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Attualità

Chi ha ragione: Suzuki o Kawasaki?

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Dopo un decennio di sostanziale immobilismo tecnico, le strategie delle due Case giapponesi hanno imboccato strade radicalmente diverse: una investe sull’oggi e l’altra sul domani. Chi avrà ragione?

Sono passati 15 anni dalla crisi finanziaria del 2008, di cui ormai si parla poco ma che ha profondamente cambiato il mondo in cui viviamo. Comprese le moto: finita l’era dei finanziamenti facili a tutti e per tutto, aumentata enormemente la precarietà del lavoro, cambiata in parte anche l’età media dei motociclisti, la domanda di raffinate e costose supersportive ha definitivamente imboccato il viale del tramonto, lasciando spazio ad altri modelli. Fino ad allora, le quattro Case giapponesi erano rimaste sostanzialmente allineate nell’offerta: tutte avevano gamme basate su motori a quattro cilindri – più qualche raro bicilindrico – e invariabilmente imperniate su due supersportive (600 e 1000), due naked (600 e 900 o 1000) e qualcos’altro: una endurona, una sport-tourer, un maxi-scooter. Di fatto però ciascuna offriva la propria interpretazione delle stesse cose, aggiornandola ogni paio d’anni.

Rivoluzione VS Evoluzione

Alla forte discontinuità del 2008 le quattro Case hanno reagito in modo diverso. Le due più grandi e attive, Honda e Yamaha, hanno subito cercato di sviluppare proposte adatte ai nuovi tempi, soprattutto in termini industriali, cambiando drasticamente l’approccio progettuale e le catene di fornitura per ridurre i costi. Sono nate così le piattaforme NC di Honda ed MT di Yamaha, che hanno generato modelli moderni tecnicamente, aggressivi nel prezzo e in effetti di grande successo: nel 2008 nessuno avrebbe scommesso sul tramonto del TMAX ma negli ultimi anni l’Integra, l’X-ADV e le loro propaggini a forma di moto vendono ben di più, mentre la serie MT con i suoi derivati è cresciuta fino a diventare quasi il 100% dell’offerta Yamaha, lasciando a tutto il resto le briciole. Suzuki e Kawasaki, invece, si sono limitate ad aggiornare quello che avevano. L’adeguamento dell’offerta è avvenuto non realizzando nuovi progetti ad hoc, ma ottimizzando quelli esistenti anche nel senso dei costi. Suzuki ha mantenuto i suoi V-twin e 4 in linea, semplificando le ciclistiche e aggiornando con una certa parsimonia l’elettronica; Kawasaki ha confermato il bicilindrico parallelo della serie ER-6 e il quattro cilindri 1000, cambiando al massimo la sigla e il telaio e declinandoli nei modi più disparati: naked, crossover, sportiva stradale, vintage.

Sviluppo costante VS Salti tecnologici

Nel decennio scorso la più attiva è stata Kawasaki, brava a sviluppare la Versys fino a farla eccellere nell’uso turistico, a rinnovare la gamma Z abbandonando il telaio doppio trave in favore di un più sexy traliccio in acciaio, a spingere sul versante nostalgia con la serie RS e naturalmente a riportare un po’ di hype con i modelli sovralimentati SX, nati non per fare numeri ma per far parlare di sé. Il tutto ha in effetti coperto le non piccole lacune della gamma di Akashi, che non offre sul mercato europeo nessun modello che non abbia la ruota anteriore da 17” e non ha un moderno bi- o tricilindrico a coprire il vuoto tra le sue piccole 650 e le 1000 e oltre: vale a dire non presidia veramente i segmenti più importanti del mercato. Viceversa, dopo un lungo periodo di apatia Suzuki pare essersi ripresa: prima con le moderne stradali GSX-S, poi con la rinnovata V-Strom 1050 e ora con una piattaforma finalmente tutta nuova: il bicilindrico parallelo 800 che equipaggia la V-Strom 800 DE e la naked GSX-S8. Moto interessanti ma che soprattutto corrispondono alle richieste del mercato italiano, e più in generale europeo, di questi anni. 

Meglio una media oggi o un'elettrica domani?

Kawasaki al contrario sembra concentrata più sul domani che sull’oggi: la Z e la Ninja elettriche appena presentate e probabilmente più appetibili in Asia che da noi, l’originale ibrida attesa per il 2024, un motore a idrogeno annunciato per il 2030 e due bici a tre ruote e pedalata assistita. Nessuna nuova piattaforma media, che sarebbe sicuramente più facile da vendere subito in Europa, ma una scommessa su un futuro a medio termine che è in effetti molto incerto. Pur nelle differenze di atteggiamento, abbiamo insomma la conferma del DNA più profondo delle due aziende. Suzuki conferma la sua proverbiale concretezza, di cui fa parte anche il disimpegno su scala globale dall'attività racing considerata non più strategica nei mercati emergenti a cui tutti guardano. Kawasaki si conferma un’azienda che spinge sull’innovazione a tutte le latitudini, dalle 125 alle hypersport. Le scommesse, si sa, sono sempre rischiose; ma nel mondo di oggi anche l'inerzia è un rischio: i prossimi anni ci diranno chi tra le due ha avuto ragione.
Chi ha ragione: Suzuki o Kawasaki?
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