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Il Freestyle si è spinto troppo in là?

Doug Parsons il 30/06/2015 in Attualità

A inizio anno un incidente ha portato via il giovane talento italiano Kevin Ferrari, ma niente sembra fermare l'evoluzione del Freestyle Motocross: l'australiano Josh Sheehan ha appena mostrato un incredibile triplo backflip. Lo specialista americano Doug Parsons si interroga sul futuro di una disciplina che ormai richiede non solo talento e preparazione assoluti, ma anche molta voglia di rischiare

Il Freestyle si è spinto troppo in là?
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Backflip, body varial, bike flip, 360, underflip, rock solid e via dicendo costituiscono il tipico arsenale di "trick" di chi si presenta a una competizione di Freestyle Motocross oggi. Il livello di follia a cui un appassionato può assistere semplicemente comprando un biglietto per una tappa dei Red Bull X Fighters o degli X-Games non ha ormai più nessuna parentela a quello che accadeva nei primi tempi dell’FMX e che è via via stato considerato soft, poi basico e infine nemmeno degno di essere usato come riscaldamento. Ma ci siamo spinti troppo in là? Per capire fino in fondo cosa è successo, diamo un’occhiata indietro all’origine di tutto. Da dove arriva l’FMX? Si è sviluppato troppo velocemente? Quanti atleti hanno terminato anzitempo la loro carriera a causa di cadute? E quanti sconfiggono le loro paure convincendosi di avere tutto sotto controllo, a cominciare dal loro destino?

All'inizio dei tempi, prima che ci fossero macchine fotografiche e videocamere da montare sul casco, c’era una nicchia del Motocross chiamata Play Riding, e come dice il nome si trattava di un gioco. Gli X-Games o l’FMX erano qualcosa di inimmaginabile, e il solo modo per tirar fuori qualche dollaro per alimentare la tua passione per l’off-road era di diventare un pilota di Motocross o di Supercross, presentarti la domenica e dare tutta manetta sperando di arrivare davanti.

Poi, un giorno, la videocamera VHS arrivò sul mercato. Con lei nacquero i video amatoriali che promossero nuove possibilità di ripresa. Ben presto fu introdotto un elemento totalmente nuovo: per la prima volta potevamo vedere come passavano il loro tempo i top rider del Cross. Era la nascita dell’era del video e il vaso di Pandora stava per esplodere, come avremmo visto (appunto) nei decenni successivi.

Fu Sean Palmer, uno snowboarder professionista e fanatico di Motocross, che si accorse per primo di cosa succedeva quando gente come Jeff Emig o Jeremy McGrath era libera di esprimere la propria personalità sulle colline della California del Sud. Ben presto Sean pensò di trasportare lo stesso concetto di film nel campo delle moto: atleti al culmine della carriera, vincenti nelle competizioni più difficili, lasciati liberi di divertirsi fregandosene di quello che potevano pensare Honda, Kawasaki o i loro sponsor. La loro immagine ufficiale non corrispondeva a quello che questi ragazzi erano in realtà. Ma come dice McGrath, “All’epoca eravamo i vincenti, e quando vinci in qualche modo le regole a te non si applicano.” Poi certo, il peggio della trasgressione che potevi vedere da questi ragazzi era bere qualche cocktail, tingersi i capelli, mettersi l’orecchino e saltare per il solo gusto di farlo. Niente che oggi chiunque penserebbe di non dover fare!
Fast-forward all’inizio degli anni ’90, quando gli americani avevano già la TV via cavo con spettacoli di tutti i tipi 24 ore su 24, e potevano vedere nel loro salotto cosa un crossista professionista sapeva fare se lo si liberava dai ceppi degli autografi da firmare a termine gara. C’era roba da fare  là fuori sulle colline, che a un certo punto venne chiamata Freeride. I teenager vennero irrimediabilmente esposti a dosi massicce di libertà di esprimersi e di puro piacere di andare in moto: aggiungete lo sfondo mozzafiato delle colline verdi, un po’ di festa e di gazzarra la sera e capirete come mai siano rimasti tutti presi. Tutti tranne naturalmente la gente che campava con il "vero" Motocross, che ha combattuto questa cosa con i denti – solo per perdere alla fine la guerra.
L’FMX entrò a far parte degli X-Games nel 1999. Ex crossisti di buon livello si presentarono sapendo che non c’erano di mezzo cancelletti o bandiere a scacchi. Brian Deegan si presentò tutto tatuato e saltò con un casco aperto, fumando una sigaretta; Larry Linkogle dormì su una panchina in un parco non riuscendo a trovare una stanza d’albergo, e gli atleti degli altri sport furono sconvolti dal fatto che questa gente, con i loro rumorosi 2T e l’atteggiamento da fuorilegge senza rispetto per nessuna regola, istituzione o senso della misura potesse rubar loro la scena.
La lista dei trick per la maggior parte dei piloti consisteva in semplici figure. Fu solo più avanti nel corso dell’anno che Carey Hart inventò l’Hart Attack, il double Hart Attack e finalmente il primo tentativo (completato al 90%) di backflip. In meno di 18 mesi siamo così passati da trick super-basici a cose mai viste, che dimostravano nuove possibilità di usare una Cross e al tempo stesso consolidavano la legittimità dell’FMX come sport a sé stante.

La miccia era accesa e la fiamma la stava percorrendo a tutta velocità. Era una gara senza esclusione di colpi tra tutti i piloti per guadagnarsi un posto al vertice e lì piantare il proprio vessillo così a fondo che nessun altro potesse scalzarli. I trick si sviluppavano a velocità esponenziale, ma nessuno sottovalutava il rischio di quello che si stava facendo e i rider divennero meno spensierati via via che qualcun altro arrivava, alzando l’asticella e la soglia di pericolo giorno dopo giorno.
“All’inizio direi che sì, lo sviluppo è stato troppo veloce” dice il top rider USA Adam Jones. “L’FMX è eploso nel momento in cui tutti hanno imparato a fare backflip, e hanno cominciato a costruirci sopra nuove combo un mese dopo l’altro. I progressi erano così rapidi che quando il passo ha cominciato a rallentare, è sembrato che la cosa dovesse danneggiare irrimediabilmente questo sport e anche il morale di tutti.”

Per la maggior parte, questa rapida progressione nei trick è stata relativamente sicura, si sono visti incidenti ma di solito erano i classici incidenti da crossista: qualche trauma cranico, polsi o caviglie rotti, qualche femore. Tutto qui. Ma quando sono arrivate le variazioni sul backflip e i trick in rotazione il livello di pericolo è cresciuto. Certo, è cresciuta anche la serietà e la preparazione dei rider, che ormai sono atleti al 110% e hanno abbandonato le pose da ribelle dei loro colleghi più "anziani". Comunque il classico elefante nella stanza per un sacco di anni è stata la domanda “Quand’è che qualcuno ci lascerà le penne?”. Era una paura che tutti noi rider avevamo, sepolta da qualche parte nella testa, e speravamo e pregavamo tutti che quel giorno non dovesse mai arrivare per noi o per i nostri amici, quelli con cui saltavamo e gareggiavamo tutti i giorni. E per la prima volta, a differenza di quello che succedeva nel mondo del Motocross, questo pensiero fece sì che i nostri avversari in gara nel weekend diventassero i nostri migliori amici nel resto della settimana.

E poi successe. Un triste giorno in Costarica, una nuova leva già medaglia d’oro agli X-Games, Jeremy Lusk, incontrò il suo destino durante uno show in condizioni tutt’altro che ideali per un rider del suo calibro. Questo momento scosse il movimento vino al midollo: molti rider si persero, non avendo la risposta su cosa avrebbero dovuto fare a quel punto. Alla fine era successo. Certo, dopo lo sbandamento iniziale tutti hanno ritrovato la strada, ma non senza le cicatrici lasciate dalla perdita di un fratello. E poi un altro tragico incidente al rider Keff Kargola durante una corsa nel deserto, e ancora un salto terribilmente sfortunato di Jim McNeil, ma a quel punto i riders, che per la maggior parte avevano messo su famiglia, avevano capito che si poteva rallentare, non insistere a strafare a tutti i costi. Era come se per la prima volta dicessero: “Non importa, stasera voglio tornare a casa dalla mia famiglia, e poter saltare ancora domani”.
“Non voglio andare avanti al passo di sviluppo frenetico degli ultimi anni” dichiara il funambolo giapponese Taka Higashino. “Ma allo stesso tempo sono obbligato a mantenere questo passo, perché se non sono io da qualche parte in giro per il mondo qualcun altro lo farà al posto mio. E qualcuno si tira matto sul nuovo quarter pipe”.

A questo punto c’è da chiedersi se lo sport si sia davvero sviluppato troppo in fretta e il Freestyle Motocross come lo conosciamo sia già in declino. Per alcuni la domanda è molto chiara, e la risposta lo è altrettanto. Sono al vertice di questo mondo e sanno che per rimanerci devono rischiare: è triste da dire, ma in fondo questo è quello che sa chiunque voglia guadagnarsi da vivere con una moto da Cross. L’unica soglia che non varcheranno è la soglia della fiducia in sé stessi, come spiega Adam Jones: “Per quanto mi riguarda, non ho in programma di fare doppi backflip, front flip o certi tipi di body varial. Ma lascio a ciascun rider decidere se vuole continuare a spingere e a rischiare oppure no… e a quanto pare molti vogliono.”
Per questi rider, spingere e rischiare è ancora il loro stile di vita. Piantare la loro bandiera nel punto più alto, la loro ragione di vita. E grazie a quel manipolo di rider rimasti che vogliono superare gli standard fissati dai fondatori di questo sport, accettando rischi maggiori di quanto i veterani vogliano accettare, abbiamo oggi una nuova generazione di rider come Thomas Pagès, Dany Torres, Clinton Moore e Josh Sheehan, che con la supervisione di Travis Pastrana ha appena chiuso il triplo backflip – per questi ragazzi, l’evoluzione non sembra affatto dover rallentare a breve.

“L’evoluzione ci sarà sempre, succeda quel che succeda. Ci sarà sempre qualcuno che vuole tirar fuori le palle e dare il 110%” dice Myles Richmond. Così, per un rider, non importa quanto sia veloce la sua progressione, c’è solo una domanda che ha senso per lui: quanto sei disposto a permettere alle tue paure di ostacolarti, a non vivere fino in fondo la vita che vuoi vivere, a realizzare i tuoi sogni.

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