L'incidente, la rinascita e il campionato europeo in concomitanza con la MotoGP e la SBK: la storia del motociclista toscano, che abbiamo intervistato nel corso di un evento BMW
C'è chi si tatua la data di nascita dei figli, chi quella dell'Olimpiade a cui ha partecipato; lui si è tatuato – ben visibile dietro al collo – quella dell'incidente che gli ha cambiato la vita togliendogli la gamba destra ma rendendolo, come dice lui, ‘una versione migliore di me stesso’.
Emiliano Malagoli è argento vivo. Non sta fermo, sorride, gesticola. Non poteva che arrivare da uno così l’energia per combattere: con la disabilità, con i pregiudizi, con la burocrazia. E arrivare fino a qui. Qui è l’autodromo Tazio Nuvolari di Cervesina, dove Emiliano in collaborazione con BMW Italia ha organizzato uno dei suoi appuntamenti dedicati a chi ha perso un arto o l’uso delle gambe ma non la voglia di salire in moto.
LA LUCE OLTRE IL BUIO
Facciamo dieci passi indietro. Il 30 luglio 2011 Emiliano sta rientrando a casa in moto, di notte. Non ha un ricordo chiaro di cosa è successo, ma probabilmente perde il controllo della moto e cade in un dirupo. Si risveglia in ospedale, senza una parte della gamba destra. Emiliano è appassionato di moto: la guida da quando aveva 6 anni, ha passato l’adolescenza nel culto di Kevin Schwantz, ha sempre fatto qualche garetta amatoriale in pista. Vuole tornare in moto, ma non trova niente. Allora prende la sua moto da corsa e va dall’ortopedia Michelotti di Lucca, gli dice: "Fatemi una protesi che mi permetta di stare in sella e guidare".
È iniziata dal nulla insomma.
“Sì, ma è andata veloce. Un anno dopo l’incidente sono tornato a correre e quasi subito ho conosciuto Chiara (Valentini), campionessa europea nel 2007 che rientrava anche lei da un infortunio e venne a farmi i complimenti. Decidemmo insieme di cercare fondi per un campionato riservato ai disabili, fu la scintilla che ci fece innamorare e oggi siamo sposati.
Il mio pensiero di allora fu: se non c’è nessuno che lo fa, è perché alla gente manca la possibilità, non certo la voglia. Se devi trovare la moto, adattarla, spendere, solo per provare una volta e vedere se riesce a guidare, nel 99% dei casi lascia perdere. Io sono l’altro 1%”.
E cos’hai fatto?
“Con Chiara ci siamo detti: proviamo noi a prendere qualche moto e adattarla alla meno peggio, poi vediamo che risposta abbiamo. E la risposta è stata incredibile, la gente ha cominciato a contattarci e abbiamo iniziato a fare corsi in giro, nei piazzali e in qualche area privata. Poi nel 2017 abbiamo cominciato a collaborare con BMW Italia, e quello ci ha permesso di fare un grosso passo avanti. Abbiamo fondato Diversamente Disabili e ad oggi abbiamo rimesso in sella circa 400 persone da 12 Paesi, di cui 200 hanno intrapreso l’attività agonistica sempre con noi, che organizziamo gare in Italia e in Europa riconosciute da FMI e Federazione paralimpica. E se accettassero il motociclismo alle Olimpiadi come si discute, allora potremmo entrare alle Paralimpiadi, sarebbe il mio sogno”.
Immagino che all’inizio però non sia stato così facile…
“Per niente, anche la Federazione era molto titubante. Il grosso tema è ‘nessuno l’ha mai fatto’, del resto nessuno aveva mai scalato l’Everest cent’anni fa, oggi quanti sono? Serve che uno inizi a farlo. Ma mi ci sono messo, ho martellato tanto e adesso ogni anno è un po’ meglio, sono ottimista per il futuro. Ad esempio mi piacerebbe fare corsi in altri Paesi in Europa, dove non c’è nulla; ma servirebbe uno sponsor per coprire le spese di viaggio, pagare i ragazzi: se in un corso normale per 15 corsisti ti bastano 3 istruttori, a noi servono 35 persone. Io non voglio soldi, voglio solo poter realizzare le cose: noi comunque viviamo di sponsorizzazioni, non certo consistenti: in questi anni si sono fatti molti passi avanti, ma la disabilità resta un tema tutt’altro che sexy”.
"all'inizio anche la federazione era molto titubante sulle mie proposte: la disabilità resta un tema tutt'altro che sexy. ma alla fine siamo riusciti a combinare qualcosa"
La popolarità di Bebe Vio ha sicuramente fatto bene al movimento paralimpico.
“Si, c’è un po’ più di apertura ma non ancora quanto vorrei. Per esempio le paralimpiadi si fanno dopo le olimpiadi, separate: quella non è veramente inclusione.
Noi invece abbiamo cercato da subito di correre sulle stesse piste e negli stessi momenti dei piloti normodotati. Per tre anni abbiamo fatto tappa con il campionato europeo, che organizzo io, a Le Mans con la MotoGP, in altre occasioni con la Superbike, quest’anno con il Campionato Mondiale Endurance. Esperienze bellissime, che ti danno tanta visibilità anche se quando ti infili nel loro calendario hai tempi ridotti per girare, rischi di fare un viaggio lungo per poi stare in pista 40 minuti in tutto…”
Come sono divisi i vostri piloti?
“Corriamo insieme con classifiche separate. Ci sono due cilindrate, 600 e 1000, e tre grandi aree di disabilità: lesioni agli arti superiori, agli arti inferiori e i paraplegici. A livello europeo si distingue tra piccole e grandi disabilità, ma abbiamo visto che non è quello a fare la differenza: ci sono persone in carrozzina che girano molto più veloce di persone a cui mancano magari due dita.
Degli adattamenti si occupa spesso la Materia, azienda di Arezzo dietro cui c’è Luca Scassa, che in questi anni ha collaborato molto con noi: ha la sensibilità di un pilota e di un ragazzo di cuore, e spesso è presente ai nostri eventi”.
Dalla pista alla strada: come funzionano le patenti speciali AS?
“Ne vengono rilasciate circa 150 l’anno, di cui una ventina le facciamo direttamente noi. Considera che in tutta Italia non esiste una sola autoscuola con una moto adattata per disabili, per cui chi fa da solo deve andare in commissione medica, che indica cosa fare lato protesi (che deve essere certificata) e lato adattamenti alla moto: affrontare insomma delle spese importanti. Da noi con 7-800 euro hai due giorni di corso con una nostra moto: i birilli in piazzale, frenate eccetera; poi si fa una prova in esterno e al terzo giorno viene l’ingegnere della Motorizzazione e ti fa l’esame.
Questo discorso vale solo per gli amputati, mentre ai paraplegici la moto in Italia è vietata: solo tricicli o quadricicli. Per loro c’è la pista, e come ti dicevo alcuni di loro vanno velocissimi. Certo per loro è comunque complicato, ci vogliono due persone per mettere in sella un paraplegico; ma dopo puoi entrare nei turni normali con gli altri piloti normodotati, anche se cerchiamo di organizzare uscite di gruppo e qualche organizzatore riesce a riservarci turni dedicati, è senz’altro più sicuro per tutti”.
"in tutta Italia non esiste una sola autoscuola con una moto adattata per disabili, per cui chi fa da solo deve andare in commissione medica, che indica cosa fare lato protesi (che deve essere certificata) e lato adattamenti alla moto: affrontare insomma delle spese importanti"
Fate qualcosa anche per i normodotati?
“Sì, facciamo formazione, educazione stradale nelle scuole. E ti assicuro che sentire parlare di sicurezza uno di noi, che ha perso una gamba o un braccio in strada, ha un impatto diverso che sentir parlare un vigile. Ai ragazzi non sale la paura della multa, capiscono che rispettare le regole serve a proteggere sé stessi e gli altri.
I ragazzi non pensano alle conseguenze, magari girano con la fidanzatina in shorts e infradito e non sanno cosa vuol dire restare in carrozzina o senza un braccio per una cavolata… e guardare un filmato è ben diverso che vedere me. Io rido e scherzo, ma quando ti svegli e ti manca un pezzo del tuo corpo, non è facile”.
Siamo partiti da quel 30 luglio 2011. Oggi che bilancio fai della tua vita?
“Sembra strano, ma io ringrazio di quello che mi è successo. Perché mi ha aperto un mondo fatto di persone fantastiche, che nonostante tutti i loro problemi sorridono alla vita; al contrario di tantissimi che non avrebbero di che lamentarsi e invece sono nere dalla mattina alla sera. Senza l’incidente sarei forse stato uno di quelli, non mi sarei goduto la vita come sto facendo ora, in cui do un significato diverso a ogni momento e ti direi che sono veramente felice.
Ho una vita intensissima con le nostre attività, in più mi alleno per correre in moto e anche per qualche sfizio in più: sto programmando la mia terza maratona dopo New York e Berlino. Non è nemmeno paralimpica, saremo 10 pazzi nel mondo a correre con la protesi. Ma la cosa più bella restano le giornate come oggi, vedere persone che ritornano in sella non solo alla moto, ma alla loro vita, recuperando consapevolezza delle proprie possibilità”.
"ringrazio di quello che mi è successo perché mi ha aperto un mondo fatto di persone fantastiche, che nonostante tutti i loro problemi sorridono alla vita"
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