Attualità
HAT Sanremo-Sestriere: all’avventura con il team Moto Morini
Due toste giornate di fuoristrada in una sorta di endurance tra Liguria e Piemonte: oltre 600 km in poco più di 24 ore a bordo della X-Cape 650. Ecco come è andata
“Carlo, c’è la HAT Sanremo-Sestriere a metà settembre. Siamo ospiti del team Morini. Vai tu?”
E certo che vado, poi sono l’esperto delle HAT, a giugno ho partecipato alla Pavia-Sanremo, vuoi che mi lasci scappare la madre di tutte le manifestazioni di adventouring italiane? In effetti, con la 2023 sono ben 15 edizioni; era l’ormai lontano 2009 quando fu messa in piedi per la prima volta, e allora i partecipanti erano poco più di una decina. Giusto gli organizzatori e qualche amico fidato, che s’era lasciato convincere.
Oggi, 2023, siamo ben oltre 500, e da 15 nazioni di tutto il mondo. Impressionante. Quest’anno la HAT Sanremo-Sestriere prevede quattro diversi percorsi. C’è la Classic, quella che farò io, che è appunto la più classica: circa 600 km con sosta notturna non programmata. In pratica, ci si ferma se si vuole e dove si vuole, il bello sono proprio l’improvvisazione e il fatto che si guida al buio. Poi la Discovery, la più umana, con meno di 500 km e un alloggio come si deve per la notte tra il sabato e la domenica. La Extreme, circa 800 km, e infine la Extreme 1000: poco meno di 1.000 km con partenza addirittura al venerdì sera, quindi con due notti fuori. Questa a tutti gli effetti un’endurance estrema.
Io e il mio team, per l’occasione sono “pilota ufficiale” Moto Morini, ci accontentiamo come anticipato della Classic. Non tradisce lo spirito originario della Hard Alpi Tour ma è affrontabile anche senza una preparazione così minuziosa.
Le nostre moto sono tuttavia messe a punto come si deve. La X-Cape non è la più fuoristradistica tra le crossover, ma le nostre sono equipaggiate di tutto punto per portarla a casa senza problemi particolari: su tutto, gomme debitamente tassellate e tubeless, per eventuali riparazioni rapide. A proposito di gomme, la mia moto veste Metzeler Karoo 4, una delle proposte top sul mercato per un utilizzo misto strada e fuoristrada con una buona predilezione per quest'ultimo. La Karoo 4 è in effetti uno pneumatico con tassello moderatamente aggressivo ma dalla buona resa chilometrica e relativamente poco rumoroso, per il tipo di gomma. Posso stare tranquillo, si rivelerà poi sincera e affidabile su tutti i terreni: ottima trazione sia sui fondi compatti che su quelli mossi, mentre su asfalto si lascia condurre piacevolmente e si può piegare senza preoccupazioni.
Poi faretti supplementari e un corredo di attrezzi e ricambi essenziali: camere d’aria, leve, chiavi, kit di riparazione tubeless, per l’appunto, e un mini compressore portatile. Ci trattiamo come dei veri pro: ritrovo in sede Morini alle porte di Pavia, regolazione di posizione leve e manubrio su nostra richiesta e trasferimento sino a Sanremo in furgone. Lo stesso furgone ci verrà poi a prelevare all’arrivo di Sestriere, quando saremo verosimilmente piuttosto cotti. Che lusso!
Siamo io, Luca Marcotulli, Oriol Mena e Andrea Zazzara. Mena e Marcotulli sono nomi noti a chi mastica qualcosa di enduro: rispettivamente campione del mondo Junior nel 2009 e pluri campione italiano. Zazzara è invece brand ambassador e collaboratore del marchio per l’organizzazione di tour in centro Italia. Decisamente tosto come team. Poi ci sono appunto io, il giornalista, che, più avanti i pilotoni me lo confesseranno, quando hanno saputo che avrebbero avuto una simile palla al piede si sono preoccupati non poco. Spoiler: non farò danni e non sarò nemmeno più di tanto una zavorra.
Sono comunque intimorito, lo ammetto. Il fatto che non sia prevista una vera e propria sosta notturna mi preoccupa. Alessia, PR di Morini, tenta di rassicurarmi “Non temere, l’anno scorso i ragazzi quando erano stanchi si sono fermati un paio d’ore a riposare in un capanno”. Cara Alessia, se posso essere sincero, hai sortito l’effetto opposto. Io ho bisogno di riposare a dovere, mi piace proprio, chi mi conosce lo sa, e se mi si toglie il sonno, o il cibo, mi si gira l’umore. Comunque faccio del mio meglio, preparo il camelback con i sali minerali, mi riempio le tasche di gel energetici, barrette e frutta secca e nei giorni precedenti l’evento mangio più del solito nella speranza di aumentare la scorta di energie. Speriamo basti.
Sabato mattina, fortunatamente, la sveglia suona alle 8. Partenza programmata per le 9:30. Nel paddock le nostre belle X-Cape sono in fila sotto il gazebo Morini, a due passi dal palco di partenza. Garmin montati e cablati, nello zaino guanti di ricambio e un antipioggia, casco allacciato e si parte.
La prima ora e mezza, nonostante l’orario, è già molto calda. Mi sono vestito pesante in vista delle alte quote del Piemonte e della frazione notturna, e per ora soffro. È subito un bel mix di asfalto e sterrati scorrevoli, ma già attorno al km 50 siamo al primo ristoro. Per la verità, il più ricco e suggestivo di tutto l’itinerario. Siamo nello splendido borgo di Pigna e parte dello spettacolo è un complesso che suona e canta solo per noi. L’offerta gastronomica spazia dalla focaccia ligure a pasticcini con crema e frutta. Tutto delizioso.
Le prime viste mozzafiato si hanno salendo verso il Colle del Garezzo, un valico alpino situato in provincia di Imperia all’altitudine di 1.771 metri. È caratteristico perché il passo si trova dentro una galleria. Poco più tardi altro ristoro e poi, nel primo pomeriggio, il primo inconveniente. Siamo attorno al km 150 quando Luca si accorge di aver forato al posteriore. Singolarmente, ha forato a causa di un pezzo di legno, a quanto pare molto duro, che ha perforato in modo netto il battistrada. C’è proprio un bel buco, ma con un po’ di mestiere e due o tre vermicelli riusciamo a tapparlo. Andrea sfodera il compressore a batteria e con qualche minuto di pazienza la gomma torna sopra i 2 bar. In realtà c’è una lieve perdita, ma ripartiamo e con una gonfiata ad ogni sosta benzina riusciamo a proseguire senza problemi.
Ci muoviamo lentamente verso nord, addentrandoci in Piemonte, sempre più distanti dal mare. Nel tardo pomeriggio solchiamo le piste da sci di Prato Nevoso, la luce è già quella del tramonto e la vista è uno spettacolo mozzafiato. Unico neo, la polvere, ma qua è già meno presente che sui sentieri liguri.
Sono le 19 quando arriviamo a Boves, a pochi chilometri da Cuneo. Qui è previsto il ristoro serale e, per molti, il termine della prima tappa. Ci concediamo una sosta più lunga del solito, ceniamo come si deve con degli ottimi ravioli alla carne ma meno di un’ora più tardi già iniziano i preparativi per la ripartenza. Io cambio batteria alla GoPro; Luca, unico furbo a pensarci, installa sul casco una bella torcia frontale, utilissima, perché la fanaliera della moto, per quanta luce possa fare, la fa dritta in avanti, mentre nelle curve strette è molto utile avere chiarezza all’interno dove si volge lo sguardo.
Caffè e siamo di nuovo in moto; la stanchezza per ora è sotto controllo, nonostante gli oltre 250 km coperti. In breve è buio e al momento di lasciare l’asfalto ci fermiamo quasi fosse un rito di passaggio: è la prima volta che mettiamo le ruote fuoristrada in notturna.
I faretti supplementari si rivelano decisivi, riusciamo a guidare nel bosco anche senza l’abbagliante, in modo da non infastidire eccessivamente chi ci sta davanti. Il ritmo cala di un qualcosa ma la soglia dell’attenzione è alle stelle, la suggestione del momento pure. La concentrazione non ti fa sentire la fatica, almeno finché non ti fermi a prendere fiato. Ma è proprio durante le soste che viene fuori lo spirito di squadra. Non conoscevo nessuno dei miei tre compagni fino a ieri, Mena e Marcotulli per fama, certo, ma non di persona. Eppure diventiamo in breve amici di lunga data; gli imprevisti e il semplice fatto di vivere assieme un’esperienza tosta e particolare come questa uniscono come poche altre cose.
L’apoteosi arriva attorno alle 23. Oriol apre la strada, sbaglia un incrocio, dopo un centinaio di metri ce ne accorgiamo e ci fermiamo per fare dietro front. Andrea mette male un piede e appoggia la moto su un fianco. Niente paura, nessun danno. Anzi no, leva del freno spezzata di netto alla base, impensabile proseguire così. E allora al lavoro per sostituirla, il ricambio c’è e gli attrezzi pure. Il signor Campione del Mondo, nonché dakariano da Top 10, si limita a criticare e prendere in giro l’operato di Zazzara; Marcotulli fa luce un momento si e uno no con la sua torcia sul casco; io tento di dare supporto tecnico passando gli attrezzi ma con poca attenzione.
Gli insulti reciproci, in amicizia naturalmente, e le risate vanno di pari passo. Siamo dispersi da qualche parte in mezzo ad un bosco delle montagne piemontesi al buio a sparare scemenze una dietro l’altra, le battute per ogni sciocchezza si sprecano e arriviamo quasi alle lacrime. È il momento più strano e bello, fino a questo punto almeno.
Ripartiamo e vediamo le ore scorrere sul display del Garmin. Mezzanotte, l’una, all’alba dell’una e mezza raggiungiamo una coppia di concorrenti che scopriamo non essere in realtà dei concorrenti bensì gli apripista! Perbacco, se abbiamo raggiunto gli apripista siamo stati bravi; più avanti scopriremo che erano partiti quattro ore prima di noi. Siamo sulla cima di un colle e abbiamo coperto circa tre quarti del chilometraggio totale. Tutto sommato qualche ora di riposo ce la siamo guadagnata: decidiamo di fermarci.
“Riposo” va tra molte virgolette, perché provate voi a dormire senza tenda né sacco a pelo né materassino su un prato a 1.000 metri di quota bardati da moto. Troviamo dei tavoli in legno da pic-nic e pensiamo che forse, in qualche modo, potrebbero essere meglio che sdraiarsi a terra sull’erba. Ci posizioniamo, ma dopo neanche 5 minuti Luca si alza insoddisfatto del comfort e trova un braciere di pietre a pochi metri dal nostro selvaggio B&B. Raccogliamo qualche ramo, io dono alla causa un pezzo di carta e lo stesso Luca sfodera un accendino. Improvvisiamo un falò che dura giusto il tempo di scattare una foto indimenticabile e registrare un paio di video.
Torniamo sui nostri tavoli e in qualche modo riusciamo a riposare un po’. Io indosso tutti gli strati aggiuntivi che ho con me e mi copro la testa con l’impermeabile, per ripararmi dal freddo e dall’umidità. Tre ore più tardi, se va bene ne avrò dormita mezza, ci ridestiamo da questa situazione tutt’altro che idilliaca e riprendiamo la marcia.
Sono quasi le 7 quando assistiamo ad una magnifica alba. Arriviamo giusti sulla cima della montagna successiva per godere di uno spettacolo raro. Il cielo che si colora di rosso, rosa e arancio, guardi più in su e ci sono ancora la luna e le stelle. Qualche minuto e inizia a diffondersi la luce del giorno.
Ci rifocilliamo al ristoro della colazione che ci mancano ancora circa 120 km. I più belli di tutta la manifestazione, con l’approssimarsi della Val Susa e dei suoi scorci che tolgono il fiato. Saliamo lungo la strada dell’Assietta fino al Colle delle Finestre, oltre 2.100 metri sul livello del mare. La luce è ancora quella del mattino presto, la vista di cui si gode da qui è impagabile e ti fa sentire un po’ meno stanco. Per lo meno, per qualche minuto non ci pensi e ti godi l’aria fresca e una pace assoluta. Di moto, oltre alle nostre, ne vediamo davvero poche. Scopriremo poi che in tanti, soprattutto chi ha voluto dormire come un signore, hanno voluto o dovuto tagliare larga parte del percorso per giungere in tempo a Sestriere. Un peccato, chissà se sanno cosa si sono persi.
La sterrata per scendere dal Colle delle Finestre è uno spettacolo assoluto, un’infilzata di tornati di brecciolino da godersi tutta d’un fiato e che sarebbe invece da percorrere in su e in giù fino a che non ti faccia girare la testa. Poi altro asfalto, altro ristoro sul fondovalle della Val Susa e dopo Exilles, qui è maestoso l’omonimo forte, si risale verso la famigerata Galleria del Seguret, anche nota come Galleria dei Saraceni. Un traforo lungo quasi 900 metri in leggera pendenza e ricco di curve, tanto che non se ne vede l’uscita fino all’ultimo. Il fondo è solcato da un ruscello che in alcuni punti si trasforma in grandi pozze: guidare qui dentro, al buio e con le ruote in mezzo all’acqua è davvero suggestivo.
La luce t’abbaglia appena te ne esci sull’altro lato, quello del forte Siguret. Qualche foto e via verso il fondovalle ancora una volta, per un’ultima discesa che sembra non finire più. Mancano 30 km al traguardo ma paiono ancora 100. Un passo alla volta.
È così che, finalmente dico io, abbandoniamo per l’ultima volta lo sterrato e iniziamo a seguire le indicazioni per Sestriere, lungo un nastro d’asfalto che pare liscio come l’olio e dolce come non mai. Sono le 12 quando raggiungiamo l’arco dell’arrivo, 27 ore e 630 km dopo aver salutato Sanremo. Non siamo tra i primissimi ma poco ci manca, stimo che siamo nel primo 10-15% dei partecipanti. In effetti, non ci saranno più di 50-60 moto arrivate prima di noi.
La soddisfazione è più grande di quello che avrei immaginato. Ci battiamo il cinque e lanciamo qualche poco convinto grido di gioia. Siamo arrivati in condizioni, noi, tutto sommato buone, ma è stata comunque tosta, e la vera stanchezza arriverà solo qualche ora più tardi a raccogliere il testimone dell’adrenalina che si dissolve. Le X-Cape, dal canto loro, non hanno un graffio; hanno tenuto botta in maniera eccellente e non sono nemmeno tanto sporche. Sarebbe quasi da lasciarle così.
Che dire in definitiva di questa HAT Sanremo-Sestriere? Come anticipato, prima di partire ero sinceramente preoccupato, temevo che avrei sofferto la stanchezza e di colpi di sonno, ma invece l’emozione e la concentrazione hanno da sole fatto buona parte del lavoro. Sarà stata anche l’alimentazione azzeccata, ma sono arrivato a Sestriere relativamente fresco. Gli ultimi sterrati li ho percorsi poco più che a passeggio, ma credo sia giusto e normale così. Far danni in queste situazioni è un attimo ed è, al contrario, la cosa che chiunque sano di mente vuole a tutti i costi evitare.
Sulla strada di ritorno inizio già a fantasticare sul 2024. Anche la 1000 deve essere interessante. Prima di partire avevo detto “per fare la 1000 bisogna essere autolesionisti”, ma eccomi già qua ad aver cambiato drasticamente idea. Certo, servirebbe una moto col 21” e le mousse, i faretti supplementari sono essenziali, forse servirebbe una piccola tenda per riposare a dovere…