I viaggi dei lettori
In moto fino a Pechino in 50 giorni
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Il nostro lettore ci racconta il suo emozionante viaggio verso la Cina in sella ad una KTM 950 Adventure con cui ha attraversato otto paesi, percorso più di 16.000 km tra strade asfaltate e piste nel deserto
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Hai fatto anche tu un viaggio, una vacanza, un itinerario in moto che scatenano la libidine di un vero motociclista? Mandaci il racconto e le foto all'indirizzo redazione@motonline.com: lo pubblicheremo sul nostro sito completo di album fotografico in versione "gallery". |
Mi infilo i guanti, guardo il contachilometri e sorrido, ultimo controllo al borsone di traverso sul posteriore, pigio il bottone del motore e in un attimo mesi di preparativi svaniscono nel nulla; al semaforo, sotto casa mi affianca un amico che mi chiede dove sarei andato questa volta…io gli risposi con fermezza a Pechino. Il mio amico mi manda sorridente a quel paese come se lo stessi prendendo in giro, giorni dopo si convincerà della mia buona fede.
La sera della partenza arrivo a Tarvisio dove ho l’appuntamento con gli altri. Negli ultimi 100 km vengo sorpreso dalla pioggia che ritroverò un mese dopo in Cina.
Partiti di buon mattino alla volta dell’Austria per poi arrivare in Ungheria, dove sostiamo a Budapest, la giornata si conclude in uno dei tipici ristoranti della parte vecchia della città da dove si ha un’ottima visione del resto della metropoli.
Sveglia alle prime luci dell’alba con l’intento di raggiungere la frontiera con l’Ucraina e macinare più km possibili, le intenzioni sono buone ma quando arriviamo è il caos a prevalere, tutti che vogliono passare, auto di traverso e chi scende per spingerla fino alla sbarra del doganiere per non far surriscaldare il motore.
Superata la frontiera vorremmo arrivare a Leopoli ma con il sole che tramonta decidiamo di sostare prima.
Leopoli è una città con un centro caratteristico, nulla di più, ma nella mente di noi italiani rappresenta un momento eroico della nostra cavalleria che la seconda guerra mondiale con un’energia di altri tempi affrontò la fanteria russa in una lotta impari.
Attraversiamo paesini su paesini, le nostre moto destano ammirazione, il confronto è con qualche Dnieper. Guardandoci intorno constatiamo lo stato di abbandono in cui versano questi paesi: tutto sa di vecchio, anche le persone, alle quali tirare fuori un sorriso non è facile per degli stranieri. E’ una calda giornata ma ormai solo 100 km ci separano da Kiev dove poi sostiamo per e ci concediamo una visita alla cattedrale di Santo Stefano per poi riprendere le moto e giungere in serata a Poltava.
Il deserto in Kazakistan
Percorriamo moltissimi chilometri nella sterminata campagna, per la maggior parte coltivata a grano. Lushask dista pochi km dalla frontiera Russa e l’idea è quella che domani sarà una giornata piena dove macineremo km, previsione più azzardata non potevamo farla, infatti a fine giornata ne totalizziamo solo 130 km.
La giornata è grigia per essere la fine di luglio e fa freddo, arriviamo fino a Stalingrado, oggi Volgograd ( il fiume Volga la divide in due) e sostiamo sulla riva occidentale dove vecchi edifici lasciati a memoria, come la guerra li consegnò, stanno a testimoniare una delle più cruenti battaglie dell’ultimo conflitto; Astrakan è l’ultima città russa, visi che con i russi non hanno nulla a che fare ci danno l’idea che l’Asia è qui a due passi, quando l’indomani, superando il Volga su ponti traballanti prima e barconi fatiscenti dopo, arriviamo a una frontiera kazaka sgangherata e quello che di europeo poteva avere qualche somiglianza è solo un ricordo. La strada è una miriade di buche, cammelli al pascolo e c’è un sole che picchia inesorabile; da ora in avanti l’habitat, avrà altre connotazioni.
Massimo ci aspetta all’ingresso di Atyrau, un italiano in Kazakistan che si offre di darci ospitalità a buon prezzo non lo trovi tutti i giorni; è la prima volta che ci vediamo, raccontare come sia successo evoca il libro Cuore.
A Kulsary c’è l’ultima pompa di benzina e da ora in avanti l’off-road sarà pane quotidiano; percorriamo solo pochi chilometri che davanti a noi si apre il deserto, e a questo punto non tutti si sentono convinti di ficcarci le ruote, poi si decide. Dopo 30 km mi fermo, aspetto e non arriva nessuno, passa un ora e decido: l’appuntamento era a Benyau, altri 200 km e vado avanti da solo; prima di Oporny, un agglomerato di poche persone, becco una buca, entro dentro a velocità sostenuta, la valige sinistra si stacca, vola per l’impatto, non ho il tempo di pensare a lei, altre buche davanti a me mi impongono altre teorie, esco con il freno post- bloccato, mi fermo. Fisso la borsa che si era staccata in qualche modo e riprendo il mio insidioso attraversamento del deserto.
Ad Oporny faccio 2-3 giri del paese per farmi notare dalle persone, non ho possibilità di contattare i miei amici, ma in questo bizzarro modo so di aver lasciato una traccia di me alle mie spalle…perlomeno nella memoria degli abitanti.
Proseguo, e quando incontro qualche cartello segnaletico rimango sempre sorpreso vista la cattiva conservazione delle strade. Arrivo a Benyau con il sole oltre la linea dell’orizzonte, c’è un albergo, ma che faticata per avere un letto. Ho solo pochi tenk (la moneta kazaka), la signora li vuole tutti e in contanti, gli propongo il triplo in dollari con il passaporto; all’indomani vado in banca e pago, facile a dirsi, più difficile tradurlo; non parla inglese, passa un’ora e fortuna vuole che dei ragazzi rientrino, parlano inglese e allora tutto diventa più facile. Condivido la stanza con un ufficiale dell’esercito e anche stavolta è un colloquio tra sordi ma è molto gentile e fa di tutto per farmi sentire a mio agio.
Aspetto gli altri, che arrivano sul tardi, purtroppo la difficoltà della sabbia gli ha frenati, così hanno dormito ad Oporny; solo Maurizio era dietro di me di qualche km. Prossima meta sarà la frontiera con l’Uzbekistan.
La giornata è grigia per essere la fine di luglio e fa freddo, arriviamo fino a Stalingrado, oggi Volgograd ( il fiume Volga la divide in due) e sostiamo sulla riva occidentale dove vecchi edifici lasciati a memoria, come la guerra li consegnò, stanno a testimoniare una delle più cruenti battaglie dell’ultimo conflitto; Astrakan è l’ultima città russa, visi che con i russi non hanno nulla a che fare ci danno l’idea che l’Asia è qui a due passi, quando l’indomani, superando il Volga su ponti traballanti prima e barconi fatiscenti dopo, arriviamo a una frontiera kazaka sgangherata e quello che di europeo poteva avere qualche somiglianza è solo un ricordo. La strada è una miriade di buche, cammelli al pascolo e c’è un sole che picchia inesorabile; da ora in avanti l’habitat, avrà altre connotazioni.
Massimo ci aspetta all’ingresso di Atyrau, un italiano in Kazakistan che si offre di darci ospitalità a buon prezzo non lo trovi tutti i giorni; è la prima volta che ci vediamo, raccontare come sia successo evoca il libro Cuore.
A Kulsary c’è l’ultima pompa di benzina e da ora in avanti l’off-road sarà pane quotidiano; percorriamo solo pochi chilometri che davanti a noi si apre il deserto, e a questo punto non tutti si sentono convinti di ficcarci le ruote, poi si decide. Dopo 30 km mi fermo, aspetto e non arriva nessuno, passa un ora e decido: l’appuntamento era a Benyau, altri 200 km e vado avanti da solo; prima di Oporny, un agglomerato di poche persone, becco una buca, entro dentro a velocità sostenuta, la valige sinistra si stacca, vola per l’impatto, non ho il tempo di pensare a lei, altre buche davanti a me mi impongono altre teorie, esco con il freno post- bloccato, mi fermo. Fisso la borsa che si era staccata in qualche modo e riprendo il mio insidioso attraversamento del deserto.
Ad Oporny faccio 2-3 giri del paese per farmi notare dalle persone, non ho possibilità di contattare i miei amici, ma in questo bizzarro modo so di aver lasciato una traccia di me alle mie spalle…perlomeno nella memoria degli abitanti.
Proseguo, e quando incontro qualche cartello segnaletico rimango sempre sorpreso vista la cattiva conservazione delle strade. Arrivo a Benyau con il sole oltre la linea dell’orizzonte, c’è un albergo, ma che faticata per avere un letto. Ho solo pochi tenk (la moneta kazaka), la signora li vuole tutti e in contanti, gli propongo il triplo in dollari con il passaporto; all’indomani vado in banca e pago, facile a dirsi, più difficile tradurlo; non parla inglese, passa un’ora e fortuna vuole che dei ragazzi rientrino, parlano inglese e allora tutto diventa più facile. Condivido la stanza con un ufficiale dell’esercito e anche stavolta è un colloquio tra sordi ma è molto gentile e fa di tutto per farmi sentire a mio agio.
Aspetto gli altri, che arrivano sul tardi, purtroppo la difficoltà della sabbia gli ha frenati, così hanno dormito ad Oporny; solo Maurizio era dietro di me di qualche km. Prossima meta sarà la frontiera con l’Uzbekistan.
Verso Samarcanda
Sono le 4, quando ci ritroviamo alla frontiera, passano le ore, alla fine piazziamo le tende, per una notte nella terra di nessuno.
Non c’è un riparo, il sole trafigge questa landa desolata e davanti a noi si apre il deserto del Kyzylkum, strada e pista, più questa che altro, tanta polvere ma anche tanta voglia di misurarsi con se stessi; non si passa di qua tutti i giorni.
Una bellezza Ucraina posa sulla mia fedele compagna di viaggio
All’indomani insieme con altri decidiamo di andare verso il lago di Aral o almeno quello che resta di uno dei disastri ambientali del ventesimo secolo, quando i russi decisero di deviare le acque che affluivano in questo lago per irrigare la parte sud dell’Uzbekistan.
Relitti di barche che danno un’idea lugubre di come l’uomo può, a volte, essere motivo di scelte folli; le cronache raccontano che per anni questo lago è stato usato come una discarica di prodotti contaminati, di certo l’ambiente che ci circonda è arido e desolante.
E’ notte quando giungiamo a Kiva, un meritato riposo con una doccia calda è il minimo che si può chiedere, la fatica in un certo senso si fa sentire.
All’indomani giriamo tra le mura e il mercato di questa città dalle tante particolarità; incontriamo persone che vestono classici indumenti, una sorta di passato che rivive nel presente; l’atmosfera è di quelle che affascinano, d’altra parte un’ iscrizione su un muro ricorda che siamo su una delle tante rotte della Via della Seta, vie di comunicazione che furono di scambio oltre che commerciale anche di culture tra Europa e Asia. Di sicuro oggi si fa fatica a capire certe divisioni culturali, per fortuna che la moto è lo strumento ideale per rompere certe diffidenze.
Prossima tappa Bukkara (nella foto), la città è un mosaico di opere che contaminano gli occhi. Nei due giorni di sosta approfittiamo per fare un controllo alle moto, che hanno già sulle spalle oltre 7000 km da quando siamo partiti e necessitano di un cambio d’olio e di uno sguardo generale anche perché Pechino è ancora lontana.
Con Maurizio decidiamo un’altra strada che porta a Samarcanda, la città che si identifica in Tamerlano, colui che la esaltò riconoscendo nel Registan una delle più belle costruzioni mai edificate, un insieme di mosaici di pietre dove i lapislazzuli predominano.
Taskent la capitale dell’Uzbekistan è altra cosa, viali ampi, con costruzioni squadrate in tipico stile regime sovietico; passiamo una notte di transizione, prima di puntare verso il Kirghizistan. Man mano che ci avviciniamo ad Osh, alle pianure uzbeke fanno da contorno le montagne de Tian Shan verso la Cina e le montagne Fan, di Samarcanda, che si collegano all’Alay del Pamir.
E’ sera quando lasciamo la frontiera per Osh che dista pochi chilometri.
Non c’è un riparo, il sole trafigge questa landa desolata e davanti a noi si apre il deserto del Kyzylkum, strada e pista, più questa che altro, tanta polvere ma anche tanta voglia di misurarsi con se stessi; non si passa di qua tutti i giorni.
Una bellezza Ucraina posa sulla mia fedele compagna di viaggio
All’indomani insieme con altri decidiamo di andare verso il lago di Aral o almeno quello che resta di uno dei disastri ambientali del ventesimo secolo, quando i russi decisero di deviare le acque che affluivano in questo lago per irrigare la parte sud dell’Uzbekistan.
Relitti di barche che danno un’idea lugubre di come l’uomo può, a volte, essere motivo di scelte folli; le cronache raccontano che per anni questo lago è stato usato come una discarica di prodotti contaminati, di certo l’ambiente che ci circonda è arido e desolante.
E’ notte quando giungiamo a Kiva, un meritato riposo con una doccia calda è il minimo che si può chiedere, la fatica in un certo senso si fa sentire.
All’indomani giriamo tra le mura e il mercato di questa città dalle tante particolarità; incontriamo persone che vestono classici indumenti, una sorta di passato che rivive nel presente; l’atmosfera è di quelle che affascinano, d’altra parte un’ iscrizione su un muro ricorda che siamo su una delle tante rotte della Via della Seta, vie di comunicazione che furono di scambio oltre che commerciale anche di culture tra Europa e Asia. Di sicuro oggi si fa fatica a capire certe divisioni culturali, per fortuna che la moto è lo strumento ideale per rompere certe diffidenze.
Prossima tappa Bukkara (nella foto), la città è un mosaico di opere che contaminano gli occhi. Nei due giorni di sosta approfittiamo per fare un controllo alle moto, che hanno già sulle spalle oltre 7000 km da quando siamo partiti e necessitano di un cambio d’olio e di uno sguardo generale anche perché Pechino è ancora lontana.
Con Maurizio decidiamo un’altra strada che porta a Samarcanda, la città che si identifica in Tamerlano, colui che la esaltò riconoscendo nel Registan una delle più belle costruzioni mai edificate, un insieme di mosaici di pietre dove i lapislazzuli predominano.
Taskent la capitale dell’Uzbekistan è altra cosa, viali ampi, con costruzioni squadrate in tipico stile regime sovietico; passiamo una notte di transizione, prima di puntare verso il Kirghizistan. Man mano che ci avviciniamo ad Osh, alle pianure uzbeke fanno da contorno le montagne de Tian Shan verso la Cina e le montagne Fan, di Samarcanda, che si collegano all’Alay del Pamir.
E’ sera quando lasciamo la frontiera per Osh che dista pochi chilometri.
Ecco la Cina
Il Kirghizistan ha l’aspetto del paese isolato dal contesto regionale, almeno da questa parte; forse la riapertura da parte dei cinesi del passo Irkestan nel 2005, ha deviato di fatto molto del traffico delle merci in questa parte del paese, Il panorama è stupendo, la strada sale e scende, siamo in off-road, tanta polvere; ci sono panorami inconsueti per noi, le gher sparse nelle vallate, il picco Komunist e Lenin con le vette ghiacciate; se cercavamo emozioni le stiamo vivendo.
E’ sera quando montiamo le targhe cinesi alle moto, ci viene consegnata anche la patente. Ricordo le tante volte che ho pensato di mettere le ruote in questo paese, il momento è arrivato; Pechino è ancora distante, ma il sogno sta diventando realtà.
Raggiungiamo nelle prime ore del mattino Kasghar. La città è famosa per essere stata ruolo centrale negli scambi commerciali che ha rivestito dal momento che qui confluivano tutte le vie carovaniere e ancora oggi la città vive un ritmo frenetico legato al commercio. Fatta la colazione mattutina puntiamo verso il lago Karakul, la strada costeggia il Tagikistan e il Pakistan, alla pianura si sostituiscono le montagne da sempre innevate, siamo vicini a quota 4000 metri, c’è chi opta per dormire nelle gher, io e George in tenda sulla riva del lago.
Il monte Muztagata svetta prepotentemente verso il cielo con i suoi 7540 m, una natura possente ci circonda e tutto ha una dimensione che va oltre l’immaginazione e fa sognare; un ragazzo mi raggiunge ai lati della strada con il suo cavallo, gli sguardi si incrociano e ho l’idea che pensiamo la stessa cosa, ammicco un sorriso, lui contraccambia, gli dedico una foto, mi saluta e allora l’idea che ho da sempre ritorna come un flash-back, le persone del mondo sono miti, è un confronto con la mia e la loro società, il bello dell’esperienza è anche questo, confrontarsi.
Verso il lago Karakul
È domenica e Kasghar per un giorno alla settimana diventa più caotica che mai, il mercato del bestiame mobilita centinaia di persone che con i mezzi più strani giungono dai posti più remoti, asini, pecore, cavalli buoi e altri animali animano questo angolo di Cina; è un momento di affari ma anche di socializzazione.
Il deserto del Taklimakam è tra i più grandi del mondo, peccato che la sua sabbia sia come il borotalco, la voglia di tuffarci dentro è tanta solo qualche fuoripista è consentito, 650 km di nulla ci accompagnano verso nord, dormiamo a Korla. Se il caldo è stata la predominante del giorno prima, scendendo verso Turpan siamo costretti ad affrontare l’impeto del vento che soffia a oltre 90 km/h, e a tratti sembriamo dei surfisti; i cinesi guardano stupiti. Le grotte dei 100 Buddha sono una chicca incastonate in mezzo ad una vallata. Ammiriamo le montagne fiammeggianti, l’erosione le ha modellate, la fantasia ha fatto il resto. La sera giungiamo nell’oasi di Turpan.
E’ sera quando montiamo le targhe cinesi alle moto, ci viene consegnata anche la patente. Ricordo le tante volte che ho pensato di mettere le ruote in questo paese, il momento è arrivato; Pechino è ancora distante, ma il sogno sta diventando realtà.
Raggiungiamo nelle prime ore del mattino Kasghar. La città è famosa per essere stata ruolo centrale negli scambi commerciali che ha rivestito dal momento che qui confluivano tutte le vie carovaniere e ancora oggi la città vive un ritmo frenetico legato al commercio. Fatta la colazione mattutina puntiamo verso il lago Karakul, la strada costeggia il Tagikistan e il Pakistan, alla pianura si sostituiscono le montagne da sempre innevate, siamo vicini a quota 4000 metri, c’è chi opta per dormire nelle gher, io e George in tenda sulla riva del lago.
Il monte Muztagata svetta prepotentemente verso il cielo con i suoi 7540 m, una natura possente ci circonda e tutto ha una dimensione che va oltre l’immaginazione e fa sognare; un ragazzo mi raggiunge ai lati della strada con il suo cavallo, gli sguardi si incrociano e ho l’idea che pensiamo la stessa cosa, ammicco un sorriso, lui contraccambia, gli dedico una foto, mi saluta e allora l’idea che ho da sempre ritorna come un flash-back, le persone del mondo sono miti, è un confronto con la mia e la loro società, il bello dell’esperienza è anche questo, confrontarsi.
Verso il lago Karakul
È domenica e Kasghar per un giorno alla settimana diventa più caotica che mai, il mercato del bestiame mobilita centinaia di persone che con i mezzi più strani giungono dai posti più remoti, asini, pecore, cavalli buoi e altri animali animano questo angolo di Cina; è un momento di affari ma anche di socializzazione.
Il deserto del Taklimakam è tra i più grandi del mondo, peccato che la sua sabbia sia come il borotalco, la voglia di tuffarci dentro è tanta solo qualche fuoripista è consentito, 650 km di nulla ci accompagnano verso nord, dormiamo a Korla. Se il caldo è stata la predominante del giorno prima, scendendo verso Turpan siamo costretti ad affrontare l’impeto del vento che soffia a oltre 90 km/h, e a tratti sembriamo dei surfisti; i cinesi guardano stupiti. Le grotte dei 100 Buddha sono una chicca incastonate in mezzo ad una vallata. Ammiriamo le montagne fiammeggianti, l’erosione le ha modellate, la fantasia ha fatto il resto. La sera giungiamo nell’oasi di Turpan.
Alla scoperta dell'esercito di Terra cotta
Camion stracarichi emanano un fumo puzzolente, di tanto in tanto veniamo superati da auto di grossa cilindrata, più andiamo ad est più questo diventa realtà; in effetti, se nei giorni precedenti l’asino era il mezzo di locomozione più usato, da qui in avanti ne incontreremo sempre di meno. Il mezzo più usato restano le due ruote e molti di questi mezzi, specialmente nelle città, sono a trazione elettrica.
E’ il primo segnale in inglese che incontriamo: siamo a Dunhuang, l’indicazione conduce alle grotte di Mocao, sono circa 500 quelle che sono state salvate fino ai giorni nostri, in ognuna la figura del Buddha è rappresentata nelle posizioni e colorazioni più diverse, un controllo viscerale all’ingresso impedisce di entrare con macchine fotografiche e cineprese.
Nel pomeriggio ci trasferiamo ai margini del deserto; qui i cinesi hanno costruito un sorta di attrattiva, il deserto è protetto con recinzione per km, impossibile scorazzarci sopra ma non mi do per vinto, se non posso metterci le ruote, lo vivrò dall’alto; prendo un deltaplano a motore e mi faccio portare sopra le dune immortalando l’oasi costruita in pieno deserto.
Arriva il giorno della pioggia e da ora in avanti il corredo antipioggia sarà sempre a portata di mano; l’habitat è cambiato, alla pianura si sostituiscono lunghi tratti di montagna, per centinai di km siamo sopra i 3000 m. Bandiere al vento e luoghi di preghiera buddisti saranno la scenografia nei giorni successivi; quando visitiamo il monastero Ta’er e poi quello di Labrang abbiamo l’idea di essere in un altro mondo e allora la riflessione dell’immensità di questo paese traspare con tutti i suoi connotati, fatti di tante razze e culture, ma anche da un variegato aspetto paesaggistico che cambia repentinamente. Quando sostiamo a Xining e all’indomani puntiamo verso il lago Qinghai, il più grande di questo paese, i primi giorni di Cina sembreranno lontani e solo un ricordo ma non è finita e le emozioni sono sempre pronte a sorprenderci dietro l’angolo.
L’autostrada si apre davanti a noi, è sera quando giungiamo a Xi’an, famosa per l’esercito di Terra Cotta, proviamo a cercare un albergo in centro.
Se non è il primo sarà il secondo giorno che la moto resta in garage; fino ad ora siamo saliti in sella tutti i giorni, ma oggi turisti al 100%, usufruendo di una guida spendiamo la giornata a visitare i luoghi più caratteristici; di sicuro l’esercito di Terracotta è l’attrattiva maggiore, devo dire che l’ambiente costruito intorno agli scavi non è il massimo, ho l’idea che sia riduttivo per il fascino che trasmette la più grande scoperta archeologica del ventesimo secolo.
E’ il primo segnale in inglese che incontriamo: siamo a Dunhuang, l’indicazione conduce alle grotte di Mocao, sono circa 500 quelle che sono state salvate fino ai giorni nostri, in ognuna la figura del Buddha è rappresentata nelle posizioni e colorazioni più diverse, un controllo viscerale all’ingresso impedisce di entrare con macchine fotografiche e cineprese.
Nel pomeriggio ci trasferiamo ai margini del deserto; qui i cinesi hanno costruito un sorta di attrattiva, il deserto è protetto con recinzione per km, impossibile scorazzarci sopra ma non mi do per vinto, se non posso metterci le ruote, lo vivrò dall’alto; prendo un deltaplano a motore e mi faccio portare sopra le dune immortalando l’oasi costruita in pieno deserto.
Arriva il giorno della pioggia e da ora in avanti il corredo antipioggia sarà sempre a portata di mano; l’habitat è cambiato, alla pianura si sostituiscono lunghi tratti di montagna, per centinai di km siamo sopra i 3000 m. Bandiere al vento e luoghi di preghiera buddisti saranno la scenografia nei giorni successivi; quando visitiamo il monastero Ta’er e poi quello di Labrang abbiamo l’idea di essere in un altro mondo e allora la riflessione dell’immensità di questo paese traspare con tutti i suoi connotati, fatti di tante razze e culture, ma anche da un variegato aspetto paesaggistico che cambia repentinamente. Quando sostiamo a Xining e all’indomani puntiamo verso il lago Qinghai, il più grande di questo paese, i primi giorni di Cina sembreranno lontani e solo un ricordo ma non è finita e le emozioni sono sempre pronte a sorprenderci dietro l’angolo.
L’autostrada si apre davanti a noi, è sera quando giungiamo a Xi’an, famosa per l’esercito di Terra Cotta, proviamo a cercare un albergo in centro.
Se non è il primo sarà il secondo giorno che la moto resta in garage; fino ad ora siamo saliti in sella tutti i giorni, ma oggi turisti al 100%, usufruendo di una guida spendiamo la giornata a visitare i luoghi più caratteristici; di sicuro l’esercito di Terracotta è l’attrattiva maggiore, devo dire che l’ambiente costruito intorno agli scavi non è il massimo, ho l’idea che sia riduttivo per il fascino che trasmette la più grande scoperta archeologica del ventesimo secolo.
Con la moto fino in Piazza Tian'anmen
Ancora pioggia e quanta, ma ormai con Pechino a qualche migliaio di km, tutto sembra svanire nel nulla; sostiamo a Pighyao, la città vecchia e conservata come un tempo; il mercato diventa l’occasione per fare acquisti di souvenir, ma le emozioni non sono terminate.
Il cartello non infonde dubbi; Badaling detto così non dice nulla ma è lì che sono preservati i resti della Grande Muraglia, un opera colossale costruita a difesa per l’invasione dal nord, la storia la pone intorno al 221 a.C.
Quando riprendiamo la strada la meta è Pechino, giungiamo in città di sera, il traffico è di quelli caotici da grande metropoli, tutti hanno detto che il centro è inaccessibile alle moto, sarà così ma mi sembra che sia la favola di sempre. Faccio di testa mia e così si va avanti, quando giungiamo a Piazza Tian'anmen, siamo increduli e a quel punto tanto vale tentare. Avete capito, di buon mattino siamo arrivati in piazza con le moto.
I giorni successivi abbiamo messo da parte gli abiti del motociclista e indossato quelli del turista, qualche souvenir e una visita ai luoghi più caratteristici, prima di salire di nuovo in moto per gli ultimi km fino al porto di Tianjin, quando la porta del container si è chiusa ho ripensato a quella mattina di 50 giorni prima e lascio a voi i commenti.
Il cartello non infonde dubbi; Badaling detto così non dice nulla ma è lì che sono preservati i resti della Grande Muraglia, un opera colossale costruita a difesa per l’invasione dal nord, la storia la pone intorno al 221 a.C.
Quando riprendiamo la strada la meta è Pechino, giungiamo in città di sera, il traffico è di quelli caotici da grande metropoli, tutti hanno detto che il centro è inaccessibile alle moto, sarà così ma mi sembra che sia la favola di sempre. Faccio di testa mia e così si va avanti, quando giungiamo a Piazza Tian'anmen, siamo increduli e a quel punto tanto vale tentare. Avete capito, di buon mattino siamo arrivati in piazza con le moto.
I giorni successivi abbiamo messo da parte gli abiti del motociclista e indossato quelli del turista, qualche souvenir e una visita ai luoghi più caratteristici, prima di salire di nuovo in moto per gli ultimi km fino al porto di Tianjin, quando la porta del container si è chiusa ho ripensato a quella mattina di 50 giorni prima e lascio a voi i commenti.
Alla fine diamo i numeri... del viaggio
Non resta a questo punto che dare la parola ai numeri. Il contachilometri alla fine del viaggio segnava 17.738, ero partito con 1576, 16.162 i km percorsi, ho effettuato con un litro di benzina 16,3 km sempre con le valige al seguito, 30 kg di peso, ho consumato 995 litri di benzina, 8 paesi attraversati con temperature che hanno toccato i 42 gradi e i 7. Ho messo le ruote ovunque su piste e sabbia , due cambi di olio, visto il costo in Cina e' molto favorevole, una lode alle coperture Pirelli Scorpion quelle di serie, poi la moto, non ho parole, credo di non dover aggiungere nulla di mio se no che dopo giornate faticose in fuoristrada oltre 450 km percorsi alla sera non mi sono mai sentito stanco, risultato di una grande componentistica a partire dalle sospensioni, il motore ha “birra” da vendere.
L'unica modifica fatta KTM 950 Adventure ha interessato la griglia del radiatore e una taratura piu’dura dell'ammortizzatore posteriore, tutte quelle sirene che prima di partire mi avevano messo in guardia da possibili problemi sono state smentite, la frizione che mi era stata decantata come il peggior male possibile non ha dato il minimo problema, ho contato un giorno solo in Kirghistan oltre ottocento cambiate, non penso a tutte quelle del viaggio.
Sono caduto una volta quando sono finito nello scola acque di una strada a bassa velocita', in verità ho accompagnato la moto dentro senza avere il minimo problema se non la rottura del vetro della freccia, quindi per concludere la Karotona e' promossa a pieni titoli.
L'unica modifica fatta KTM 950 Adventure ha interessato la griglia del radiatore e una taratura piu’dura dell'ammortizzatore posteriore, tutte quelle sirene che prima di partire mi avevano messo in guardia da possibili problemi sono state smentite, la frizione che mi era stata decantata come il peggior male possibile non ha dato il minimo problema, ho contato un giorno solo in Kirghistan oltre ottocento cambiate, non penso a tutte quelle del viaggio.
Sono caduto una volta quando sono finito nello scola acque di una strada a bassa velocita', in verità ho accompagnato la moto dentro senza avere il minimo problema se non la rottura del vetro della freccia, quindi per concludere la Karotona e' promossa a pieni titoli.
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