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Abbigliamento moto, l'allarme: "In commercio troppi capi con finte certificazioni"

Marco Gentili
di Marco Gentili il 20/11/2023 in Attualità
Abbigliamento moto, l'allarme: "In commercio troppi capi con finte certificazioni"
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Franco Gatto (Dainese e responsabile del WG9): "Le etichette CE apposte sui capi non bastano: troppo spesso mancano le dichiarazioni di conformità"

Sono passati già 5 anni da quando è entrata in vigore la normativa EN 17092 che disciplina i requisiti di giacche, tute e pantaloni tecnici. Su Dueruote ne abbiamo parlato spesso, in particolare evidenziando i test che i capi devono superare per essere definiti effettivamente "tecnici". Ma qual è la situazione oggi? Non così rosea come di poterbbe pensare. Ne abbiamo parlato con Franco Gatto, che in Dainese si occupa di abbigliamento tecnico ed è attualmente responsabile del WG9 (il gruppo di lavoro comunitario che si occupa di standardizzare le normative per il mondo delle due ruote).

Ingegner Gatto, oggi l'abbigliamento protettivo è davvero più sicuro di prima?

"Senza dubbio sì: in precedenza, ossia prima dell'introduzione della EN 17092, le Case produttrici autocertificavano la qualità dei propri prodotti. Adesso, con test standardizzati per tutti ed eseguiti da laboratori terzi, le regole sono uguali e severe per tutti".

Tutto bene, quindi?

"No, purtroppo. Sul fronte dell'abbigliamento protettivo vediamo come su molti capi venga applicata l'etichetta CE, che può essere facilmente reperita sul libero mercato, ma spesso manca la dichiarazione di conformità. Apporre un'etichetta sul capo di abbigliamento non basta: bisogna sempre controllare sul sito internet del produttore l'esistenza della dichiarazione. Purtroppo, ancora in troppi non le mettono pubblicamente a disposizione, contravvenendo così alle regole".

L'abbigliamento è adeguatamente normato. Qual è invece la situazione sul fronte degli airbag?

"Sui dispositivi ad attivazione meccanica esiste uno standard di certificazione, che si chiama 1621/4, mentre sono ancora aperte le discussioni sul fronte degli airbag ad attivazione elettronica. Stiamo lavorando a uno standard comune, che si chiamerà 1621/5 e sarà pubblicato tra il 2025 e il 2026, ma dobbiamo ancora tirare le somme".

Perché? 

"Dobbiamo trovare ancora la quadratura tra l'approccio costruttivo degli italiani, che sono più rigidi sul fronte della protezione, e quello dei costruttori francesi, che hanno un atteggiamento decisamente più blando. L'importante è non livellarsi verso il basso, e quindi non ridurre gli standard qualitativi dei prodotti che verranno messi in commercio. Con gli airbag elettronici dovremo validare l'attivazione del dispositivo, il cosiddetto triggering, per evitare i cosiddetti casi di falso positivo (tanto per fare un esempio, un airbag che scatta quando si prende una buca su strada). E soprattutto misurare in modo oggettivo i dati in ingresso, ossia quelli che la moto trasmette all'airbag, e quelli in uscita, quindi la risposta dell'airbag agli stimoli".

Come si può misurare oggettivamente il funzionamento di un airbag elettronico?

"Il modo più oggettivo ma allo stesso tempo il più costoso si chiama crash test. Ognuna di queste prove costa 20-25mila euro esclusi i materiali che vengono distrutti. Vero è che un'azienda che investe in dispositivi di sicurezza deve esasere in grado di sopportare certi costi: tanto per fare un esempio, in Dainese già oggi facciamo cinque test per garantire il miglior livello possibile. Oggi stiamo valutando di standardizzare un sistema per riprodurre in scala ridotta, e con un minore impatto economico per l'azienda produttrice, un crash test".

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