Attualità
Ritorno al passato: 1985-1995, l'età dell'oro del design motociclistico?
Perché le moto di 30 anni fa piacciono ancora così tanto? Lo stesso non sembra succedere né con altre epoche storiche né con le auto. Abbiamo chiesto a quattro grandi designer attivi oggi e allora cosa ne pensano
Lo spunto arriva dai ragazzi di oggi che, arrivati all’età del 50 e del 125, cominciano a guardarsi attorno e restano ancora folgorati dalle moto che guardavo io alla loro età. Moto di marchi che in molti casi nemmeno esistono più, come la Cagiva Mito o la rara Gilera SP-01 che si trova quasi solo da collezione, oltre alle Aprilia RS ed RX 125, rigorosamente di quegli anni.
Questione di potenza, certo, perché le 125 4T di oggi hanno, ben che vada, metà dei cavalli e della personalità motoristica di quelle 2T. Ma mi sono accorto che anche le loro linee piacciono ancora, sinceramente e addirittura visceralmente. Come mai, mi sono chiesto, visto che a me le 125 degli Anni 50 e 60 (20 o 30 anni prima della mia adolescenza) facevano semplicemente spavento, e non mi sarei fatto vedere in giro su una di quelle nemmeno morto?
A pensarci bene non sono soltanto le 125 che continuano a piacere. È perfettamente normale vedere in giro motociclisti orgogliosamente Euro0 a bordo di Honda Africa Twin 650 o 750, Transalp 600, Ducati 916 e Monster, BMW R 100 GS, qualche Yamaha Ténéré 600 o Honda XL 600 Paris-Dakar, qualche Cagiva Elefant 750 – 900. E anche se non si vedono spesso in giro, fanno ancora sangue le Honda RC30, RVF750, CBR900RR, Kawasaki ZXR750R, Suzuki GSX-R. Non è solo questione di youngtimer: sono moto tuttora affascinanti.
Lo stesso fenomeno peraltro non sembra accadere per le auto. C’è ben poca passione per la Fiat Uno, la Lancia Y10, ma anche la Delta, la Peugeot 205, le vecchie Golf, le vecchie BMW, salvo qualche eccezione supersportiva. Come si spiega questo divario in oggetti che sono pur sempre veicoli concepiti e disegnati nello stesso periodo storico? Lo ho chiesto ad alcuni designer attivi in quel periodo, e che quasi sempre sono al lavoro ancora oggi, che mi hanno dato davvero tanti spunti per capire.
Miguel Galluzzi
Miguel Galluzzi, argentino, studi in USA, dopo un breve periodo in Opel si è sempre dedicato alle moto. Nel 1988 è in Honda e dal 1989 ha lavorato per il Gruppo Cagiva disegnando la prima Ducati Monster, la Cagiva V-Raptor e molte Husqvarna. Dal 2006 il responsabile dello stile Aprilia, è oggi direttore dell'Advanced Design del Gruppo Piaggio.
Trent’anni fa le cose erano rovesciate rispetto a oggi. A quell’epoca l’industria dell’auto in quell’epoca era divisa in mercati stagni, e direi anche stagnanti: Ricordo che Opel, allora parte dell’americana GM dove iniziai a lavorare nel 1986 faceva una vettura nuova ogni 10 anni, un “major facelift” ogni 5 anni e un “minor dace lift” ogni 2/3anni. II Giappone era l’unico che creava e innovava, anche per ragioni tecniche perché il loro ciclo di prodotto era ormai diventato la metà di quello tempo europeo e americano: facevano un’auto nuova in 4-5 anni anziché in 8-10. Detto in altre parole, il Giappone andava al doppio della velocità.
L’America stava peggio di tutti, ridotta all’esercizio di brandizzare macchine uguali con marchi differenti. Una versione povera delle piattaforme di oggi. Per questo i giapponesi si stavano impadronendo del mercato americano ed erano pronti ad affrontare Mercedes e BMW (Audi non esisteva) nel segmento premium con Lexus e Acura, le loro divisioni di lusso appena nate. Regnava la rigidità: il design era parte del processo, il ciclo di prodotto non si toccava! Soltanto i designer indipendenti riuscivano a uscire dal coro, ma comunque solo quando la politica interna alle Case non gli tarpava le ali.
Al contrario, le Case moto erano più dinamiche. Anche qui era il Giappone a dettar legge, ma in Europa e principalmente in Italia c’erano realtà piccole, reattive, desiderose di crescere e senza paura di stravolgere le regole e innovare. Per questo in quel periodo sono nate da quella competizione moto bellissime che ancora ricordiamo, e dalla stasi del mondo auto automobili mediocri.
Rodolfo Frascoli
Rodolfo Frascoli ha iniziato a disegnare moto da giovanissimo: prima per Piaggio, Gilera, Moto Guzzi, Aprilia, Moto Morini nello studio Marabese Design e poi per quasi tutti i marchi del mondo come designer indipendente. Sono uscite dalla sua matita la Moto Guzzi Griso, la Vespa GT, la Triumph Trident 660 e tanti altri successi in mezzo mondo.
Le belle moto di quegli anni erano belle senza bisogno della drammaticità che il design di oggi insegue a tutti i costi: avevano un linguaggio formale più semplice e comprensibile, che si traduceva in un’immediata empatia. Non ricordo che in quegli anni servisse "spiegare" più di tanto lo stile di una moto. Al contrario, la complessità senza funzione – spesso sbandierata come sofisticatezza – di tante nuove proposte confonde e allontana l’appassionato.
Anche le auto avevano linguaggi formali più semplici ed immediati: ma perché affascinano meno di allora? Ci sono molte ragioni. Non solo il progresso tecnico che permette un trattamento più sofisticato delle lamiere o la libertà concessa dai fari LED, ma anche vetrature sempre più ridotte alla ricerca di un’immagine dinamica e aggressiva, e di un senso di maggior protettività. Per non parlare delle ruote: sulle auto di allora si andava dai 13" (!) ai 16-17", e il tuning aveva gioco facile a proporre misure “spaziali” come il 18". Oggi siamo al 22" sulle auto di serie! Questa escalation è frutto dell’insistenza dei designer più che degli ingegneri: un’auto fa sempre più colpo se ha le ruote grandi, perché è un modo facile di aggiungere sportività (termine presente in TUTTI i briefing, un’altra grande differenza risposto ai briefing degli Anni 90), presenza scenica, sensazione di essere incollata a terra, carrozzeria più slanciata e via dicendo.
Quello che è più cambiato sono però le dimensioni. Un’auto del segmento C oggi sarebbe una B, per non parlare dei SUV ( la Range Rover prima serie in commercio fino a fine Anni 90 era lunga 4.400 mm e larga 1.780, quella di oggi supera i 5 metri e i 2 di larghezza!). Nelle moto, invece, questo trend si vede quasi soltanto nelle crossover e Adventure, inaugurato da BMW e cavalcato dai cinesi: una Yamaha XT 600 Ténéré o una Honda XL 600 Paris Dakar – le prime col serbatoio maggiorato, grandi per l’epoca – scompaiono vicino a una BMW R 1300 GS Adventure o una Triumph Tiger 1200 Explorer.
Tutto l’importantissimo mondo delle sportive, e delle naked che ne sono derivate, non ha però seguito questa strada. Una Honda RC30 ancor oggi è perfettamente “in scala” in pista; una 916, una CBR o una GSX-R non avevano interasse e dimensioni generali poi tanto differenti da una odierna Panigale V4. Le leggendarie 125 2 tempi ispirate alle corse erano forse grandicelle per allora, con pneumatici posteriori degni di una 600 (un capriccio stilistico di noi designer, mentre gli ingegneri giustamente volevano pneumatici più stretti e proporzionati alle prestazioni); ma molto simili per interasse (circa 1.350 mm) e quote ciclistiche alle 125 sportive di oggi. Che sono però molto più lente per le restrizioni di legge; e a volte anche più piccole, se derivate da piattaforme sviluppate per i mercati asiatici: si capisce perché i ragazzi di oggi sognino ancora le 2T. Ma questo è un capitolo a parte.
Le regole per le sportive sono insomma rimaste le stesse, mentre nell’auto si è ormai affermato il trend "più dimensioni = più prestazioni". Tra le quattro ruote la mutazione dimensionale è vistosissima, e avrete sicuramente incrociato in strada auto che negli Anni 90 erano strepitose mentre oggi sono, semplicemente, troppo piccole: supercar incluse.
Lo stesso è accaduto agli scooter, da sempre le due ruote che seguono più da vicino i trend dell’auto: e infatti tanto era bella la Vespa 125 ET3, tanto risulta "fuori scala" nel traffico di oggi, tra scooter che neanche più chiamiamo “maxi” perché sono la normalità, e hanno ruote da 14", 16" o addirittura 17" contro i 10" della Vespa classica.
Nelle moto stradali, invece, dopo gli esperimenti primi Anni 80 della ruota anteriore da 16” siamo da 40 anni fermi all'accoppiata 17"-17", o al 19" e 21" anteriore nell’Adventure, con l’unica novità del 18" posteriore che poco cambia nella "stance" della moto.
Riassumendo: le moto degli Anni 90 hanno, in buona parte dei casi, dimensioni e proporzioni che non sono cambiate troppo nel corso degli anni, e un design semplice da decifrare e “empatico” che le rende ancora desiderabili. Al contrario, per le auto degli Anni 90 il fatto che il design sia bello o brutto passa in secondo piano, perché è comunque distonico con lo scenario di oggi. Ecco perché certe auto sono belle nei musei o nei garage dei collezionisti, ma molto meno in strada.
Colpa dei designer? Solo in parte. Nello sterminato numero di modelli (confrontate i listini di oggi con quelli di allora che potevi imparare a memoria, come io da teenager facevo) e nella vastità ancora pochi anni fa inimmaginabile di linee, superfici, fanalerie, alette e dettagli, il designer deve alzare la voce, aggiungere, senza che la funzione lo richieda, animato dall’urgenza del nuovo.
In questa mutazione c’è tutta l’essenza dell'Automotive Design: bisogna disegnare moto e auto che seguano l’evoluzione degli altri veicoli in movimento, dello scenario nel quale vengono utilizzati e anche dell’essere umano (siamo sempre più alti, meno magri e più affamati di spazio). La stessa architettura delle città, sempre più verticali, contribuisce a creare questo stacco.
Edgar Heinrich
Tedesco, ha iniziato la carriera in BMW, dove è stato uno dei primi designer di professione. Ha lavorato sulla R 1150 GS, la R 1200 GS, la serie K 1200 e la prima S 1000 RR. Dopo un passaggio in Bajaj dal 2009 al 2012 come responsabile dello sviluppo prodotto, è tornato in BMW dove ha aperto nuove strade con la NineT e il CE04, congedandosi da Monaco pochi mesi fa con la R 1300 GS.
A un certo punto della nostra vita, di solito da adolescenti, molti di noi sviluppano un interesse per le auto e le moto, e scelgono i loro “eroi”. Che di solito sono i modelli più costosi, potenti, esclusivi: auto e moto che non ti puoi permettere a quell’età. Le recuperi magari dopo: anch’io ho i miei eroi in garage, Honda, BMW e Suzuki di tanti anni fa.
Questi modelli continuano ad esercitare il loro fascino per tutta la vita, dando forma al tuo canone estetico. I miei eroi di adolescente erano la CB750F e le belle moto di metà Anni 70: proporzioni classiche, ruote a raggi, tutto a vista. Quelle di anche soltanto 10 anni prima erano molto meno interessanti (salvo qualche eccezione); ma lo erano anche quelle di 10 anni dopo, metà Anni 80: orrende ruote a razze, linee bizzarre, colori sgargianti, cruscotti improbabili…
C’è qualcosa di speciale nelle moto tra la metà degli Anni 80 e la metà degli Anni 90? Forse possiamo dire che sono state le ultime moto in larga parte "analogiche": linee sviluppate con il clay e non al computer, carene affinate in galleria del vento e non con la CFD, motori alimentati quasi sempre a carburatore. E molti adulti continuano a preferire il "look & feel" degli oggetti puramente meccanici, dei cari vecchi tempi del carburatore: per loro è sempre più dura con tutta l’elettronica, le emissioni allo scarico e i modelli elettrici, che non corrispondono più alla loro personalità. Dico da sempre che “la meccanica è il lusso del futuro”, e lo penso ancora.
Va anche detto che in quegli anni il design motociclistico si è sviluppato molto, per la semplice ragione che prima non c’erano veri e propri “designer”. C’erano al massimo ingegneri con un certo talento per lo stile, ma ad esempio quando ho iniziato in BMW, nel 1986, il “Dipartimento design” si occupava soltanto di colori e grafiche. A disegnare la moto ci pensavano gli ingegneri, il che in BMW significava tre cose: robustezza, qualità, affidabilità. La bellezza non era in agenda.
Le cose sono cambiate negli ultimi decenni – almeno spero! Il design è diventato un argomento di vendita sempre più importante, ormai il più importante, e anche BMW lo ha capito. Parallelamente, la differenziazione di gamma è diventata comune. Negli Anni 70 le moto erano tutte moto che oggi diremmo "classic". Negli Anni 80 sono apparse le carenature e le moto sono diventate sportive stradali, race replica (GSX-R, CBR), dual (GS), offroad, naked: oggi c’è un modello per tutti i gusti, al punto che siamo arrivati a dire "la moto è l’accessorio più grande che puoi indossare". E non sono sicuro che parliamo veramente di "bellezza": è più questione di trovare l’accessorio più in linea con la mia personalità.
Questo non vale per le auto. Un’auto è prima di tutto un prodotto che nasce per il trasporto, e solo in seconda battuta per il divertimento e lo status. Parti da una Dacia (pura funzione) e, quando puoi permettertelo, passi a una BMW (funzione + divertimento e status). La moto funziona al contrario: è prima di tutto qualcosa per il tempo libero, e solo in seconda battuta un mezzo di trasporto. Questo fa una enorme differenza.
Ma le differenze sono enormi anche tra giovani cresciuti in città o in provincia, in Italia o in Germania. Cambia il contesto, cambiano le regole. A questo proposito, quelle sulle patenti e le emissioni hanno avuto un impatto che non si può dimenticare. Quando la tua patente ti limita, come succede a 14, 16 e ancora 18 anni, cerchi di trarre il massimo da quello che vuoi guidare. Il Simson Schwalbe divenne il ciclomotore più popolare dopo la caduta del Muro di Berlino (1989) perché, per quanto brutto, andava forte; lo stesso penso valga per le varie Mito 125, RS 125 e le 125 2T italiane che restano probabilmente le migliori 125 di tutti i tempi, senz’altro rispetto alle attuali 4T costruite in economia.
Adrian Morton
Inglese, arriva giovanissimo al Centro Ricerche Cagiva dove lavora con Massimo Tamburini sulla prima Brutale 750, poi passa in Benelli dove disegna la Tornado Tre e la TNT, quindi in MV Agusta dove ritrova e posi sostituisce Tamburini firmando tutte le moto varesine (F4, F3, Brutale, Rivale, Turismo Veloce, Superveloce) fino alla Rush 1000. Da fine 2020 è direttore creativo dello studio indipendente C-Creative di San Marino.
Credo che la ragione di fondo per cui le moto degli Anni 90 sono invecchiate meno rispetto alle auto di quel periodo sia che il tempo per le moto è trascorso più lentamente. C’è stato molto meno progresso rispetto a quanto avvenuto nell’auto, dove il contrasto col passato è più evidente. Ci vedo due grandi ragioni, una legata ai motociclisti e l’altra alle moto.
I motociclisti sono in gran parte tradizionalisti, conservatori, anche perché ormai sono spesso quarantenni o più che guardano ancora alle moto della loro adolescenza. Questo consente per esempio alla Transalp di oggi di essere quasi un remake della sua antenata.
E questo è il punto che riguarda le moto: sono rimaste troppo simili a come erano, mentre nelle auto c’è stata più evoluzione dei linguaggi stilistici. Vent’anni fa era l’opposto, perché sulla scena c’erano tante Case moto giovani e arrembanti, mentre il mondo auto era rappresentato da colossi vecchi e lenti. Ma l’arrivo dell’elettrico ha rappresentato una rottura, Tesla ha cambiato molto le proporzioni e gli interni e oggi c’è meno paura di rischiare, soprattutto da quando sono arrivati i cinesi, che non hanno tradizione. I cinesi non hanno storia, devono inventarsi un DNA e uno stile e tra di loro c’è una forte competizione nel design, anche perché nell’elettrico la tecnologia tende ad essere simile per tutti.
Se vedi una MV F3 oggi non sembra fatta 15 anni fa, quando la disegnai: ma questo perché non c’è stata grande evoluzione. Guarda cosa sta facendo Ducati, che con la ultima Panigale è quasi tornata indietro, a linee e proporzioni più classiche, prendendo spunto da un progetto di 30 anni fa come la 916, e con risultati secondo me un po' disorientanti perché non riflettono la tecnologia di questa moto, che non è certamente la tecnologia di 30 anni fa.
Per inseguire il ricordo della 916, l’ultima Panigale rinuncia a un tratto originale come i DRL annegati nelle prese d’aria della prima Panigale, un segno molto forte che era diventato la firma della moto: fanale nascosto e "sguardo" affidato al DRL, un po' come si fa nelle auto dove il fanale è un elemento hi-tech. Ducati invece sembra aver paura di stupire i clienti e ricicla elementi del passato. Certo, il loro obiettivo è rinnovare nella continuità come Porsche fa con la 911: per Porsche e Ducati funziona, ma solo per loro e solo fino a un certo punto; poi arrivi a un punto in cui quegli stilemi non interessano più a nessuno, e portarteli dietro diventa un problema. È quello che è successo a Jaguar ed è il grande problema di Alfa Romeo: avere una storia così forte che ti vincola diventa un problema. Un problema che Tesla o i cinesi non hanno: Tesla può fare il Cybertruck, Alfa Romeo o Jaguar non potrebbero.
A proposito di cinesi, abbiamo visto chiaramente a Eicma che ormai sono loro a spingere di più. Guarda cosa sta facendo CFMOTO: perché è un marchio che può rischiare, provocare, rispetto a Ducati ha meno da perdere, perché c’è tutto da inventare. Quando non hai una storia e una tradizione da difendere, puoi giocare di più sull’innovazione.
I cinesi non sono più ormai legati solo ai numeri di vendita, stanno cambiando approccio e vedrete che nei prossimi 5 anni ci saranno cambiamenti enormi. Mi aspetto più provocazioni e novità nei prossimi 2-3 anni vedremo che negli ultimi 20, perché queste aziende hanno bisogno di distinguersi, di creare una identità e hanno enormi mezzi per farlo. È un momento di grande fermento, per la moto potrebbe essere questo il momento della rottura che nell’auto c’è stata 10 anni fa.
In sintesi
I designer sono pazzescamente appassionati al loro lavoro. Per cui se vi foste persi nei tanti spunti che sono emersi da queste chiacchierate, ecco le cose fondamentali a cui potete ripensare prima di andare a letto.
Un primo elemento è la vitalità del mondo moto di metà Anni 80 / primi Anni 90 rispetto a quello auto (Miguel). In un momento storico in cui i giapponesi spingevano molto su tutti i fronti, le grandi Case auto occidentali tendevano a conservare l’esistente, mentre in Europa e soprattutto in Italia la reazione delle Case moto, specie quelle più giovani, ha portato a una grande esplosione di creatività.
Queste moto poi potevano essere belle senza troppa complessità e arzigogoli, il che ha permesso alla loro bellezza di diventare "classica" (Rodolfo), specie nei segmenti dove le dimensioni e proporzioni generali sono rimaste le stesse, come le sportive e le naked. Nell’auto, invece, sono cresciute le dimensioni, è aumentato il diametro delle ruote e sono cambiate le proporzioni: il che ha fatto irrimediabilmente invecchiare le quattro ruote di qualche decennio fa.
Questa freschezza delle moto di allora è anche dovuta al fatto che in quegli anni iniziavano a lavorare i primi designer di moto, che sostituivano gli ingegneri e i non specialisti che fino ad allora si erano occupati di dar forma alle due ruote (Edgar). Avendo campo libero, i designer si sono sbizzarriti portando a una grande varietà di forme e tipologie di moto, che hanno definito vere e proprie pietre miliari del gusto estetico. Questo è avvenuto meno nelle auto, dove la funzione resta trainante.
Dopo quella esplosione di creatività, però, il mondo delle moto si è un po' "raffreddato", riducendo la voglia di innovare. Questa è una ragione che può spiegare perché le moto degli Anni 90 restano belle e desiderabili ancora oggi: perché da allora sono cambiate piuttosto poco (Adrian), restando anzi ancorate a tal punto ai successi di quell'epoca da portare a volte a passi indietro per recuperarne lo stile. L’arrivo dei cinesi, con tanta voglia di emergere, pochi preconcetti e nessuna tradizione da difendere, sembra però preannunciare una nuova stagione di grandi e rapidi cambiamenti.
Sarà davvero così? Assisteremo a una nuova "età dell’oro" a trazione cinese, anziché giapponese e italiana? Staremo a vedere, sperando che i nostri talenti italiani ed europei continuino a mantenere alta la bandiera dello stile.
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