensificasse.