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Attualità

Ducati: la meccanica, l'elettronica, le sportive, la Scrambler

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Dialogo a tutto tondo con Gianandrea Fabbro, il "papà" delle linee della 1098, della 1199 Panigale, della Multistrada e dell'ultima Monster, promosso chief designer e che ci spiega come evolveranno le rosse del futuro

Ducati: la meccanica, l'elettronica, le sportive, la Scrambler
Ducati: la meccanica, l'elettronica, le sportive, la Scrambler
Se passate tra la fine di aprile e l'inizio di maggio da via Montenapoleone, una delle vie del quadrilatero della moda di Milano, sarete colpiti da alcune teche contenenti il meglio della produzione del gruppo Audi: Audi R8, Lamborghini Huracàn e anche una Ducati. Che però è l'unica a non essere lì in carne e ossa ma... in spirito, in un simulacro di marmo. È la scultura Fortitudo mea in levitate ("la mia forza sta nella leggerezza") realizzata da Gianandrea Fabbro; che dopo aver tirato fuori dalla matita la 1098, la 1199, la seconda generazione della Multistrada e la terza della Monster, è ora Responsabile Creativo Ducati, alla guida del team di designer di Borgo Panigale.
Gianandrea, partiamo dalla scultura che hai esposto all’Audi City Lab.
“Sì, è partita da una richiesta di Walter De Silva, che ci ha invitato a ragionare su cosa portare in questo contesto, che si discosta dall’attenzione sul prodotto e si avvicina al mondo del design industriale, dell’arte… ho pensato di provare a condensare i valori del marchio in una scultura, un archetipo di moto che parte dalla silhouette della Panigale, oggi la nostra moto più rappresentativa”. Anche se nella scultura lo si fa da qualche secolo, rappresentare la leggerezza con un materiale pesante come il marmo è sempre una sfida.
“Sì, diciamo che mi piaceva questo contrasto. Ma ho scelto il marmo anche perché va oltre i tempi e le mode, comunica l’idea di durata, di eternità e a noi piace pensare che se mai ci sarà un’ultima moto sportiva prodotta, quella sarà per forza una Ducati. E poi anche perché io sono di Carrara, il marmo per me è un materiale familiare”. Immaginare una scultura è diverso da immaginare una moto?
“Profondamente, soprattutto per i vincoli tecnici. Quando si pensa a una moto si parte dalle proporzioni, la distanza fra le ruote, gli ingombri della meccanica. Solo quando è tutto chiaro si traccia il profilo e si ragiona sugli stilemi, sui valori che si vogliono comunicare. Una sportiva deve fendere l’aria, penetrare, il peso visivo va tenuto sulla ruota anteriore, quella che guida. Una Multistrada, che di base deriva da un concetto supermotard, trasmette cose diverse, deve avere un volume alto sulle due ruote, deve convogliare l’aria… eccetera”. Qual è la parte più eccitante? I primi bozzetti?
“No, direi di no. La parte che preferisco è la realizzazione del 3D, che è la parte più scultorea e più emotiva del processo, in cui si interviene a mano sulla maquette, personalmente, e dopo la prima sgrossatura al CAD-CAM, che è piuttosto asettica, la moto torna a rivolgersi alla sensorialità. In mezzo però ci sono, come dicevo, interminabili discussioni con l’ufficio tecnico, che possono portar via anche il 70% del tempo di un progetto”. Ad esempio di cosa si discute?
“Per definire la posizione e la forma del silenziatore sulla Panigale, i motoristi hanno modificato più volte la posizione e la forma della coppa dell’olio, che non è esattamente uno scherzo… per fortuna sono finiti i tempi in cui i punti di attacco del telaio al carter non si potevano toccare!” Anche perché sulla Panigale il telaio è attaccato alle teste…
“Già. Ancora pochi anni fa non ci avremmo nemmeno potuto pensare. Ma gli strumenti di calcolo di oggi, e la profondissima conoscenza della nostra ‘piattaforma’, il motore Desmo a L, ci hanno dato coraggio. Tanto è vero che lo stesso schema è stato poi applicato alla Monster, in un contesto completamente diverso. Una innovazione non da poco”.
Eppure la percezione è che i tempi delle rivoluzioni (la 916, la Monster) siano finiti anche per voi. È così?
“In parte si è scelta la linea della continuità. In parte è cambiato il quadro normativo, che oggi è molto più complesso. Un po’ l’ufficio tecnico mette giustamente dei paletti alla nostra voglia di sperimentare, di osare soluzioni diverse. Ma in Ducati siamo tutti figli di Tamburini, il primo a mettere in primo piano due esigenze centrali delle moto moderne: razionalizzare il packaging e cercare soluzioni alternative. Sulla 916 il serbatoio chiudeva anche la cassa filtro, era un elemento multifunzione. Sulla Panigale è ancora così, e stiamo cercando di aumentare il numero di elementi multifunzione per risparmiare altro peso. Ma non è un processo semplice, anche perché in molti casi si tratta di cambiare la componentistica: se vuoi lasciare a vista una centralina ABS per togliere ad esempio un coperchio, non puoi prendere il componente come te lo dà il produttore. Lo devi disegnare tu. Altrimenti lo devi coprire con una cover, ma noi abbiamo dichiarato guerra alle cover: pesano e sono inutili”. Sembra un po’ la direzione presa da molti preparatori, con il ritorno a una moto più semplice…
“Detto che con qualche customizer come Roland Sands ci abbiamo lavorato anche noi, e che in quel mondo c’è anche gente veramente brava, in molti casi quel che vedo è un po’ un voler ‘vincere facile’: sui pezzi unici puoi permetterti di togliere il catalizzatore, togliere l’ABS, usare luci o portatarga non omologati… ma di sicuro andiamo anche noi in direzione di una maggior pulizia delle forme e un minor numero di componenti. L’intenzione è di trovare una nostra impronta caratterizzante, che sia allo stesso tempo anche elegante, come ci si aspetta da un prodotto italiano. Toglieremo cover, torneremo ai serbatoi in acciaio ma non ci uniformeremo a scelte altrui, come le micro-carene che stiamo vedendo sulle sportive giapponesi.” Hai toccato i tasti del catalizzatore e dell’ABS. In generale la moto è comunque sempre più complicata e sempre più piena di elettronica.
“Ho quarant’anni e la mia generazione non è ancora quella dei nativi digitali. Siamo affascinati dalla meccanica, non dall’elettronica, e per il momento anche il successo dei customizer sta nel riportare la moto alla sua essenza meccanica. Comunque c’è spazio per lavorare anche sui componenti elettronici, come vedrete presto”. Il problema di introdurre tanta elettronica è che si introduce anche il suo frenetico tasso di invecchiamento.
“Sì, ma anche senza elettronica le hypersport sono sempre state per eccellenza le moto contemporanee… il che vuol dire giocoforza anche temporanee. E un po’ la paura del tempo che passa c’è, e c’è forse più adesso di qualche anno fa. In Ducati però crediamo ancora nel progresso e nella tecnologia. E poi per soddisfare la voglia di prodotti più semplici e più autentici ora abbiamo in gamma la Scrambler, perfetta per chi vuole un’esperienza di moto diversa”.

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