Attualità
Idee e spunti di riflessione: moto italiane e treni giapponesi
Riflessione nata per caso sulle differenze tra le nostre moto e i nostri treni. Se tutta l’Italia fosse come la sua industria motociclistica, sarebbe un paese migliore
L’Intercity che deve portarmi in Centro Italia per un’intervista ha 40 minuti di ritardo, e più che altro per principio vado a chiedere il rimborso. Al che la bigliettaia, anziché scusarsi per il ritardo, mi informa con puntiglio da maestrina che “l’Intercity rimborsa oltre i 60 minuti di ritardo. Solo le Frecce oltre i 30 minuti”.
Ecco: chiamare “Freccia” un treno che può impunemente accumulare 29 minuti di ritardo su un viaggio di 2 ore ci copre di ridicolo in tutti i Paesi civili; sicuramente in Giappone, dove qualche anno fa l’amministratore delegato delle ferrovie si è scusato perché i treni ad alta velocità avevano accumulato, tutti insieme, 12 secondi di ritardo complessivo in un anno.
Per combinazione, in viaggio stavo leggendo la bozza della comparativa tra la Ducati Monster e la Yamaha MT-09 SP che (trovate qui!) e non ho potuto fare a meno di chiedermi come sia possibile che l’Italia sappia produrre una moto alla pari per tecnologia, prestazioni e addirittura prezzo con una moto giapponese mentre sia così scadente nel campo dei trasporti pubblici.
Da questa faccenda possiamo trarre due lezioni. La prima è che non bisogna avere paura del confronto con gli altri, anche se il confronto non è facile. E la seconda è che se le nostre moto sono fra le più ammirate al mondo è perché gli italiani, quando questo confronto lo hanno accettato, hanno dimostrato di avere le risorse per poter stare alla pari con i migliori
Primo, e mi scuserete la deformazione da ingegnere, l’Italia dei tecnici non è l’Italia dei manager. E questo per un problema di selezione: i nostri tecnici sono selezionati sulla base del merito e sanno che se sbagliano un progetto non hanno scuse, mentre per i nostri manager più delle capacità contano le relazioni.
La vera risposta alla domanda, però, non arriva tanto dal mercato del lavoro distorto dalle relazioni, quanto dal mercato vero e proprio distorto dalla mancanza di concorrenza. Prendiamo il mercato europeo delle moto: Ducati, che esisteva già quando le Case giapponesi fecero irruzione e scompiglio, ha accusato il colpo, ha sofferto, ha lottato e ha saputo ribattere. Oggi è un’azienda vincente, che corre nel massimo campionato di Velocità e vende nei mercati di tutto il mondo: ma per riuscirci ha dovuto accettare le regole del gioco e mettersi al livello degli altri.
Trenitalia (nata da una costola del monolite “Ferrovie Italiane”), invece, solo da pochi anni si confronta con la concorrenza, ed è una concorrenza molto imperfetta. I viaggiatori italiani non possono scegliere un treno giapponese per viaggiare in Italia, e i risultati sono quelli che si vedono. Se avesse dovuto (e saputo) soffrire e lottare come Ducati, oggi Trenitalia offrirebbe treni più puntuali. Oppure starebbe morendo, come Alitalia nonostante i tanti miliardi pubblici investiti.
Da questa faccenda possiamo trarre due lezioni. La prima è che non bisogna avere paura del confronto con gli altri, anche se il confronto non è facile. E la seconda è che se le nostre moto sono fra le più ammirate al mondo è perché gli italiani, quando questo confronto lo hanno accettato, hanno dimostrato di avere le risorse per poter stare alla pari con i migliori.