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Attualità

La moto: l'elettrico non è la sola risposta

Marco Gentili
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La transizione verso l'elettrico è inevitabile, o quasi. Perché la ricerca continua anche sui carburanti. E l'inquinamento ormai è causato solo in minima parte dalle emissioni dei motori dei veicoli. Cosa ci aspetta da qui al 2030? C'è tanta carne al fuoco: cerchiamo di capirci qualcosa di più

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L’elettrificazione rappresenta un futuro non troppo lontano anche per le moto. La strada è ormai tracciata, ed è l’Europa che ce lo chiede: il continuo inseverimento delle normative antinquinamento (con l’Euro5 alle porte, previsto nel 2020) e il proporzionale sviluppo della tecnologia legata alle batterie avvicina un futuro in cui anche la moto sarà elettrica, con buona pace degli amanti della benzina.

Questo è vero. O almeno, lo è solo in parte. Ne corso degli Stati generali della mobilità, che si sono tenuti qualche giorno fa a Milano, gli attori della filiera automotive si sono confrontati per tracciare le linee del settore nei prossimi anni. Il risultato dell’incontro è che non è tutto bianco o nero, ma le zone grigie sono in crescita.

Per quel che concerne la mobilità su due ruote, emerge un elemento cruciale dall’intervento di Giacomo Mori, managing director di Alix Partners. Il quale, tabelle alla mano, ha fissato intorno al 2030 il punto di svolta, nel quale i veicoli elettrici saranno sufficientemente diffusi sul mercato per costituire una massa critica. Ma è già nel 2023-2025 che saranno altrettanto competitivi – per prezzi, resa e autonomia - rispetto a quelli a combustione interna.

Ma la rivoluzione si prepara già da prima: a partire dal 2018 Enel, attraverso la sua divisione dedicata alla mobilità elettrica Enel X, inizierà a inondare l’Italia di colonnine per la ricarica. Secondo il responsabile di Enel X, Alberto Piglia, la cost parity tra auto elettrica e auto tradizionale è fissata nel 2024. Un dato che si può prendere per buono anche per le due ruote. Come si stabilisce questa data? Con il costo per kilowattora della batteria. Quando questo sarà attorno ai 100 dollari, si raggiungerà l’equilibrio che dovrebbe orientare in direzione dell’elettrico il mercato.

Il piano di Enel, che vuole farsi trovare pronta alla data fatidica, è decisamente ambizioso ma realistico: entro il 2022 in Italia saranno installate 14mila stazioni di ricarica, di cui 3mila con ricarica fast e ultra fast, e 11mila con ricarica quick (quindi leggermente più lenta). Inoltre il veicolo elettrico, in un’ottica di ecosistema, deve essere visto non solo come un consumatore di energia, ma soprattutto come un elemento di equilibrio e bilanciamento: in sostanza, una batteria carica può cedere parte della propria energia al resto della rete, se questa ne ha bisogno.

A limitare, almeno in questa fase, la diffusione di veicoli elettrici è anche il falso mito dell’autonomia: “Già adesso sul mercato – afferma Piglia – esistono mezzi capaci di competere con quelli a motore endotermico, almeno sulle tratte urbane o di raggio medio-corto”. La progressiva crescita dell’autonomia, unita alla capillarizzazione delle infrastrutture di ricarica, eliminerà quella che si definisce range anxiety, ovvero l’ansia da prestazione dei veicoli a batteria.

Tutto scritto, quindi? Dovremo mettere le nostre moto in un museo? No, anzi. Perché da più parti si parla di neutralità tecnologica. Il fine ultimo è quello di rispettare i parametri di emissioni fissati dalla Comunità europea, i mezzi sono secondari. Che siano motori elettrici o tradizionali, poco importa. Ciò che interessa è spingere sul tasto dell’innovazione per realizzare motori sempre più puliti.

Su questo fronte, la posizione dell’industria petrolifera sembra quella più debole. Invece è proprio il contrario, come spiega Claudio Spinaci, presidente dell’Unione petrolifera italiana: “Oggi i nostri prodotti soddisfano il 92% dei trasporti su gomma, e entro il 2030 la quota si eroderà di pochissimo, secondo le nostre previsioni”. Inoltre la ricerca non riguarda solo l’elettrico, ma anche i carburanti: “Nei prossimi anni saranno in commercio le benzine capaci di catturare la Co2 on board: sarà un’autentica rivoluzione”. Il problema secondo l’unione petrolifera - che cita una recente ricerca di ENEA - è che l’inquinamento dei veicoli è dovuto in minima parte alla combustione: “Impianti di frenatura, gli pneumatici e i sistemi di trasmissione sono i principali contribuenti alla pessima qualità dell’aria. Solo lavando le strade il particolato si riduce del 30%. L’Europa e gli accordi di Parigi sull’ambiente hanno demonizzato troppo la combustione. A ben vedere però negli ultimi 20 anni le benzine hanno perso il 90% degli agenti inquinanti”.

L’elettrico quindi è solo in parte la risposta ai problemi dell’ambiente. Anche perché bisogna vedere con quali modalità l’energia per ricaricare le batterie viene prodotta. Ed evitare l’equazione secondo cui la trasmissione elettrica è più ecologica. Il paradosso cinese insegna: là, dove le auto elettriche sono molto diffuse, l’impronta ambientale (il costo cosiddetto well to wheel, ovvero dall’estrazione alla ruota) è più alta di quelle tradizionali. Il motivo? L’energia viene prodotta da centrali a combustione fossile.

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