I viaggi dei lettori
A cavallo dell’Appennino
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Chi sostiene che i viaggi in moto si fanno solo a vent’anni troverà nel racconto dei nostri lettori una netta smentita e la conferma che la passione per le dueruote non ha età…viaggi in Monster compresi
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Hai fatto anche tu un viaggio, una vacanza, un itinerario in moto che scatenano la libidine di un vero motociclista? Mandaci il racconto e le foto all'indirizzo redazione@motonline.com: lo pubblicheremo sul nostro sito completo di album fotografico in versione "gallery". |
Sulle prime avevamo riesumato un vecchio progetto, al quale avevamo dovuto rinunciare anni fa, che prevedeva una puntata fino all'Atlantico rasentando i Pirenei, ma computati chilometraggi e tempi, abbiamo ripiegato sulle strade dei passi appenninici.
Le previsioni meteo per il mese di agosto anticipavano piogge, grandine e nevicate, allora ci siamo detti: “Teniamoci a distanza di una tappa dalla nostra base romana, dove poter ripiegare in caso di nubifragio ad asciugarci corpo ed abiti”. Negli ultimi anni, non ci sono state, salvo rare eccezioni, gite in moto senza che venissimo bersagliati da acquazzoni, grandinate, fulmini e raffiche di vento. Questa volta, salvo qualche sporadica gocciolina che non arrivava quasi a bagnare le strade, viaggeremo senza dover ricorrere agli indumenti antipioggia.
L'itinerario definitivo contemplava una prima tappa a Poppi, nel Casentino, con visita alla figlia Letizia e vario parentado, poi di nuovo in sella alla volta di Rieti, Piedilugo, Terni e Trasimeno.
Tre regioni in pochi chilometri
La seconda tappa comincia con il Passo dei Mandrioli, che non è affatto male in quanto a tornanti, boschi e panorami. Una volta scesi dal passo ci dirigiamo verso Bagno di Romagna, un breve tratto verso nord sulla superstrada SS 3 bis, per poi svoltare su strade regionali e provinciali che lambiscono il Monte Fumaiolo. Ancora curve e tornanti, boschi e panorami. In pochi chilometri, tocchiamo tre regioni: l’Emilia Romagna, le Marche e la Toscana. Lo stato delle strade nel tratto romagnolo è pessimo, con l'asfalto che presenta increspature in più punti; viceversa nei tratti marchigiani e toscani il fondo stradale è decisamente in buono stato.
Attraversiamo alcuni abitati senza fermarci, salvo che a Badia Tedalda, dove, parcheggiata la moto, visitiamo la chiesa, medioevale, la cui torre campanaria è il solo resto dell'antica rocca che dominava il borgo. Lungo la cordonata che sale al santuario una panchina ci invita a concederci una breve sosta. Mentre siamo seduti una signora anziana che scende verso il paese si rivolge a Resi dicendole: “ Vedo che ha il casco, va ancora in motorino, beata lei! “. Altro che motorino, pensiamo, noi andiamo in moto!
Torniamo sulla SS 3 Bis, Tiberina, ridotta veramente male, con molte deviazioni per cantieri, puntando su San Sepolcro dove ci fermiamo per mangiare e facciamo un breve giro per visitare la città. Come quasi tutte le città in Umbria e Toscana è molto aggraziata e all’interno delle sue mura non possiamo non apprezzare la presenza di bei palazzi e delle chiese monumentali.
Questa città, patria di Piero della Francesca, meriterebbe una visita più accurata (come molti altri centri che abbiamo incontrato), ma il nostro ruolino di marcia va rispettato, quindi sarà per un'altra volta!
Attraversiamo alcuni abitati senza fermarci, salvo che a Badia Tedalda, dove, parcheggiata la moto, visitiamo la chiesa, medioevale, la cui torre campanaria è il solo resto dell'antica rocca che dominava il borgo. Lungo la cordonata che sale al santuario una panchina ci invita a concederci una breve sosta. Mentre siamo seduti una signora anziana che scende verso il paese si rivolge a Resi dicendole: “ Vedo che ha il casco, va ancora in motorino, beata lei! “. Altro che motorino, pensiamo, noi andiamo in moto!
Torniamo sulla SS 3 Bis, Tiberina, ridotta veramente male, con molte deviazioni per cantieri, puntando su San Sepolcro dove ci fermiamo per mangiare e facciamo un breve giro per visitare la città. Come quasi tutte le città in Umbria e Toscana è molto aggraziata e all’interno delle sue mura non possiamo non apprezzare la presenza di bei palazzi e delle chiese monumentali.
Questa città, patria di Piero della Francesca, meriterebbe una visita più accurata (come molti altri centri che abbiamo incontrato), ma il nostro ruolino di marcia va rispettato, quindi sarà per un'altra volta!
Una sosta ad Assisi
Di nuovo in sella alla Ducati Monster proseguiamo verso Città di Castello, sulla vecchia statale, ma è un percorso senza nulla di interessante dal punto di vista motociclistico.
Superata Città di Castello ritorniamo sulla superstrada, non senza qualche difficoltà per la segnaletica, che ci sembra poco chiara. Viaggiare in moto su questa superstrada, se non ci si fa sopraffare dal demone della velocità non è molto divertente, ma fa guadagnare tempo.
La prossima tappa del nostro viaggio è Assisi. Giungiamo a pomeriggio inoltrato a Santa Maria degli Angeli nella piana sotto Assisi.
Decidiamo di rinviare all'indomani la vista alla città, e ci mettiamo alla ricerca di una camera per pernottare, ma qui, come nelle prossime tappe, non troviamo niente e finiamo con il fissare una camera in un triste, benché decoroso, albergo. A parte la Basilica, che chiude al suo interno la Porziuncola c'è poco da vedere.
Abbozziamo un giro, ma l'abitato è anonimo senza alcun interesse e non ci resta che rientrare all'albergo, dove ceniamo, in un salone che ci da l'impressione di un refettorio scolastico. La mattina successiva molto presto balziamo in moto e saliamo verso la città di San Francesco, parcheggiando la Ducati subito dopo la porta sud orientale.
Oggi ci godiamo la magnifica città, attraversandola lentamente, anche se molto ci sarebbe ancora da vedere. Completiamo il giro tornando alla nostra moto. Scendendo verso il piano, ci rendiamo conto di quanto abbiamo fatto bene ad iniziare la visita di primo mattino, incrociamo infatti una colonna interminabile di autovetture e torpedoni turistici diretti ad Assisi. È bello visitare queste zone ricche di testimonianze della civiltà del passato, ma ancora più bello anche sentire l'aria che ti fischia intorno cavalcando la nostra moto.
Superata Città di Castello ritorniamo sulla superstrada, non senza qualche difficoltà per la segnaletica, che ci sembra poco chiara. Viaggiare in moto su questa superstrada, se non ci si fa sopraffare dal demone della velocità non è molto divertente, ma fa guadagnare tempo.
La prossima tappa del nostro viaggio è Assisi. Giungiamo a pomeriggio inoltrato a Santa Maria degli Angeli nella piana sotto Assisi.
Decidiamo di rinviare all'indomani la vista alla città, e ci mettiamo alla ricerca di una camera per pernottare, ma qui, come nelle prossime tappe, non troviamo niente e finiamo con il fissare una camera in un triste, benché decoroso, albergo. A parte la Basilica, che chiude al suo interno la Porziuncola c'è poco da vedere.
Abbozziamo un giro, ma l'abitato è anonimo senza alcun interesse e non ci resta che rientrare all'albergo, dove ceniamo, in un salone che ci da l'impressione di un refettorio scolastico. La mattina successiva molto presto balziamo in moto e saliamo verso la città di San Francesco, parcheggiando la Ducati subito dopo la porta sud orientale.
Oggi ci godiamo la magnifica città, attraversandola lentamente, anche se molto ci sarebbe ancora da vedere. Completiamo il giro tornando alla nostra moto. Scendendo verso il piano, ci rendiamo conto di quanto abbiamo fatto bene ad iniziare la visita di primo mattino, incrociamo infatti una colonna interminabile di autovetture e torpedoni turistici diretti ad Assisi. È bello visitare queste zone ricche di testimonianze della civiltà del passato, ma ancora più bello anche sentire l'aria che ti fischia intorno cavalcando la nostra moto.
Da Spoleto a Cascia
Ripartiamo alla volta di Spoleto. Nella foga della corsa quasi mi perdo il bivio per la SS 209, che si raggiunge dopo aver percorso la lunga galleria sotto cui passa la catena che delimita il lato destro della Val Nerina, statale che abbandoniamo presto salire sulle strade che scavalcano i monti. Pochi chilometri e raggiungiamo Santa Anatolia di Narco .
Il piccolo borgo in posizione panoramica che domina la valle del Nera merita una sosta per ammirarlo. Cerchiamo un negozio per gli acquisti. Un cartello e una freccia indicano un emporio, che non riusciamo a individuare fino a che un simpatico paesano ci indica una porta senza insegne che immette in un lungo corridoio e alla fine porta alla bottega. Tre allegre ragazze dietro il bancone servono con cortesia, ma senza fretta, gli acquirenti. Alla fine siamo serviti anche noi: pane, affettati, qualche frutto, acqua e una bottiglia di rosso. Giunti verso i 900 m di quota ci fermiamo e seduti su un muretto che fiancheggia la strada, consumiamo il nostro pasto, poi Resi si stende all'ombra di un albero, mentre io leggo qualche pagina del giornale.
La sosta non dura a lungo, si torna verso la moto, si indossa il giubbotto, ci si infila il casco, si rimonta sulla Monster e via, ancora in salita per affrontare un percorso coinvolgente che esalta la guida per via dei tratti sinuosi ricchi di curve, tornanti. Superato un valico ad oltre 1200 m svoltiamo a destra scendendo verso Monteleone di Spoleto (nella foto a sinistra). Notiamo che quasi tutti, se non tutti, gli insediamenti storici di queste zone sono sorti a un livello superiore rispetto alla campagna circostante. Un'altra caratteristica della maggior parte delle costruzioni di queste regioni è l’uso della pietra calcarea locale, spesso tagliata in blocchi squadrati, con tonalità che vanno dal bianco all'ocra chiaro fino al rosato. Bianca ci appare dall'alto Monteleone, mentre scendiamo dal colle verso un breve altopiano, la strada sembra allontanarsi dalla nostra nuova meta, poi una curva a 90 gradi ci immette sulla breve salita che ci conduce alla porta che si apre nelle mura di cinta. Dalla porta un lungo rettifilo edificato su entrambi i lati punta sulla porta della seconda cinta muraria, che ingloba buona parte dell'insediamento, quella più interessante, con palazzi e chiese di dimensioni contenute ma di pregevole aspetto.
Terminata la breve visita, partiamo per Cascia. Siamo attratti da questa nuova meta, fra l'altro, nota per Santa Rita, oggetto di un diffuso culto e ci immaginiamo possa competere con il fascino di Assisi.
La strada è piacevole, ma Cascia si rivela una meta deludente, quel poco che rimane di storico è sopraffatto dal santuario, che definire orribile a nostro giudizio è poco. La Santa benché fosse morta nel 1456, fu canonizzata solo nel 1900; il santuario che fu iniziato nel 1937 e ultimato nel 1947, non ha niente dello splendore dell'architettura quattro-cinquecentesca, e nulla dell'architettura moderna; persino il materiale usato, travertino di Tivoli, sembra stonare qui nell'Umbria. Passeggiando tra negozi di souvenir di articoli religiosi e chincaglieria varia, alla ricerca di qualcosa di valido siamo in parte soddisfatti. Non troviamo alloggio a buon mercato, tutto è occupato da una moltitudine di pellegrini, così ci tocca alloggiare in un grosso albergo, anche esso in buona parte occupato dalla stessa clientela. Prima di andare a dormire, ci facciamo raggirare da un menù del pellegrino a prezzo fisso, per poi scoprire che gli extra sono tanti, compresa l'acqua!
Il piccolo borgo in posizione panoramica che domina la valle del Nera merita una sosta per ammirarlo. Cerchiamo un negozio per gli acquisti. Un cartello e una freccia indicano un emporio, che non riusciamo a individuare fino a che un simpatico paesano ci indica una porta senza insegne che immette in un lungo corridoio e alla fine porta alla bottega. Tre allegre ragazze dietro il bancone servono con cortesia, ma senza fretta, gli acquirenti. Alla fine siamo serviti anche noi: pane, affettati, qualche frutto, acqua e una bottiglia di rosso. Giunti verso i 900 m di quota ci fermiamo e seduti su un muretto che fiancheggia la strada, consumiamo il nostro pasto, poi Resi si stende all'ombra di un albero, mentre io leggo qualche pagina del giornale.
La sosta non dura a lungo, si torna verso la moto, si indossa il giubbotto, ci si infila il casco, si rimonta sulla Monster e via, ancora in salita per affrontare un percorso coinvolgente che esalta la guida per via dei tratti sinuosi ricchi di curve, tornanti. Superato un valico ad oltre 1200 m svoltiamo a destra scendendo verso Monteleone di Spoleto (nella foto a sinistra). Notiamo che quasi tutti, se non tutti, gli insediamenti storici di queste zone sono sorti a un livello superiore rispetto alla campagna circostante. Un'altra caratteristica della maggior parte delle costruzioni di queste regioni è l’uso della pietra calcarea locale, spesso tagliata in blocchi squadrati, con tonalità che vanno dal bianco all'ocra chiaro fino al rosato. Bianca ci appare dall'alto Monteleone, mentre scendiamo dal colle verso un breve altopiano, la strada sembra allontanarsi dalla nostra nuova meta, poi una curva a 90 gradi ci immette sulla breve salita che ci conduce alla porta che si apre nelle mura di cinta. Dalla porta un lungo rettifilo edificato su entrambi i lati punta sulla porta della seconda cinta muraria, che ingloba buona parte dell'insediamento, quella più interessante, con palazzi e chiese di dimensioni contenute ma di pregevole aspetto.
Terminata la breve visita, partiamo per Cascia. Siamo attratti da questa nuova meta, fra l'altro, nota per Santa Rita, oggetto di un diffuso culto e ci immaginiamo possa competere con il fascino di Assisi.
La strada è piacevole, ma Cascia si rivela una meta deludente, quel poco che rimane di storico è sopraffatto dal santuario, che definire orribile a nostro giudizio è poco. La Santa benché fosse morta nel 1456, fu canonizzata solo nel 1900; il santuario che fu iniziato nel 1937 e ultimato nel 1947, non ha niente dello splendore dell'architettura quattro-cinquecentesca, e nulla dell'architettura moderna; persino il materiale usato, travertino di Tivoli, sembra stonare qui nell'Umbria. Passeggiando tra negozi di souvenir di articoli religiosi e chincaglieria varia, alla ricerca di qualcosa di valido siamo in parte soddisfatti. Non troviamo alloggio a buon mercato, tutto è occupato da una moltitudine di pellegrini, così ci tocca alloggiare in un grosso albergo, anche esso in buona parte occupato dalla stessa clientela. Prima di andare a dormire, ci facciamo raggirare da un menù del pellegrino a prezzo fisso, per poi scoprire che gli extra sono tanti, compresa l'acqua!
Da Norcia a Visso
Ci rimettiamo presto in strada, diretti a , città della quale ignoriamo tutto, salvo che fosse la patria di San Benedetto e forse più ancora, mi si perdoni l'ignoranza, per la fama dei prodotti detti, appunto, da norcineria: insaccati e varie. Una ventina di chilometri di strada sinuosa e panoramica. Giunti alla Porta Romana, preferisco prendere verso nord, le mura, che cingono la città, ma giunto alla porta successiva, Porta San Giovanni, mi sembra che non possiamo non visitare questo centro. Parcheggio la moto su un rialzo a sinistra della porta e iniziamo l'esplorazione. L' abitato è compatto, decoroso, ma mi sembra privo di emergenze monumentali; presto mi devo ricredere, specialmente quando dinnanzi ai nostri occhi si apre la piazza San Benedetto, spaziosa e ricca di elementi insigni; la chiesa del Santo, il castello, il palazzo del municipio.
Terminata la visita, riprendiamo il nostro viaggio in moto. Secondo il programma la prossima tappa dovrebbe essere Forca Canapine, una stazione di sport invernali a circa 1.550 m, dove negli anni della gioventù partecipai ad una gara di slalom gigante, indetta per lanciare la stazione, con risultati disastrosi sia per l'organizzazione che per la mia prestazione. Il caso vuole che si vada a finire a Frontignano di Ussita, altra stazione di sport invernali, posta sopra Visso. Uscendo da Norcia, combino un vero pasticcio nell'interpretare la carta stradale e la segnaletica. Anziché uscire verso sud dalla città, come sarebbe giusto, esco a nord, seguendo le indicazioni di un cartello segnaletico che indica Visso e mi lancio in quella direzione, poiché anche passando per Forca Canapine, sia pure con un lungo giro, si raggiunge Visso. Quando mi rendo conto dell'errore siamo già molto avanti e conviene proseguire.
In moto siamo già stati precedentemente a Visso e alla soprastante Ussita, per questo avevo escluso queste mete dall'itinerario, comunque si tratta di un percorso e di posti molto carini.
Terminata la visita, riprendiamo il nostro viaggio in moto. Secondo il programma la prossima tappa dovrebbe essere Forca Canapine, una stazione di sport invernali a circa 1.550 m, dove negli anni della gioventù partecipai ad una gara di slalom gigante, indetta per lanciare la stazione, con risultati disastrosi sia per l'organizzazione che per la mia prestazione. Il caso vuole che si vada a finire a Frontignano di Ussita, altra stazione di sport invernali, posta sopra Visso. Uscendo da Norcia, combino un vero pasticcio nell'interpretare la carta stradale e la segnaletica. Anziché uscire verso sud dalla città, come sarebbe giusto, esco a nord, seguendo le indicazioni di un cartello segnaletico che indica Visso e mi lancio in quella direzione, poiché anche passando per Forca Canapine, sia pure con un lungo giro, si raggiunge Visso. Quando mi rendo conto dell'errore siamo già molto avanti e conviene proseguire.
In moto siamo già stati precedentemente a Visso e alla soprastante Ussita, per questo avevo escluso queste mete dall'itinerario, comunque si tratta di un percorso e di posti molto carini.
Da Castel Santangelo a Montereale
Dopo esserci ristorati a Visso, per la fame e la sete nostra e della Monster, affrontiamo la salita verso Ussita e Frontignano. Ci fermiamo per rifocillarci con una colazione al sacco. Giunti in cima abbiamo la spiacevole sorpresa di trovare la strada vero la nostra meta chiusa al traffico ritorniamo a quindi Visso e prendiamo la strada che costeggia l'alto corso del Nera, pittoresca e scorrevole. Giunti a Castel Santangelo, abbandonato il letto del Nera, si gira a destra; la strada si fa tortuosa inerpicandosi sino al Passo di Gualdo ad oltre 1.400 m; si procede scendendo nella bellissima conca di Castelluccio, seguita da una seconda, molto più estesa, detta il Piano Grande. Il paese è situato su una sella che separa le due conche. Lo visiteremmo volentieri, ma il paese come le due conche sono affollatissime, turisti a cavallo, ciclisti, campeggiatori, deltaplanisti e gli immancabili motociclisti. Dovunque gente, automezzi parcheggiati, fornelli da barbecue. Ma non siamo in un parco nazionale? Per goderne appieno bisognerà tornare a ferie concluse!
Scavalcata la cresta che chiude a sud il piano grande, scendiamo alcune rampe, per arrestarci presso il rifugio Perugia, dove sostiamo per rilassarci un poco. A destra in alto vediamo Forca Canapine, che secondo i progetti, avremmo dovuto raggiungere molto prima. Abbiamo percorso oltre 45 km in più del programma.
Non ci dispiace, però, di aver compiuto questa deviazione, abbiamo goduto della bellissima vista di Castelluccio e del suo territorio, e rivisto Ussita, alla quale ci legano teneri ricordi. Siamo rallentati nella marcia, poichè è in corso una patetica corsa podistica con partecipanti di ogni età, alcuni dei quali si trascinano a fatica. A passo d'uomo i motori delle moto si surriscaldano, e siamo obbligati a sostare ogni centinaio di metri. A Montereale non c'è un letto che ci può ospitare, sono tentato di ripiegare su l'Aquila, ma Resi non si arrende e prosegue la ricerca, mentre io resto accanto alla moto. L'attesa si prolunga, vado alla ricerca della consorte e la ritrovo, mentre è seduta a parlare con due abitanti del paese, che, gentilissimi si danno da fare telefonando invano ai possibili alloggi; non resta che un recapito da sondare in una frazione, San Vito, qualche chilometro a ritroso. Ringraziamo e partiamo. La “locanda” è un edificio a più piani dotato di ascensore, con pretese di palazzo gentilizio, in realtà ritengo sia stato costruito nel secolo appena trascorso. Non ci sono le solite camere d'albergo, ma appartamenti. Per cenare ci rechiamo ad una trattoria situata accanto all’ antica Abbazia della Madonna in Pantanis, costruita tra XI ed il XII secolo.
La mattina ci accoglie con il broncio di un cielo coperto. Verso i Monti della Laga, si vedono scrosci di pioggia, il che ci dissuade dall'affrontare la strada che sale con rampe e tornanti verso Campotosto, località dalla quale anni fa siamo dovuti fuggire in moto intirizziti sotto l'imperversare di un vigoroso acquazzone.
Ci avviamo lungo la SS 260 fino al bivio con la SS 80. Il tempo si è nettamente rasserenato e ci consente di salire verso Campo Tosto seguendo la statale 80. Il paese e le coste del lago sono affollate di turisti, non è facile trovare un posto per parcheggiare la moto. Dopo la Messa domenicale e l'acquisto di alimentari, trovato un tratto accessibile della sponda sud-ovest del lago, non completamente occupato, ci fermiamo per la solita colazione al sacco prima di tornare sulla statale 80. Il percorso ci è noto, panoramico e variato, ma il piacere è in parte rovinato dalla presenza di un paio di gallerie non illuminate, dalle pareti scure. Venendo dallo abbagliante sole di agosto è un vero tuffo nel buio; i fari non riescono ad illuminare a sufficienza, il che è particolarmente fastidioso per i motociclisti.
Scavalcata la cresta che chiude a sud il piano grande, scendiamo alcune rampe, per arrestarci presso il rifugio Perugia, dove sostiamo per rilassarci un poco. A destra in alto vediamo Forca Canapine, che secondo i progetti, avremmo dovuto raggiungere molto prima. Abbiamo percorso oltre 45 km in più del programma.
Non ci dispiace, però, di aver compiuto questa deviazione, abbiamo goduto della bellissima vista di Castelluccio e del suo territorio, e rivisto Ussita, alla quale ci legano teneri ricordi. Siamo rallentati nella marcia, poichè è in corso una patetica corsa podistica con partecipanti di ogni età, alcuni dei quali si trascinano a fatica. A passo d'uomo i motori delle moto si surriscaldano, e siamo obbligati a sostare ogni centinaio di metri. A Montereale non c'è un letto che ci può ospitare, sono tentato di ripiegare su l'Aquila, ma Resi non si arrende e prosegue la ricerca, mentre io resto accanto alla moto. L'attesa si prolunga, vado alla ricerca della consorte e la ritrovo, mentre è seduta a parlare con due abitanti del paese, che, gentilissimi si danno da fare telefonando invano ai possibili alloggi; non resta che un recapito da sondare in una frazione, San Vito, qualche chilometro a ritroso. Ringraziamo e partiamo. La “locanda” è un edificio a più piani dotato di ascensore, con pretese di palazzo gentilizio, in realtà ritengo sia stato costruito nel secolo appena trascorso. Non ci sono le solite camere d'albergo, ma appartamenti. Per cenare ci rechiamo ad una trattoria situata accanto all’ antica Abbazia della Madonna in Pantanis, costruita tra XI ed il XII secolo.
La mattina ci accoglie con il broncio di un cielo coperto. Verso i Monti della Laga, si vedono scrosci di pioggia, il che ci dissuade dall'affrontare la strada che sale con rampe e tornanti verso Campotosto, località dalla quale anni fa siamo dovuti fuggire in moto intirizziti sotto l'imperversare di un vigoroso acquazzone.
Ci avviamo lungo la SS 260 fino al bivio con la SS 80. Il tempo si è nettamente rasserenato e ci consente di salire verso Campo Tosto seguendo la statale 80. Il paese e le coste del lago sono affollate di turisti, non è facile trovare un posto per parcheggiare la moto. Dopo la Messa domenicale e l'acquisto di alimentari, trovato un tratto accessibile della sponda sud-ovest del lago, non completamente occupato, ci fermiamo per la solita colazione al sacco prima di tornare sulla statale 80. Il percorso ci è noto, panoramico e variato, ma il piacere è in parte rovinato dalla presenza di un paio di gallerie non illuminate, dalle pareti scure. Venendo dallo abbagliante sole di agosto è un vero tuffo nel buio; i fari non riescono ad illuminare a sufficienza, il che è particolarmente fastidioso per i motociclisti.
Da Montorio al Vomano a Santo Stefano di Sassanio
A Montorio al Vomano, deviamo verso la SS 91, una vera strada di montagna, tutta curve e tornanti, con l'incombente versante nord del Gran Sasso d'Italia a far da quinta. Passiamo per Isola del Gran Sasso e proseguiamo fino a Castelli, località nota per la produzione di maioliche. Qui facciamo una sosta per una fare una breve visita del paese, che sorge su un costone che sormonta vertiginosi strapiombi. E' in corso una fiera promozionale delle maioliche locali, che attira una gran folla.
Si torna in sella imboccando la strada per Rigopiano che dopo un sinuoso tratto iniziale continua con una lunga via che si arrampica sotto il versante nord del Monte Camicia. Non possiamo non fermarci per ammirare questa parete imponente, tra le più impegnative dal punto di vista alpinistico dell'Appennino. Tralasciamo Rigopiano per l'ora avanzata e imbocchiamo le rampe per Vado del Sole. Scendiamo veloci per Castel del Monte, dove contiamo di trovare alloggio. Li troviamo tutto esaurito, ci indicano di provare a Rocca Calascio o a Santo Stefano di Sassanio. Giunti al bivio per la Rocca, un gentile signore ci suggerisce di scegliere di alloggiare nella struttura ricettiva ricavata tra i ruderi dell'antico borgo e del castello. Non ci sorride molto l'idea di dover risalire con la scarsa luce dell'imbrunire le rampe dal fondo stradale sconnesso, ma Santo Stefano è lontano e allora proviamo. Salgo con prudenza cercando di evitare le buche più grosse e gli accumuli di breccia sui quali le ruote possono slittare. Rifugio della Rocca è il nome che è stato dato a questa struttura alberghiera del tutto particolare, gestita da una coppia che con coraggio si è insediata stabilmente da molti anni, in questo luogo, pieno di fascino, ma solitario e non certo dei più accessibili. Qui sono nati i loro figli che collaborano con i genitori alla gestione. Gli ospiti sono alloggiati in parte in camere ricavate nelle case restaurate, in parte in un alloggio attrezzato alla maniera dei rifugi alpini, con sedici posti letto, due per incastellatura. Le camere sono tutte occupate, noi dormiremo nei letti a castello del rifugio insieme a una simpatica coppia di triestini, anch'essi motociclisti e tre giovani che si coricheranno al buio mentre già siamo semi-assopiti e partiranno alle prime luci. Dalla moto all'alloggio un figlio dei gestori trasporta il nostro bagaglio con un mini-cingolato.
La cena è ottima, così pure la prima colazione.
Ci rendiamo conto che domani sarà l'ultimo giorno a disposizione, l'ambizione di prolungare la nostra spedizione alla Marsica meridionale ed alla Maiella sarà da rinviare ad altra data. Decidiamo di visitare ancora nel Gran Sasso Santo Stefano di Sassanio e di cominciare l'avvicinamento a Roma.
Santo Stefano è un bel paese costruito quasi tutto, se non tutto nella pietra calcarea del massiccio, lasciata per lo più a vista, con buona parte della viabilità interna sottopassante le case in vere e proprie gallerie che rendono, certamente, più agevole, d'inverno con la neve, i movimenti degli abitanti. Anche in questo grande villaggio buona parte degli edifici sono stati ristrutturati senza alterare l'antica fisionomia, almeno ad un rapido esame, qual'è il nostro.
Proseguiamo la nostra marcia, scavalcando il fiume Aterno e l'Altopiano delle Rocche che abbiamo di recente rivisitato, mi abbandono al gusto di una guida veloce lungo le strade sinuose. Ad Ovindoli ci concediamo un buon pasto in una trattoria che conosciamo per la buona qualità e il prezzo discreto.
Percorrendo la Tiburtina da Tagliacozzo deviamo verso Sante Marie, e di là verso la sua frazione:Val di Varri dove ci attendono i cugini. La strada che congiunge il capoluogo con la frazione è per un buon tratto bianca e accidentata, tipo di percorso che, a cavallo della Monster, affronto con notevole apprensione e disagio, memore di spiacevoli cadute. Giunti alla meta, una bellissima casa immersa in un ambiente dove il verde domina sovrano, ci possiamo distendere in riposo assoluto. A sera ceniamo consumando un grosso porcino, colto nel giardino sotto un castagno. Ci intratteniamo anche la notte, dormendo nel silenzio e nella frescura. L'indomani rientro a casa.
Si torna in sella imboccando la strada per Rigopiano che dopo un sinuoso tratto iniziale continua con una lunga via che si arrampica sotto il versante nord del Monte Camicia. Non possiamo non fermarci per ammirare questa parete imponente, tra le più impegnative dal punto di vista alpinistico dell'Appennino. Tralasciamo Rigopiano per l'ora avanzata e imbocchiamo le rampe per Vado del Sole. Scendiamo veloci per Castel del Monte, dove contiamo di trovare alloggio. Li troviamo tutto esaurito, ci indicano di provare a Rocca Calascio o a Santo Stefano di Sassanio. Giunti al bivio per la Rocca, un gentile signore ci suggerisce di scegliere di alloggiare nella struttura ricettiva ricavata tra i ruderi dell'antico borgo e del castello. Non ci sorride molto l'idea di dover risalire con la scarsa luce dell'imbrunire le rampe dal fondo stradale sconnesso, ma Santo Stefano è lontano e allora proviamo. Salgo con prudenza cercando di evitare le buche più grosse e gli accumuli di breccia sui quali le ruote possono slittare. Rifugio della Rocca è il nome che è stato dato a questa struttura alberghiera del tutto particolare, gestita da una coppia che con coraggio si è insediata stabilmente da molti anni, in questo luogo, pieno di fascino, ma solitario e non certo dei più accessibili. Qui sono nati i loro figli che collaborano con i genitori alla gestione. Gli ospiti sono alloggiati in parte in camere ricavate nelle case restaurate, in parte in un alloggio attrezzato alla maniera dei rifugi alpini, con sedici posti letto, due per incastellatura. Le camere sono tutte occupate, noi dormiremo nei letti a castello del rifugio insieme a una simpatica coppia di triestini, anch'essi motociclisti e tre giovani che si coricheranno al buio mentre già siamo semi-assopiti e partiranno alle prime luci. Dalla moto all'alloggio un figlio dei gestori trasporta il nostro bagaglio con un mini-cingolato.
La cena è ottima, così pure la prima colazione.
Ci rendiamo conto che domani sarà l'ultimo giorno a disposizione, l'ambizione di prolungare la nostra spedizione alla Marsica meridionale ed alla Maiella sarà da rinviare ad altra data. Decidiamo di visitare ancora nel Gran Sasso Santo Stefano di Sassanio e di cominciare l'avvicinamento a Roma.
Santo Stefano è un bel paese costruito quasi tutto, se non tutto nella pietra calcarea del massiccio, lasciata per lo più a vista, con buona parte della viabilità interna sottopassante le case in vere e proprie gallerie che rendono, certamente, più agevole, d'inverno con la neve, i movimenti degli abitanti. Anche in questo grande villaggio buona parte degli edifici sono stati ristrutturati senza alterare l'antica fisionomia, almeno ad un rapido esame, qual'è il nostro.
Proseguiamo la nostra marcia, scavalcando il fiume Aterno e l'Altopiano delle Rocche che abbiamo di recente rivisitato, mi abbandono al gusto di una guida veloce lungo le strade sinuose. Ad Ovindoli ci concediamo un buon pasto in una trattoria che conosciamo per la buona qualità e il prezzo discreto.
Percorrendo la Tiburtina da Tagliacozzo deviamo verso Sante Marie, e di là verso la sua frazione:Val di Varri dove ci attendono i cugini. La strada che congiunge il capoluogo con la frazione è per un buon tratto bianca e accidentata, tipo di percorso che, a cavallo della Monster, affronto con notevole apprensione e disagio, memore di spiacevoli cadute. Giunti alla meta, una bellissima casa immersa in un ambiente dove il verde domina sovrano, ci possiamo distendere in riposo assoluto. A sera ceniamo consumando un grosso porcino, colto nel giardino sotto un castagno. Ci intratteniamo anche la notte, dormendo nel silenzio e nella frescura. L'indomani rientro a casa.
Titoli di coda
Benché buona parte del viaggio sia stato percorso a quote relativamente elevate, spesso sopra i mille metri, abbiamo patito il caldo fino alla penultima tappa di Rocca Calascio posta a ben millecinquecento metri.
Oltre alle sudate, alle quali ha dato una mano il motore, ne ha sofferto la visibilità sulle grandi distanze, velata dalla caligine. Grazie al Cielo, l'afa è terminata proprio l'ultimo giorno, rendendo meno gravoso il ritorno.
La bellezza dei luoghi, natura e opere dell'uomo, non ci ha fatto rimpiangere il cambiamento dei programmi originali. Le strade si sono rivelate per lo più buone e divertenti con la moto, ad eccezione di alcuni tratti in Emilia Romagna.
Oltre alle sudate, alle quali ha dato una mano il motore, ne ha sofferto la visibilità sulle grandi distanze, velata dalla caligine. Grazie al Cielo, l'afa è terminata proprio l'ultimo giorno, rendendo meno gravoso il ritorno.
La bellezza dei luoghi, natura e opere dell'uomo, non ci ha fatto rimpiangere il cambiamento dei programmi originali. Le strade si sono rivelate per lo più buone e divertenti con la moto, ad eccezione di alcuni tratti in Emilia Romagna.
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