ZERO CONTROLLI
Per aggirare i problemi, molti capitolati prevedono che gli asfalti debbano avere certi requisiti prestazionali. Che vengono verificati solo sulla carta: i materiali inerti tenuti assieme dal bitume (componente che incide dal 4 al 7% nella composizione dell’asfalto; ndr), hanno determinati valori di
“Los Angeles”, ossia l’indice che misura la durezza della pietra, e di CLA, il
Coefficiente di levigabilità accelerato, che ne garantisce la prestazione nel tempo. Ci si basa solo su questi per capire quale sarà la “resa” di una strada nel corso degli anni. E una volta steso e compattato, l’asfalto non viene verificato quasi mai sul campo. Solo i
grossi gestori di strade a pedaggio, come Anas e Autostrade, dispongono di adeguati macchinari per verificare strumentalmente il
CAT (Codice di aderenza trasversale), che misura la performance del manto stradale. Loro però hanno tutto l’interesse a controllare l’asfalto, visto che la prestazione dell’asfalto e l’incidentalità sono due leve utili a incrementare le tariffe di pedaggio. Un buon asfalto, insomma, fa guadagnare chi gestisce le strade.
L’altra faccia della medaglia è quella di
province e regioni: oltre che essere carenti di mezzi, hanno anche competenze ridotte in questo settore. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la manutenzione stradale è dozzinale e dettata dalle emergenze. “In Italia non facciamo manutenzione - dice
Jarno Zaffelli, ingegnere di Dromo (lo studio di ingegneria che progetta i circuiti di mezzo mondo) e grande esperto di asfalti - rifacciamo solamente il tappeto d’usura. E in molti casi i tecnici che li approvano non sanno nemmeno quali inerti ci vanno dentro”.