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Attualità

L'inchiesta di Dueruote: i signori del pedaggio

Redazione
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Ogni anno al casello paghiamo sempre di più. Ma dove vanno a finire i nostri soldi? Quanto si investe in sicurezza sulla rete autostradale? Ecco tutte le domande. E le risposte che non vi farà certo piacere leggere, nell'inchiesta realizzata da Dueruote in seguito al crollo del ponte Morandi a Genova

Ph. Andrea Leoni/Getty
L'inchiesta di Dueruote: i signori del pedaggio
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L'inchiesta di Dueruote: i signori del pedaggio
L'inchiesta di Dueruote: i signori del pedaggio
Il crollo del ponte Morandi e il pesante tributo di sangue (43 vittime) ha smosso le coscienze. Adesso anche per noi motociclisti e utenti della strada è arrivato il momento di interrogarsi su un sistema (quello delle concessioni) che mostra tutte le sue crepe. Chi guadagna dai pedaggi autostradali? Dove vanno a finire quei soldi? Perché si paga il pedaggio? Scopriamo insieme quali sono i meccanismi che regolano le nostre autostrade. E confrontiamoli con ciò che accade all’estero. Perché certe cose non devono più ripetersi.  

1. Come funziona la rete autostradale italiana?

La rete autostradale del nostro Paese è lunga circa 7mila km. La prima autostrada è stata la Milano-Laghi, (inaugurata nel 1924), ma la vera espansione della rete si ebbe con la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni, fondata nel 1950 dall’Iri. Il Gruppo Autostrade, nato nel 1982 dall’unione di vari concessionari, venne poi privatizzato nel 1999. Sin dagli anni della ricostruzione postbellica, alcuni Paesi come l’Italia decisero di finanziare la costruzione delle loro autostrade mediante i pedaggi. Il vantaggio (rispetto a un incremento dell’imposta sui carburanti, ad esempio), è che i proventi possono esser legati al finanziamento delle autostrade grazie al vincolo contrattuale della concessione. Il pedaggio può quindi essere visto come un’imposta di scopo. Le autostrade sono regolate da un meccanismo che vede da un lato il concedente (cioè lo Stato) e dall’altro il concessionario, ossia il soggetto che si fa carico di tutti i costi di costruzione, manutenzione e gestione, a fronte del diritto di riscuotere il pedaggio pattuito per il periodo della concessione.

2. Chi gestisce le autostrade?

Per 3.020 km, quasi la metà del totale, la rete è gestita da Autostrade per l’Italia (società per azioni controllata da Atlantia, a sua volta riconducibile alla famiglia Benetton), seguita da Sias (società del Gruppo Gavio, che gestisce 1.423 km di rete tra cui la A4 Torino-Milano), da Anas (circa 1.000) e da altri concessionari più piccoli. In totale, sono 25 le società private che controllano la rete.  

3. Perché si parla tanto delle concessioni?

Dopo il crollo del viadotto Polcevera (il ponte sulla A10 che attraversava Genova; ndr) che ha causato 43 morti, è tornata in discussione la possibilità di revocare o far decadere la concessione ad Autostrade per l’Italia. Da più parti si afferma che è proprio il funzionamento del meccanismo delle concessioni, unito alle condizioni contrattuali di cui beneficiano i concessionari, a favorire il degrado della rete, la sua scarsa manutenzione.  

4. Quali sono le anomalie delle concessioni?

Fino all’operazione trasparenza voluta dal ministro Danilo Toninelli - e in seguito al crollo del viadotto Polcevera a Genova - i dettagli delle concessioni erano di fatto coperte da segreto: le convenzioni, prima che subentrasse il Mit, erano dei contratti tra due società (il concessionario e Anas) e quindi inaccessibili a terzi. Nel gennaio 2018 il precedente ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio aveva desecretato gli atti (dopo pressioni da parte della Commissione europea per la concorrenza), ma mancavano gli “atti aggiuntivi”, ovvero gli allegati chiave che regolano nel dettaglio i contenuti dell’accordo economico tra Stato e concessionario. In secondo luogo, esiste un’anomalia tutta italiana per cui le concessioni, affidate ai tempi delle privatizzazioni nel 1996-97, sono sempre state prorogate e mai messe a gara pubblica, come prevede l’Unione europea. Le proroghe sono state sempre lunghe e generose. Nel caso di Autostrade per l’Italia, la concessione del 1997 e valida fino al 2038 (integrata nel 2002 e 2007 da atti aggiuntivi) è stata prorogata lo scorso aprile fino al 2042. Ma in Italia esistono anche concessioni ben più lunghe: quella del traforo del Monte Bianco (società controllata al 51% da Autostrade per l’Italia) o del Frejus (concesso a Sitaf, ossia Anas e Gavio) sono in scadenza nel 2050.  

5. Come hanno fatto i concessionari a ottenere proroghe così lunghe?

Come spiega Giorgio Ragazzi, docente di scienza della finanza all’università di Bergamo e primo tra gli accademici italiani a indagare nel settore, “le norme dell’Unione Europea impongono, alla scadenza di una concessione, che questa debba essere riassegnata tramite gara, escludendo la possibilità di semplice rinnovo. È però bastato prorogare la scadenza del piano finanziario oltre la scadenza della concessione, come è stato fatto poi in molti casi, fissando l’indennizzo che sarebbe stato dovuto al concessionario uscente, se la concessione fosse stata assegnata ad altri alla sua scadenza. Ma quello che premeva alle concessionarie era proprio la proroga della concessione, per allontanare nel tempo lo spauracchio della gara”. In sostanza, la proroga è arrivata con la promessa di nuovi investimenti.  

6. Perché paghiamo il pedaggio?

Come detto prima, il pedaggio serve a finanziare la costruzione dell’opera. Ma una volta che l’opera è stata ripagata, qual è la funzione del pedaggio? Tutti gli investimenti effettuati per costruire le autostrade, infatti, erano già ampiamente ricompensati e ammortizzati giò alla fine degli anni Novanta. E allora? Di fatto si configura come una tassa di passaggio, una specie di gabella medioevale. “Quando un’autostrada è stata ammortizzata, il pedaggio diventa per lo più un’imposta ed è meglio allora che la riscuota direttamente lo Stato piuttosto che un concessionario. Esazione e manutenzione possono essere affidate per gara ad imprese private, con evidenti benefici per la concorrenza”, suggerisce Giorgio Ragazzi. Anche perché allo Stato ne entra in tasca una quota minima: Autostrade corrisponde allo Stato un canone di concessione del 2,40% sui ricavi dai pedaggi.  

7. Dove vanno a finire i soldi dei pedaggi?

Ogni anno i gestori incassano circa 6 miliardi. Nel 2017, ad esempio, i ricavi da pedaggio di Autostrade per l’Italia sono stati 4 miliardi e 195 milioni, mentre quelli di Sias 1 miliardo e 17 milioni. Però i contratti in essere prevedono che lo Stato incassi solo una parte di quella somma (i cosiddetti “oneri di concessione”). Bankitalia ha calcolato che, per 1,1 milione di euro incassato, 850mila restano ai concessionari. Ma fanno ancora più impressione i dati del Sole 24 Ore: dal 2001 al 2017, Autostrade per l’Italia ha incassato 43,7 miliardi in ricavi da pedaggi, versandone 3,6 allo Stato come oneri di concessione. Quindi paghiamo il pedaggio per due motivi: da un lato per finanziare le opere di ammodernamento e manutenzione, dall’altro (soprattutto) per ingrassare i bilanci delle società concessionarie, che fanno grazie ai pedaggi un utile medio del 20%. Di fatto l’autostrada è un monopolio naturale da cui non è possibile affrancarsi. E l’aumento progressivo del traffico negli anni ha ingrassato gli introiti da casello.  

8. Perché viaggiare in autostrada ogni anno è sempre più caro?

In primo luogo perché in Italia, con la privatizzazione della rete autostradale, non è mai stata messa in funzione un’authority per il controllo del mercato. L’Autorità per la regolamentazione del traffico è nata solo nel 2013 ed è un’arma spuntata: per il settore autostradale infatti le sue competenze sono relative solo alle nuove concessioni e non a quelle in essere. In assenza di un regolatore, il meccanismo che ogni anno porta il pedaggio a salire è fumoso e difficilissimo da spiegare. Il calcolo dell’aumento si basa si quattro elementi: l’inflazione, la qualità del servizio, il parametro X e il parametro K. La qualità del servizio è basata su pavimentazione e indici di mortalità, il parametro X è particolarmente fumoso e tiene conto di moltissimi fattori (tra cui la remunerazione del capitale investito) mentre il parametro K tiene conto degli investimenti aggiuntivi. Il mistero che circonda questi fattori e l’opaco modo in cui essi si sono evoluti nel corso degli anni ha lasciato ai gestori e allo Stato ampi margini di manovra. Dati alla mano i ricavi da pedaggi (al netto di imposte e canoni) sono aumentati del 16,7% nei tre anni 2013-2016 contro un aumento dei prezzi al consumo dello 0,6%, ed hanno raggiunto 5,7 miliardi nel 2016. Anche perché nei piani finanziari delle concessioni è stato attribuito ai concessionari il rischio legato ai volumi di traffico: fatto che non ha introdotto alcun incentivo all’efficienza ma si è solo rivelato una fonte di extraprofitti, per via delle prudentissime previsioni inserite nei piani finanziari.

9. Ma è vero che alla fine i soldi del pedaggio servono per mettere in sicurezza le strade?

I gestori investono in manutenzione, opere di ampliamento e consolidamento della rete (basti pensare alle “quarte corsie” nate nelle autostrade per far fronte all’aumento del traffico veicolare). Secondo Il Sole 24 Ore, dal 2000 al giugno 2017 tale spesa è stata di 11 miliardi e 632 milioni (un quarto impegnati in spese per pavimentazioni). Ma è anche vero che, come denuncia il professor Ragazzi, “gli investimenti delle concessionarie continuano a scendere da anni, da una media di 2,4 miliardi nel 2008-2015 ad appena un miliardo nel 2017 ed ancor meno sono quelli attesi nel 2018. Il risultato della regolazione degli ultimi 10 anni è disastroso: enormi profitti per tutte le concessionarie e pressoché zero nuovi investimenti nel settore”. Inoltre gli investimenti sono stati spesso sventolati come “promessa” per ottenere rinnovi e proroghe alle concessioni in essere.  

10. Chi deve vigilare su lavori e manutenzione?

Il responsabile della sicurezza della rete è il concessionario, ma al Ministero dei trasporti spettano compiti di vigilanza. La convenzione dice che “il concedente vigila anche sui lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e sui ripristini”. Per legge ogni tre mesi viene fatta un’ispezione. Ogni due anni, invece, c’è un controllo più approfondito, non solo visivo ma anche strumentale. I controlli trimestrali vengono svolti dalla società concessionaria. Quelli biennali e più approfonditi in genere vengono affidati a ingegneri esterni. Le opere di manutenzione straordinaria devono essere approvate in ogni caso dal Mit.  

Come funziona all'estero?

Germania La rete delle Autobahn tedesche (13mila km) è gratuita, fatta eccezione per i mezzi sopra le 12 tonnellate. Il ricavo medio per chilometro è tra i più bassi d’Europa: 312 mila euro l’anno. Tali ricavi sono sono reimpiegati in investimenti per sicurezza e sviluppo. Francia La Francia ha una rete a pedaggio di 9.100 chilometri, gestita da 19 concessionari. Qui gli atti dei contratti sono pubblici e consultabili on-line. Le tariffe vengono riviste ogni cinque anni. Il ricavo medio dei concessionari per chilometro è di 950mila euro. Spagna Il pagamento del pedaggio, che viene definito dal Ministero dei lavori pubblici, è previsto soltanto su 3.400 dei 15mila km della rete autostradale (la più estesa d’Europa, costruita negli Anni 70). Il ricavo medio annuo per chilometro è di 477mila euro. Regno Unito I 3.700 km di autostrade (eccetto la M6) sono ad accesso gratuito e gestite dallo Stato. I costi di manutenzione vengono caricati sulle tasse automobilistiche. I privati sono talvolta coinvolti nell’ampliamento della rete o nella costruzione di tunnel. Austria La rete (2.200 km), finanziata con risorse pubbliche, è gestita da una società per azioni statale. Il pedaggio si paga con la “vignette” (un bollo adesivo di costi e durata variabile). Il ricavo per km, circa 750 mila euro l’anno, è reinvestito nella rete.

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