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MIPS: mettetevelo in testa
Gli studi sull'importanza degli impatti rotazionali stanno rivoluzionando il modo di intendere la protezione offerta dal casco. Storia del piccolo team svedese che di questa rivoluzione è stato protagonista
Questa storia nasce, come a volte succede, da una conversazione casuale. Maggio 2022, Toscana, presentazione della Yamaha XSR900. Mentre cammino con il casco in mano a fine prova mi sento dire, in inglese, “Ehi, bel casco!”. Mi giro e un ragazzo biondo precisa con un sorriso smagliante “È un casco Mips!”. Allargo le braccia e gli rispondo “Eh, insomma”.
“Insomma” perché qualche casco Mips l’ho smontato, trovandoci pochino: più o meno solo un foglio di plastica o di tessuto che separa i due strati di polistirolo della calotta interna, con delle asole che gli permettono di scorrere per qualche millimetro. Tutto qui. Possibile che un foglio faccia tutta questa differenza? Gli dico. Possibile, mi dice lui che, scopro, lavora proprio per Mips e fa una cosa interessante: rinuncia a convincermi su due piedi e mi invita a toccare con mano, visitando i laboratori Mips a Stoccolma, in Svezia, e discutendo la faccenda con i loro esperti. Cosa che riusciamo a organizzare nel giro di pochi mesi.
Prima di farvi partire con me devo avvisarvi: il viaggio è pieno di dettagli tecnici. Per non perderci per strada, mi limiterò a presentare i risultati principali con un occhio il più possibile critico.
Compressione o rotazione?
Il casco da moto ha alle spalle una storia ormai lunga. Dopo una serie di esperimenti e sviluppi dovuti all’iniziativa personale di medici, inventori e sportivi vari, si ritiene generalmente che la sua versione moderna sia stata messa a punto in America nel 1971, anno in cui Bell presenta il primo integrale da strada e il primo casco da cross con mentoniera. Sempre negli USA viene definito il primo standard di requisiti minimi da soddisfare per la vendita di caschi: è il 1975. Da allora il casco ha continuato a evolvere, per effetto anche dell’evoluzione degli standard di omologazione non solo americani ma di tutto il mondo (particolarmente Europa e Giappone). Le normative cercano edizione dopo edizione di migliorare la protezione, analizzando le dinamiche degli incidenti e cercando di catturarne gli effetti con prove standardizzate, sempre più articolate e precise.
Negli Anni 90 il casco moderno ha ormai un quarto di secolo e le normative che lo riguardano sono già piuttosto sofisticate. Al neurochirurgo svedese Hans von Holst, però, sembra che sul suo tavolo operatorio arrivino ancora troppi motociclisti con danni cerebrali seri. Von Holst è un uomo dalla notevole inventiva e iniziativa, e va in cerca di ingegneri con i quali cercare una soluzione al problema. Al KTH, la più importante università tecnica del Paese, incontra il giovane Peter Halldin, che sta per completare la sua tesi di laurea in ingegneria e resta affascinato dall’idea di lavorare alla convergenza tra ingegneria e medicina.
La concussione
Von Holst gli presenta diversi studi americani ed europei che già da mezzo secolo riconoscono l’importanza della “concussione” nel danneggiamento del cervello. In inglese la concussione non è un reato commesso da un pubblico ufficiale (esiste con questo nome solo in Italia), bensì uno scuotimento del cervello, forma più o meno grave di quella che noi chiamiamo “commozione cerebrale”. Lo scuotimento ha effetti più seri se avviene nel senso della rotazione, ed è il motivo per cui nel pugilato il KO è più spesso conseguenza di pugni che innescano una violenta rotazione del cranio, come il gancio o il montante.
I caschi da moto, però, sono progettati per assorbire efficacemente soprattutto le forze di impatto “lineari”, che comprimono il cranio; anche le normative si basano sulla misura degli effetti delle forze lineari. Il criterio supremo di sicurezza è diviso in due parti: la testa non deve ricevere una forza impulsiva troppo alta per evitare che le ossa del cranio si rompano, e la testa non deve ricevere dall’impatto un’energia troppo alta per evitare il collasso della fragile struttura del cervello, che è sostanzialmente una gelatina.
Come ogni ingegnere ben sa, se progetti una struttura per una certa funzione, solo in casi fortuiti si comporterà bene anche per una funzione diversa. E l’attenuazione delle forze rotazionali è appunto una funzione diversa. Il corpo umano ha già un sistema di protezione da questo tipo di sollecitazioni, perché il cervello galleggia in un liquido (liquido cefalorachidiano) che gli consente di ruotare di qualche grado in tutte le direzioni. Von Holst e Halldin pensano quindi di estendere questa protezione con un sistema che funzioni più o meno nello stesso modo, consentendo in caso di impatto alla testa di ruotare di qualche grado rispetto alla calotta esterna.
I primi anni
I due depositano i primi brevetti e fondano Mips con l’idea di costruire e vendere in proprio dei caschi che incorporino questo meccanismo di protezione: un sistema per svincolare la calotta interna da quella esterna. Nel frattempo sviluppano modelli matematici della testa e del casco, e nuove metodologie di test che incorporino gli effetti degli impatti rotazionali. Nel 2005 lanciano il loro primo modello, un casco da equitazione che ottiene un grande successo in Svezia. Peccato che una parte delle sue plastiche, realizzate in Cina, dimostri di non resistere al freddo dell’inverno scandinavo: segue una massiccia campagna di richiamo che porta l’azienda alla bancarotta. Gli investitori sostengono la startup, ma il momento non è comunque per niente facile.
Si iniziano a cercare partner nel mondo dei caschi, mondo che accoglie però l’idea con scetticismo. Servono anni di pazienza e di discussioni prima di convincere il primo produttore: POC, altra azienda svedese molto attiva nel campo degli sport invernali e della bici. È il 2009, e gli impatti rotazionali sono destinati a restare ai margini della discussione per molto tempo ancora. Le buone collaborazioni nel mondo degli sport invernali (POC, Scott e pochi altri) non bastano a evitare nuove difficoltà finanziarie, risolte finalmente nel 2014 con l’ingresso deciso e decisivo del gruppo americano BRG, che produce caschi (con il marchio Bell e altri).
In quegli anni il tema della concussione si è arroventato negli USA – in particolare per gli sportivi come i giocatori di football e di hockey – e BRG si interessa ai risultati di Mips, decidendo di investire ma anche di cambiare approccio: niente più caschi in proprio, ma collaborazione con altri produttori per vendere loro la tecnologia di protezione dagli impatti rotazionali. Dopotutto, se il tema è così importante e l’idea è così efficace, deve avere la diffusione più ampia possibile.
Il riconoscimento mondiale
Stavolta le cose vanno meglio. Il prestigio di BRG e dei suoi marchi convince qualcuno in più, e le cose cominciano a girare. L’aumento dei clienti riduce i costi e i tempi di sviluppo delle soluzioni Mips, e già nel 2015 i conti per la prima volta non sono in rosso, grazie ancora soprattutto ai mercati della neve e della bici. Nel mondo moto è il motocross, dove le cadute sono la regola, a fare da traino, ma nel 2016 arriva anche il primo casco stradale Mips, il Bell Qualifier. Nel 2017 Mips, in pieno stile americano, va in borsa quotandosi al NASDAQ di Stoccolma, e il resto è storia recente.
Oggi Mips ha accumulato un know-how che probabilmente nessun altro al mondo possiede. Non ha mai smesso di affinare i suoi modelli di simulazione e di sviluppare metodi di prova sempre più precisi per confrontare i risultati di caschi con e senza Mips. Il suo modo di lavorare resta quello di prendere da un produttore il progetto del casco, modificarlo inserendo una delle diverse tecnologie che sono state sviluppate e consegnare, solo dopo che si è raggiunto il livello concordato di riduzione delle forze, il progetto così modificato. Grazie alla sua capacità di simulazione, Mips può assistere le aziende anche nella scelta dei materiali e degli spessori, riducendo il numero di tentativi che generalmente viene fatto per superare le soglie di omologazione.
Nella versione più recente, i test Mips consistono nel far cadere il casco su un piano inclinato con un macchinario che tutti i laboratori di certificazione del mondo già utilizzano. Il casco viene testato a rotazione sui tre assi, e i risultati vengono usati per analizzare gli effetti sul cervello, tramite il modello matematico interno. L’obiettivo ultimo, infatti, non è tanto quello di superare i test di omologazione ma di ridurre gli effetti della caduta sul cervello.
Si apre il dibattito
Tornando all’inizio, possibile allora che un pezzo di plastica faccia tutta questa differenza? Sì, è possibile. Dietro c’è un sacco di ingegneria, anni di studi. Secondo Mips gli effetti delle forze “di taglio” che si sviluppano durante la rotazione sono da 7 a 10 volte più grandi degli effetti delle forze “lineari” dell’urto, tipicamente delle compressioni a cui la gelatina del cervello già resiste piuttosto bene. E se pensiamo che un battito di ciglia dura 100 millisecondi e in una caduta il casco esercita il suo effetto in soli 5 o 10 millisecondi, è evidente quanto poco tempo c’è per intervenire. Per questo la riduzione delle forze rotazionali non è un “di più”, ma diventa la cosa più importante.
Ai ragazzi di Mips va insomma riconosciuto il merito di aver (faticosamente) portato all’attenzione generale il tema della rotazione. Sono stati anzi così bravi che altri ricercatori e altri laboratori hanno iniziato a pubblicare i loro test e i loro risultati, generando paradossalmente una certa confusione. Confusione che ha portato l’Europa a inserire le prove a rotazione tra le novità della recente normativa ECE 06, per mettere un po’ di punti fermi. Ma visto che la materia è tutto sommato giovane e non ancora consolidata, c’è a dire il vero un po’ di discussione su alcuni aspetti tecnici, che però hanno un riflesso importante sui risultati.
La testa di prova
Il punto caldo è definire che cosa si misura, e come. Mips e il ECE, per esempio, usano teste di prova diverse. Mips usa le teste “Hybrid3”, quelle dei manichini sviluppati per i crash test: hanno la stessa inerzia della testa umana, ma essendo ricoperte di gomma sviluppano un forte attrito con la calotta, superiore a quello normalmente considerato realistico per una testa umana. ECE usa le classiche teste in acciaio, con un’inerzia un po’ meno vicina a quella della media delle teste umane ma un attrito più realistico. Nessuno dei due ha insomma un modello fisico perfettamente adeguato a valutare i risultati degli impatti, e indirettamente anche l’efficacia delle soluzioni proposte per mitigarli. La soluzione potrebbe essere all’orizzonte, perché c’è un gruppo di lavoro europeo (WG11) che sta sviluppando nuove teste, pensate apposta per questo tipo di test. La speranza è che arrivino nel giro di pochi mesi, permettendo di dirimere un po’ di dubbi e migliorare ancora la protezione offerta dai caschi che indossiamo.
Ecco le ultime dichiarazioni di MIPS in proposito:
"La posizione di Mips, dopo anni di ricerca scientifica, è che la forma della testa Hybrid III imita più da vicino la testa umana rispetto all’EN960, nonostante la differenza di coefficiente di attrito. I risultati mostrano chiaramente che i caschi con e senza il sistema Mips hanno riduzioni simili utilizzando la forma della testa Hybrid III rispetto alla forma della testa EN960. Ci sono altre caratteristiche, come il momento di inerzia, la massa complessiva e la conformità della pelle che influenzano la capacità di una forma della testa di imitare al meglio il cranio umano ed il suo comportamento in caso d’impatto.
In Mips, crediamo di dover fare un passo oltre la forma della testa EN960, che è stata sviluppata più di 40 anni fa esclusivamente per i test di impatto lineare. Quando è stato convocato il WG11, la forma della testa EN960 non era considerata la migliore rappresentazione della testa umana, specialmente nei test per il movimento rotatorio. A quel tempo, il miglior candidato era la testa Hybrid III. La necessità di ulteriori progressi nelle forme della testa era chiara. Da allora il WG11 ha deciso di sviluppare una nuova forma della testa per tenere conto di tutti gli aspetti, tra cui massa, momento di inerzia, centro di gravità, forma, influenza del collo e coefficiente di attrito.
I metodi di test Mips sono in costante miglioramento sulla base di nuovi dati scientifici e sulla comprensione di scenari di incidenti reali. Facciamo parte del WG11 di altri gruppi di standardizzazione in Europa e negli Stati Uniti che di conseguenza influenzano il nostro lavoro. Questo è uno dei motivi per cui abbiamo stabilito la nostra tecnologia sulla forma della testa Hybrid III e perché inizieremo a utilizzare la nuova forma della testa WG11 non appena sarà pronta".
Se la forma è sostanza
Mips lavora oggi con oltre 140 aziende produttrici di caschi (in ambito moto Alpinestars, Bell, BMW, Dainese, LS2, Suomy e molti altri), e all'ultimo Eicma era per la prima volta presente con un vistoso stand - ovviamente giallo - e l'annuncio della partnership con il produttore giapponese Kabuto per un nuovo casco omologato per la MotoGP. Non tutti però hanno sposato la sua linea, in parte per il dibattito cui abbiamo appena accennato: sia in ambito bici che in ambito moto c'è chi ha sviluppato in proprio sistemi diversi (cosa peralro non facile, visto che Mips ha depositato una trentina di brevetti), chi si affida totalmente ai requisiti ECE 06 e anche chi pare non porsi troppo il problema.
L’importante è comunque che il tema della concussione e della rotazione sia entrato nella discussione generale: la prossima volta che scegliete un casco, chiedetevi se considera tutti gli aspetti critici in fatto di protezione.
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