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Attualità

Guardrail moto: un decreto che poteva essere migliore. Ecco perché

Marco Gentili
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Dueruote ha letto il decreto ministeriale che disciplina i guardrail salvamotociclisti. Che contiene molte criticità e alcuni aspetti migliorabili. Ma se i lavori sulle infrastrutture sono fermi, questo documento da solo serve a poco

Un decreto ministeriale non può essere la soluzione a tutti i mali. E il documento varato dal Ministero dei Trasporti, che disciplina l’obbligo di installazione di guardrail per moto (i DSM, o dispositivi salvamotociclisti) non fa eccezione.  

Cosa prevede il decreto

Il decreto prevede l’obbligo di installare barriere salva-motociclisti su tutte le curve circolari caratterizzate da un raggio minore di 250 metri nei casi di interventi di nuova costruzione, di adeguamento di tratti stradali esistenti che comportano varianti di tracciato e/o rinnovo delle barriere di sicurezza stradali su tratti significativi, oppure su strade esistenti non soggette ad interventi ma dove siano avvenuti nel triennio almeno cinque incidenti con morti e/o feriti, che abbiano visto il coinvolgimento di motoveicoli e/o ciclomotori.  

I guardrail e il crash test

A ben vedere però il decreto (che deve essere ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale) restringe molto la platea di strade su cui tali dispositivi possono essere installati. Si parla infatti delle strade di cui al decreto ministeriale 223 del 5 novembre 2011, ossia quelle “con velocità di progetto superiore o uguale a 70 km/h” con curve con raggio minore di 250 metri. In parole povere, le statali a doppia corsia. Il decreto differenzia nettamente le tipologie di guardrail su cui tali barriere possono essere installate. Sui guardrail installati prima del 1992 (ossia prima dell’introduzione del decreto ministeriale che obbligava i guardrail a essere sottoposti a crash test) infatti i DSM possono essere installati senza ulteriori verifiche. E fin qui tutto bene. I problemi iniziano ad emergere con i guardrail installati nel periodo 1992-2011, quando è entrato in vigore l’obbligo della marcatura CE. Su questi guardrail infatti i DSM possono essere messi senza ulteriori verifiche a patto che si verifichino alcune condizioni tecniche ben precise (che per brevità non stiamo ad elencarvi). Se queste non si verificano, l’intera struttura (guardrail più DSM) deve essere sottoposta nuovamente alla prova di impatto. Stessa questione anche per i guardrail successivi al 2011, quelli con marcatura CE: qui i DSM possono essere applicati senza ulteriori verifiche se un organismo notificato esprime una valutazione positiva su tale barriera. Ma non è così scontato. Come dice l’ingegner Stefano Calamani di Aisico (un’autorità mondiale nel settore), “non è detto che un dispositivo certificato cui viene applicato un DSM certificato sia efficace. Noi abbiamo fatto test di laboratorio in cui un guardrail CE cui veniva aggiunto un DSM CE era sicuro per i motociclisti ma pericolosissimo per le auto”.  

Come viene fatto il crash test

Attualmente la prova d’impatto che stabilisce se un dispositivo è certificato viene fatta con criteri decisamente opinabili, stabiliti in modo arbitrario dalla Comunità Europea. La TS 1317-8 infatti dice che i test d’impatto tra i motociclisti e i guardrail avvengono simulando l’impatto del motociclista che, scivolando di schiena, impatta trasversalmente contro la struttura di contenimento a 60 e successivamente 70 km/h. “Si tratta di una simulazione poco realistica di un impatto – dice Calamani – infatti spessissimo avviene che il motociclista impatti il guardrail mentre è in volo, una volta disarcionato dalla moto”.  

Solo ANAS può farlo

La questione principale però è un’altra e ha due aspetti importanti da analizzare, senza l’isteria che abbiamo riscontrato navigando in rete. La prima è che un’azienda che intende omologare un DSM è costretta a spendere dagli 80 ai 100mila euro per una simulazione di crash test presso un ente certificato. E il mercato dei DSM, almeno in Italia, è quasi inesistente. Del resto, anche il settore della cantieristica stradale langue, e il mercato dei guardrail da solo vale pochi spiccioli. Obbligare, come fa questo decreto, un’azienda a investire ingenti somme per testare i DSM significa stroncare un settore sul nascere. L’unico soggetto che ha le potenzialità per farlo è ANAS, che recentemente ha certificato una barriera con DSM che ha tutte le caratteristiche – come conferma Calamani – per essere installata nei tratti curvi.  

Si può fare meglio

Come si può migliorare un decreto tanto atteso (giaceva da tre anni nei cassetti del Ministero delle infrastrutture) che, comunque la si pensi, rappresenta un passo in avanti rispetto al nulla che c’era prima? La prima soluzione è a monte, ovvero sbloccando i cantieri fermi e investendo sulle infrastrutture. Solo un cospicuo piano di investimenti sulle nostre strade può generare commesse, far fiorire progetti, generare investimenti e permettere alle aziende che producono DSM di fatturare, innovare e potersi permettere crash test così onerosi. In secondo luogo, basterebbe fare come avviene oggi in Spagna: “In quel Paese, dove l’industria dei DSM ha più storia ed è ben sviluppata, vige un sistema di deroghe che consente di allargare la platea dei guardrail dove installare questi dispositivi senza obbligare il produttore a fare un crash test”, dice Calamani. Il problema è che in Italia nessuno, tantomeno il Ministero delle infrastrutture, si prende la responsabilità di istituzionalizzare delle deroghe e dire “Installate pure il DSM su questi guardrail senza dover fare nuovamente il test sulla struttura”. Anche perché, se succede un incidente grave in quel punto, chi si prende la colpa?  
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