Attualità
Furti senza frontiere
L’inchiesta di Dueruote: le mani delle mafie ucraina e moldava sui mezzi di grossa cilindrata. E quelle della criminalità africana sugli scooter. Ecco le tecniche usate per farli sparire
Chi ha scritto la Convenzione di Schengen, l’accordo che ha abolito i controlli alla frontiera tra gli stati europei aderenti per favorire la libera circolazione di uomini e merci, non ci avrà sicuramente pensato.
Ma lo stesso documento che ci permette di non fare file interminabili in aeroporto o all’interno dell’Unione europea, è ciò che permette ai ladri di moto di far scomparire velocemente i mezzi dalle nostre strade, dai nostri box, da sotto al nostro naso. Dati alla mano, se il furto di motoveicoli non è un’emergenza nazionale in termini numerici (grazie anche al lavoro tempestivo svolto dalle forze dell’ordine sul fronte dei rinvenimenti), lo è per l’estrema specializzazione e per la dimensione internazionale che sta raggiungendo. Dimentichiamo il piccolo criminale che ruba lo scooter per rivenderlo al primo carrozziere truffaldino, o la malavita locale.
Il furto di moto e scooter è, almeno dal 2013, affare di una rete sfuggente e difficile da individuare, dove a farla da padrone c’è la criminalità ucraina e moldava da un lato, e quella nigeriana e ghanese dall’altro. Le tecniche usate sono sempre più raffinate, efficaci e veloci. Tanto che la Polizia stradale da anni si è dotata di una divisione dedicata (la terza), guidata dal primo dirigente Giuseppina Minucci. Il braccio armato della lotta ai furti di moto e scooter nelle nostre città si chiama Francesco Petito, ispettore superiore della Polizia di Stato, che dal 1999 (ossia quando è stata creata la divisione) è impegnato nel braccio di ferro quotidiano contro gli autori del crimine più odiato da tutti i motociclisti. È lui a guidarci in un incredibile giro del mondo a caccia delle moto.