Attualità
Il Freestyle si è spinto troppo in là?
A inizio anno un incidente ha portato via il giovane talento italiano Kevin Ferrari, ma niente sembra fermare l'evoluzione del Freestyle Motocross: l'australiano Josh Sheehan ha appena mostrato un incredibile triplo backflip. Lo specialista americano Doug Parsons si interroga sul futuro di una disciplina che ormai richiede non solo talento e preparazione assoluti, ma anche molta voglia di rischiare
Backflip, body varial, bike flip, 360, underflip, rock solid e via dicendo costituiscono il tipico arsenale di "trick" di chi si presenta a una competizione di Freestyle Motocross oggi. Il livello di follia a cui un appassionato può assistere semplicemente comprando un biglietto per una tappa dei Red Bull X Fighters o degli X-Games non ha ormai più nessuna parentela a quello che accadeva nei primi tempi dell’FMX e che è via via stato considerato soft, poi basico e infine nemmeno degno di essere usato come riscaldamento. Ma ci siamo spinti troppo in là? Per capire fino in fondo cosa è successo, diamo un’occhiata indietro all’origine di tutto. Da dove arriva l’FMX? Si è sviluppato troppo velocemente? Quanti atleti hanno terminato anzitempo la loro carriera a causa di cadute? E quanti sconfiggono le loro paure convincendosi di avere tutto sotto controllo, a cominciare dal loro destino?
All'inizio dei tempi, prima che ci fossero macchine fotografiche e videocamere da montare sul casco, c’era una nicchia del Motocross chiamata Play Riding, e come dice il nome si trattava di un gioco. Gli X-Games o l’FMX erano qualcosa di inimmaginabile, e il solo modo per tirar fuori qualche dollaro per alimentare la tua passione per l’off-road era di diventare un pilota di Motocross o di Supercross, presentarti la domenica e dare tutta manetta sperando di arrivare davanti.
Poi, un giorno, la videocamera VHS arrivò sul mercato. Con lei nacquero i video amatoriali che promossero nuove possibilità di ripresa. Ben presto fu introdotto un elemento totalmente nuovo: per la prima volta potevamo vedere come passavano il loro tempo i top rider del Cross. Era la nascita dell’era del video e il vaso di Pandora stava per esplodere, come avremmo visto (appunto) nei decenni successivi.
La miccia era accesa e la fiamma la stava percorrendo a tutta velocità. Era una gara senza esclusione di colpi tra tutti i piloti per guadagnarsi un posto al vertice e lì piantare il proprio vessillo così a fondo che nessun altro potesse scalzarli. I trick si sviluppavano a velocità esponenziale, ma nessuno sottovalutava il rischio di quello che si stava facendo e i rider divennero meno spensierati via via che qualcun altro arrivava, alzando l’asticella e la soglia di pericolo giorno dopo giorno.
Per la maggior parte, questa rapida progressione nei trick è stata relativamente sicura, si sono visti incidenti ma di solito erano i classici incidenti da crossista: qualche trauma cranico, polsi o caviglie rotti, qualche femore. Tutto qui. Ma quando sono arrivate le variazioni sul backflip e i trick in rotazione il livello di pericolo è cresciuto. Certo, è cresciuta anche la serietà e la preparazione dei rider, che ormai sono atleti al 110% e hanno abbandonato le pose da ribelle dei loro colleghi più "anziani". Comunque il classico elefante nella stanza per un sacco di anni è stata la domanda “Quand’è che qualcuno ci lascerà le penne?”. Era una paura che tutti noi rider avevamo, sepolta da qualche parte nella testa, e speravamo e pregavamo tutti che quel giorno non dovesse mai arrivare per noi o per i nostri amici, quelli con cui saltavamo e gareggiavamo tutti i giorni. E per la prima volta, a differenza di quello che succedeva nel mondo del Motocross, questo pensiero fece sì che i nostri avversari in gara nel weekend diventassero i nostri migliori amici nel resto della settimana.
E poi successe. Un triste giorno in Costarica, una nuova leva già medaglia d’oro agli X-Games, Jeremy Lusk, incontrò il suo destino durante uno show in condizioni tutt’altro che ideali per un rider del suo calibro. Questo momento scosse il movimento vino al midollo: molti rider si persero, non avendo la risposta su cosa avrebbero dovuto fare a quel punto. Alla fine era successo. Certo, dopo lo sbandamento iniziale tutti hanno ritrovato la strada, ma non senza le cicatrici lasciate dalla perdita di un fratello. E poi un altro tragico incidente al rider Keff Kargola durante una corsa nel deserto, e ancora un salto terribilmente sfortunato di Jim McNeil, ma a quel punto i riders, che per la maggior parte avevano messo su famiglia, avevano capito che si poteva rallentare, non insistere a strafare a tutti i costi. Era come se per la prima volta dicessero: “Non importa, stasera voglio tornare a casa dalla mia famiglia, e poter saltare ancora domani”.
A questo punto c’è da chiedersi se lo sport si sia davvero sviluppato troppo in fretta e il Freestyle Motocross come lo conosciamo sia già in declino. Per alcuni la domanda è molto chiara, e la risposta lo è altrettanto. Sono al vertice di questo mondo e sanno che per rimanerci devono rischiare: è triste da dire, ma in fondo questo è quello che sa chiunque voglia guadagnarsi da vivere con una moto da Cross. L’unica soglia che non varcheranno è la soglia della fiducia in sé stessi, come spiega Adam Jones: “Per quanto mi riguarda, non ho in programma di fare doppi backflip, front flip o certi tipi di body varial. Ma lascio a ciascun rider decidere se vuole continuare a spingere e a rischiare oppure no… e a quanto pare molti vogliono.”
“L’evoluzione ci sarà sempre, succeda quel che succeda. Ci sarà sempre qualcuno che vuole tirar fuori le palle e dare il 110%” dice Myles Richmond. Così, per un rider, non importa quanto sia veloce la sua progressione, c’è solo una domanda che ha senso per lui: quanto sei disposto a permettere alle tue paure di ostacolarti, a non vivere fino in fondo la vita che vuoi vivere, a realizzare i tuoi sogni.
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