Attualità
ASTEMO, il nuovo colosso della tecnologia giapponese
Tre dei più rinomati fornitori giapponesi di tecnologia, di proprietà Honda, si sono fusi con Hitachi. I primi risultati si sono visti all'ultimo Eicma: ecco cosa potrebbe succedere
Tra gli espositori dell’ultimo EICMA, ce n’era uno molto vecchio ma con un nome molto nuovo: Astemo. Un nome che dovremo imparare a conoscere, un nome frutto delle nuove strategie globali delle aziende che in nome della globalizzazione arrivano a rinunciare alla propria identità nazionale, perlomeno nella facciata.
Così fanno moltissime aziende cinesi attive nell’elettronica o alla mobilità e così comincia a fare qualche giapponese: dalla fusione di quattro aziende dal nome e dalla storia chiaramente nipponici come Hitachi, Keihin, Showa e Nissin nasce infatti un acronimo inglese buono per tutti i mercati: Astemo, dalle iniziali di "Advanced Sustainable Technologies for Mobility”. A dire il vero Hitachi, che nella fusione ha fatto la parte del leone, è rimasta (Hitach Astemo); detiene il 66,6% delle quote, contro il 33,4% di Honda che già controllava Showa, Nissin e Keihin (Hitachi ha portato altri marchi come Tokico, Paraut e Chassis Brakes).
La dimensione conta
Cosa significa questo? Come abbiamo già detto, questa operazione si spiega con l’esigenza strategica di dar vita a un fornitore con la dimensione necessaria ad affrontare le costosissime sfide del prossimo futuro, dall’elettrificazione alla guida autonoma. La potente industria giapponese ha fatto in modo di aggregare le proprie eccellenze troppo piccole, per arrivare a un nuovo “campione nazionale” da affiancare a Denso, Aisin, Panasonic e Mitsubishi Electric (l’Italia, maestra degli spezzatini, non riesce purtroppo a fare altrettanto). Basta andare sul sito Astemo – tra l’altro per nulla “giapponese”: chiaro, ben illustrato e piuttosto prodigo di informazioni – per rendersi conto della varietà di prodotti e sistemi offerti dalla nuova azienda: dalle forcelle agli iniettori e dall’ABS alle piattaforme inerziali. Questo percorso, che gli economisti chiamano di “integrazione verticale”, consente di offrire alle Case pacchetti completi, secondo la logica aggressivamente seguita per prima da Bosch. Prendiamo gli scooter elettrici: Bosch offre oggi pacchetti del tipo batteria+motore elettrico+ inverter+linea CAN+cruscotto+ABS, che già “si parlano”, e naturalmente semplificano di molto la vita ai costruttori, spesso alle prese con altri problemi e che non vedono l’ora di trovarsi parte del lavoro già fatto, soprattutto se parliamo di piccole Case prive al loro interno di grandi e strutturate competenze, (un esempio lo troviamo sul Peugeot e-Ludix).
Questa leva tende naturalmente a mettere fuori gioco altre aziende che offrono solo uno dei prodotti. Tanto per capirci, puoi avere il motore elettrico migliore del mondo, ma se integrarlo con gli altri componenti costa due mesi di lavoro al tuo ufficio tecnico, tenderai a preferire la soluzione “pronto uso”. Ecco una delle ragioni perché non solo nel campo dell’elettrico, ma in generale nelle forniture automotive, è in atto questo processo di fusione e integrazione da parte dei fornitori; l’altra grande ragione è ovviamente quella di realizzare forti economie di scala potendo produrre grandi numeri e ottimizzare i propri processi.
Proprio un percorso di questo tipo è quello intrapreso a partire da gennaio 2021 da Astemo, che ha iniziato a integrare le proprie forze produttive per poter offrire soluzioni più articolate e a costi inferiori. Gran parte della partita riguarda come sempre l’auto, ma il fatto che dentro questa azienda ci sia una solida branca a due ruote è garanzia che anche le moto non verranno “tagliate fuori” dagli sviluppi più avanzati ma potranno beneficiare di qualche ricaduta naturale.