Attualità
64ma Bike Week di Daytona
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Dall’1 al 7 marzo, da ogni parte del mondo, i biker hanno raggiunto la costa orientale della Florida per celebrare l’edizione numero 64 del motoraduno più grande del mondo
di Daniele Massari
Daytona- Puoi cambiare la formula di certi appuntamenti, puoi mettere in conto il maltempo o tutte le difficoltà che vuoi, potresti addirittura cambiare il nome della città. Ma se è vero, come dicono alcuni, che San Remo è sempre San Remo, anche Daytona può dire la sua in fatto di tradizione…
Per il sessantaquattresimo anno di fila, sulla costa orientale della Florida, nella prima settimana di marzo si sono incontrati i biker di tutto il mondo per celebrare insieme la Bike Week, il motoraduno più grande del mondo. E noi che ormai è un po’ che lo seguiamo, non abbiamo resistito al richiamo anche quest’anno: siamo atterrati all’aeroporto di Daytona Beach ed abbiamo sistemato le valigie nel “solito” albergo sulla spiaggia.
Come ogni anno ci siamo nutriti ad hamburger e bottigliette d’acqua a tre dollari l’una e come ogni anno ci siamo impantanati nel traffico di Main Street.
Con una differenza: quest’anno la moto ce l’avevamo anche noi! Uno dei vantaggi di questo mestiere si è concretizzato la mattina del martedì presso la sala stampa dell’Ocean Center, sulla North Atlantic Avenue: in qualità di giornalista giunto dall’Italia con una sostanziosa presentazione da parte della filiale nostrana, “mamma Harley”, che da queste parti la fa da padrona, ha messo a disposizione del sottoscritto una V-Rod fiammante, colorazione ’04, che con la sua tinta azzurro brillante, ha catalizzato l’attenzione di molti biker smaliziati, persino all’ingresso dei bike show.
Ma andiamo a vedere come sono andate le cose a Daytona Beach…
Per il sessantaquattresimo anno di fila, sulla costa orientale della Florida, nella prima settimana di marzo si sono incontrati i biker di tutto il mondo per celebrare insieme la Bike Week, il motoraduno più grande del mondo. E noi che ormai è un po’ che lo seguiamo, non abbiamo resistito al richiamo anche quest’anno: siamo atterrati all’aeroporto di Daytona Beach ed abbiamo sistemato le valigie nel “solito” albergo sulla spiaggia.
Come ogni anno ci siamo nutriti ad hamburger e bottigliette d’acqua a tre dollari l’una e come ogni anno ci siamo impantanati nel traffico di Main Street.
Con una differenza: quest’anno la moto ce l’avevamo anche noi! Uno dei vantaggi di questo mestiere si è concretizzato la mattina del martedì presso la sala stampa dell’Ocean Center, sulla North Atlantic Avenue: in qualità di giornalista giunto dall’Italia con una sostanziosa presentazione da parte della filiale nostrana, “mamma Harley”, che da queste parti la fa da padrona, ha messo a disposizione del sottoscritto una V-Rod fiammante, colorazione ’04, che con la sua tinta azzurro brillante, ha catalizzato l’attenzione di molti biker smaliziati, persino all’ingresso dei bike show.
Ma andiamo a vedere come sono andate le cose a Daytona Beach…
Daytona di giorno
Le cose da fare alla Bike Week sono tante, tantissime, eppure ti sembra possano essere sempre le stesse: a parte l’immancabile “vasca” sulla Main St., che è il cuore pulsante dell’evento e punto di confluenza per tutto ciò che di pazzesco abbia a che fare col mondo delle due ruote, consigliamo sempre una passeggiata su Beach St., la grande strada che costeggia la baia e su cui prendono posto, ogni anno, i customizer e le principali aziende di accessori provenienti da tutto il mondo.
E’ qui che vengono esposte le moto più belle, ed è qui che i biker incontrano i propri idoli: si può incrociare il canuto Arlen Ness, o Jim Nasi. Jesse James, quello no: l’idolo dei teenager americani, che ha conquistato un ruolo da star insieme al suo team, West Coast Chopper, grazie alla trasmissione “Monster Garage” su Discovery Channel, ormai è una star vera e come tale si comporta, tenendosi a distanza dal pubblico che in compenso assedia il suo stand.
Ciò che non va comunque trascurato, è un giro nei paraggi, per lo meno nelle principali concessionarie Harley-Davidson (quella di New Smyrna innanzi tutto): i tanti biker in “pellegrinaggio” da queste parti hanno a disposizione una vasta scelta di accessori, abbigliamento ed usato, oltre agli immancabili locali che nascono come funghi.
I biker giunti quest’anno a Daytona sembravano addirittura più dell’anno scorso, eppure non è detto che sia così: in sostanza, è stata svolta una vera e propria opera di accentramento per l’evento, che ormai si concentra sulle direttrici principali della cittadina ed ha perso un po’ di quegli appuntamenti che in passato venivano ospitati dai comuni limitrofi.
Daytona di notte
La vita notturna, poi, la si può vivere in due modi: nei locali storici, come il Boot Hill Saloon, il Jackson Hole o il Gilly’s Pub 44 (dove si tiene ogni anno il “Bike Bash” e per qualche dollaro si può entrare in una gabbia e prendere a martellate una moto giapponese), oppure scegliendo di vivere l’altra notte, quella delle stazioni di servizio e delle discoteche dove si suona rigorosamente musica “Black”.
Quest’ultimo è un mondo fatto di ragazzi, proprio quella materia che scarseggia nei locali di culto: è qui che ti rendi conto che le Harley che vedi in giro durante il giorno appartengono ai motociclisti adulti, che magari l’hanno portata sin qui a bordo di un lussuoso truck.
Gli “under 30” c’hanno l’Hayabusa col protossido, o al massimo un Chopper chilometrico realizzato da Jesse James, e non si divertono nei tradizionali, evocativi, polverosi Saloon, anche perché Daytona, che è una macchina mangiasoldi incredibile, si rivela versatile e pronta ad offrire tutti i tipi di divertimento –tutti!- di cui va in cerca chi partecipa alla Bike Week.
Quest’ultimo è un mondo fatto di ragazzi, proprio quella materia che scarseggia nei locali di culto: è qui che ti rendi conto che le Harley che vedi in giro durante il giorno appartengono ai motociclisti adulti, che magari l’hanno portata sin qui a bordo di un lussuoso truck.
Gli “under 30” c’hanno l’Hayabusa col protossido, o al massimo un Chopper chilometrico realizzato da Jesse James, e non si divertono nei tradizionali, evocativi, polverosi Saloon, anche perché Daytona, che è una macchina mangiasoldi incredibile, si rivela versatile e pronta ad offrire tutti i tipi di divertimento –tutti!- di cui va in cerca chi partecipa alla Bike Week.
Black Bike Week
Una è dei bianchi. Poi scopriamo –ce ne avevano parlato ma non eravamo riusciti a scovarla- che esiste un’altra realtà, a pochi passi da Main Street e dal suo rumoroso carosello di bicilindriche e drag pipes. E’ la “Black Bike Week”, nel senso che è una realtà analoga a quella delle vie più trafficate della cittadina, ma adattata ad una cultura che sembra vivere la motocicletta in modo differente: la strada si chiama Mary McLeod Bethune drive, ed è una Main St. in piccolo. Bikers quanti ne vuoi, bancarelle che vendono hot dog e birra, stand con gli accessori o l’abbigliamento o che so io… Solo che le persone che ci passeggiano sono tutte di colore.
E le moto? E’ strano, ‘sto fatto: l’Harley, che dovrebbe essere il simbolo della Bike Week come, in fondo, di tutti i grandi raduni americani, si rivela sempre più come una motocicletta prevalentemente “bianca”. Non si tratta di fare distinzioni di carattere razziale, e certo non mancano, anzi sono molti anche a Daytona, i biker dalla pelle scura: ma in un mondo come questo, a due passi dalla Main ma che pure costituisce una realtà volutamente a sé, dove la musica ed il rombo della Daytona “ufficiale” lasciano il posto al suono dell’Hip-Hop, ti rendi conto che questa gente, oltre che un altro posto, ha scelto altre moto. Le Goldwing, per esempio, o le BMW da turismo. Oppure, e qui parliamo degli “under 30”, supersportive dell’ultima generazione elaborate all’inverosimile, per dar sfogo alle proprie pulsioni schiacciando il tasto del NOS. Ma questa è un’altra storia…
E le moto? E’ strano, ‘sto fatto: l’Harley, che dovrebbe essere il simbolo della Bike Week come, in fondo, di tutti i grandi raduni americani, si rivela sempre più come una motocicletta prevalentemente “bianca”. Non si tratta di fare distinzioni di carattere razziale, e certo non mancano, anzi sono molti anche a Daytona, i biker dalla pelle scura: ma in un mondo come questo, a due passi dalla Main ma che pure costituisce una realtà volutamente a sé, dove la musica ed il rombo della Daytona “ufficiale” lasciano il posto al suono dell’Hip-Hop, ti rendi conto che questa gente, oltre che un altro posto, ha scelto altre moto. Le Goldwing, per esempio, o le BMW da turismo. Oppure, e qui parliamo degli “under 30”, supersportive dell’ultima generazione elaborate all’inverosimile, per dar sfogo alle proprie pulsioni schiacciando il tasto del NOS. Ma questa è un’altra storia…
L'altra Daytona
Un mondo nuovo che ci si spalanca davanti inaspettatamente, una realtà talmente lontana da quella italiana che ci sembra di trovarci in un film come Bikerboyz.
Invece è reale, come i ragazzi che fermiamo quasi per caso, mentre siamo in giro a fare qualche foto di “colore” nei pressi della Main Street: si chiamano Joe, Dan, Mike, ed hanno ventidue, ventisei, persino trent’anni. Dalle piastre sul retro dei loro codoni, dalle protezioni sulle carene e dal loro abbigliamento –parastinchi, caschi da cross, giacche con le protezioni nonostante il sole cocente - capiamo che sono tra quei tantissimi giovani che da queste parti hanno creato una sottocultura motociclistica fatta di wheeling, stoppies, burn-out e quant’altro, dando vita ad un fenomeno che dilaga nonostante sia occultato da gran parte del motociclismo “politically correct”.
Così li fermiamo, chiediamo loro di fare qualche “numero” per le nostre foto e loro ci rispondono –beato protagonismo americano!- che non c’è nessun problema, che saranno lieti di fare qualche numero per noi, ma che ci tocca seguirli nel posto dove stanno andando.
Nessun problema. Saltiamo in sella e li seguiamo: e sulle prime sembra pure strano che questi smanettoni che sembrano aver imparato a guidare la moto senza mai mettere la ruota anteriore a terra, si rivelino nel traffico estremamente disciplinati e prudenti: indossano il casco (nonostante in Florida non sia obbligatorio), hanno giacche pesanti e di buona qualità, non impennano e cercano di non dare nell’occhio mentre circolano su strada.
Ci conducono in una zona che è a mezzo chilometro in linea d’aria dalla Beach Street, uno dei luoghi più affollati di Daytona, ma che della Daytona tradizionale non conserva altro che il sole, ed il panorama mozzafiato della baia.
Invece è reale, come i ragazzi che fermiamo quasi per caso, mentre siamo in giro a fare qualche foto di “colore” nei pressi della Main Street: si chiamano Joe, Dan, Mike, ed hanno ventidue, ventisei, persino trent’anni. Dalle piastre sul retro dei loro codoni, dalle protezioni sulle carene e dal loro abbigliamento –parastinchi, caschi da cross, giacche con le protezioni nonostante il sole cocente - capiamo che sono tra quei tantissimi giovani che da queste parti hanno creato una sottocultura motociclistica fatta di wheeling, stoppies, burn-out e quant’altro, dando vita ad un fenomeno che dilaga nonostante sia occultato da gran parte del motociclismo “politically correct”.
Così li fermiamo, chiediamo loro di fare qualche “numero” per le nostre foto e loro ci rispondono –beato protagonismo americano!- che non c’è nessun problema, che saranno lieti di fare qualche numero per noi, ma che ci tocca seguirli nel posto dove stanno andando.
Nessun problema. Saltiamo in sella e li seguiamo: e sulle prime sembra pure strano che questi smanettoni che sembrano aver imparato a guidare la moto senza mai mettere la ruota anteriore a terra, si rivelino nel traffico estremamente disciplinati e prudenti: indossano il casco (nonostante in Florida non sia obbligatorio), hanno giacche pesanti e di buona qualità, non impennano e cercano di non dare nell’occhio mentre circolano su strada.
Ci conducono in una zona che è a mezzo chilometro in linea d’aria dalla Beach Street, uno dei luoghi più affollati di Daytona, ma che della Daytona tradizionale non conserva altro che il sole, ed il panorama mozzafiato della baia.
Spettacoli per adulti
La realtà, su questo spiazzo volutamente poco conosciuto e fuori mano, è fatta di Hip-Hop sparato ad alto volume e di supersportive che vanno aumentando di numero man mano che il gran caldo cede all’avanzare della sera. Ci spiegano che non faranno dei numeri esclusivamente per noi, ma che se abbiamo pazienza tra poco potremo assistere a qualcosa di speciale: vengono da tutte le parti d’America, e si sono conosciuti praticamente solo grazie ad Internet ed ai tanti siti che essi stessi gestiscono e che raccolgono i filmati e le foto sul loro modo di andare in moto. Lo chiamano fresstyle, o stunting, od in tanti altri modi: in pratica, è un modo per rischiare grosso il proprio osso del collo e la propria moto, ma è anche uno spettacolo che regala emozioni davvero difficili da trasmettere.
Quando il sole cala definitivamente, i grossi truck che occupano i bordi del parcheggio si muovono: lasciano il posto a delle tribune mobili ed alle transenne che nel giro di mezz’ora bloccheranno la strada sino a tarda sera.
Continuano ad arrivare motociclisti in sella a moto sportive: non ci sono manifesti, per raduni del genere, ma solo un passaparola tra gente che frequenta i giri “giusti” o che su Internet “smanetta” nello stesso senso di questi incoscienti, esaltanti acrobati delle due ruote.
Lo show ben presto si rivela in tutta la sua grandiosità: musica a tutto volume, luci, fumogeni e tanto spettacolo, assicurato dai ragazzi giunti sin qui per confrontarsi ed eleggere i più bravi acrobati della Bike Week. Uno spettacolo emozionante fatto di quelle stesse acrobazie che tanti di noi hanno scaricato dai siti Internet e si godono, con fare sognante, seduti alla scrivania dell’ufficio. Uno spettacolo pericoloso, ricordiamo a tutti (e ce lo ricordano anche i ragazzi che si sono esibiti), e da non imitare.
Certo, però, che questi americani sanno essere davvero pazzi…
I link da non perdere
www.section8extreme.com
www.verticalmischief.com
www.220films.com
www.outonparole.com
www.teamxmx.com
www.psichogang.com
www.nawarhorse.com