Attualità
Se questa è la CINA
Davvero l'arrivo dei cinesi porterà a un impoverimento del tessuto produttivo italiano? Il caso di Benelli sembra raccontare l'esatto contrario
Qualche anno fa negli USA fece rumore la polemica tra Ford e Toyota. La prima impostò una campagna pubblicitaria sul "Buy American" – comprate americano – e la seconda replicò facendo notare che in termini di componentistica e di posti di lavoro, c'era più America dentro una sua Camry che non in una Mustang.
La stessa discussione è arrivata oggi da noi con la paura della Cina, un Paese ancora più lontano nella cultura, più grande economicamente e più aggressivo commercialmente.
Bene: non c’è dubbio che ci si debba preoccupare della nostra competitività rispetto alla Cina e ai Paesi dell’Estremo Oriente in generale. Ma se andiamo a vedere come si è comportata la Cina nel nostro settore, le cose fanno riflettere.
I primi passi
La Cina si materializzò sul serio nel mondo delle due ruote a fine 2005, con l'acquisizione della Benelli dal Gruppo Merloni. Quella Benelli era un'azienda piccola, ma fatta e finita: ingegneria, stile, marketing e naturalmente le linee di produzione. Occupava in tutto un centinaio di persone, che vennero mantenute al loro posto. Il progetto iniziale prevedeva di continuare ad assemblare le tre cilindri a Pesaro, con però sempre più parti realizzate in Cina: non funzionò, e dopo la crisi finanziaria del 2008 si decise, sostanzialmente, di ripartire da zero.
Le maestranze vennero ridotte, si ridimensionò tutto e si ricominciò dalle piccole cilindrate, le 250 e 300 mono e bicilindriche realizzate per intero in Cina. Benelli, che era sempre rimasta un'azienda di diritto italiano e non solo un marchio, in quel momento fu effettivamente poco più di una "antenna" commerciale di QJ in Italia.
Poi però sui siti di ricerca di lavoro comparvero annunci con richieste di designer, addetti stampa, marketing: sede di lavoro, Pesaro. Tornò a essere fatto internamente lo stile, poi ripartì anche l'ingegneria. Vennero assunti responsabili esperti, arrivati da altre realtà italiane ed europee e molti giovani volenterosi, tutti italiani.
Benelli oggi
Oggi Benelli è un'azienda italiana di proprietà cinese che macina record su record, occupa 70 persone e con questo trend tornerà presto ad occuparne 100 come prima. Con la differenza che sarà quasi tutto personale giovane e qualificato: ingegneri, designer, esperti di marketing.
È un caso? Può darsi, ma lo stesso hanno fatto Huawei nelle telecomunicazioni e altre aziende cinesi in altri settori.
È una strategia che serve a “rubare” le nostre competenze? Può darsi, ma nel frattempo pezzetti del tessuto industriale italiano prosperano anziché fare la muffa, gestiti da imprenditori italiani poco competenti o poco motivati. Imprenditori per i quali l'industria è una faccenda troppo difficile e che sempre più spesso preferiscono investire nei centri commerciali o nella logistica, dove assumono personale il meno possibile qualificato e il più possibile privo di diritti e costruiscono non motociclette, ma immensi capannoni che rubano spazio alle coltivazioni e intasano di tir e furgoncini strade e autostrade.
Se questa è l'Italia e quella è la Cina, scusate ma preferisco la Cina.
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