I viaggi dei lettori
In moto sul cammino di Santiago
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Una coppia di lettori ci racconta il loro viaggio in moto di oltre 6.000 km su percorsi stradali e spirituali fatti di tornanti e conversioni, fari e monasteri, pieghe e piaghe, cerveza e tapas
Persa ormai ogni speranza di coinvolgere i centauri, abituali compagni di viaggio dei tour estivi, lasciata svanire nell’indecoroso oblio la Regina Madre musa ispiratrice delle precedenti avventure (anche perché spirata alla tenera età di 101 anni con ancora indosso la guepiere in lattice borchiato), annoiato dai soliti giri della domenica e deciso a provare qualcosa di nuovo, dopo aver girato e rigirato il mappamondo/abatjour (ricevuto in premio per la promozione in terza elementare) alla ricerca di una meta soddisfacente ed essersi reso conto che in qualunque direzione si fosse diretto un mare l’avrebbe fermato, Manuel decise che l’Atlantico sarebbe stato quel mare.
La prematura scomparsa della Regina Madre, inseparabile amuleto nonché garante dell’immunità diplomatica nei paesi a rischio (Svizzera, Liechtenstein e Livigno), lo obbligò ad un nuovo atto di fede in grado di rendere percorribile l’impresa.
Serviva una motivazione profonda, quasi spirituale e osservando attentamente la cartina in una scala un po’ più accessibile di quella del mappamondo si accorse che in direzione Ovest c’erano parecchie località i cui nomi suonavano familiari anche se magari relegati ai ricordi del periodo dell’infanzia.
Sforzandosi di ricordare cosa fossero posti come Luordes, Santiago, Fatima ecc. realizzò che non ne aveva più sentito parlare da quando a 12 anni fu radiato dall’albo dei chierichetti per aver, domenica 1 Aprile, attaccato i pesci al prete mentre celebrava la messa. Decise che era tempo di porre termine al rancore serbato per l’ingiusto licenziamento e tentare un riavvicinamento alla fede. Disegnò un percorso che sembrava un pellegrinaggio tentando di convincersi che fosse la strada giusta per ritrovare la spiritualità.
Mancavano ancora alcune cose non di poco conto: una moto, una compagnia e una squadra di appoggio.
Così si procurò una BMW GS 1200 R cui pazientemente fece fare 20.000 km di rodaggio (tanto fu necessario per farle smettere il vizio di bere lubrificante),
chiese a destra e a sinistra se qualcuna fosse abbastanza credente da ritenere fattibile una tale impresa al punto da parteciparvi e trovò una fin troppo credente che di posti come Lourdes ha le chiavi della basilica e a cui Bernardette pare dia del Lei; talmente abituata agli atti di fede che in totale incoscienza decide su due piedi di affidare il suo più che gradevole fondoschiena alla sella della GS.
Le ricorrenze dell’Europeade vollero di nuovo Zamora come città ospitante e il gruppo dei Balarins di Buje come partecipanti. C’era anche una squadra di appoggio; “el camino” poteva cominciare.
La prematura scomparsa della Regina Madre, inseparabile amuleto nonché garante dell’immunità diplomatica nei paesi a rischio (Svizzera, Liechtenstein e Livigno), lo obbligò ad un nuovo atto di fede in grado di rendere percorribile l’impresa.
Serviva una motivazione profonda, quasi spirituale e osservando attentamente la cartina in una scala un po’ più accessibile di quella del mappamondo si accorse che in direzione Ovest c’erano parecchie località i cui nomi suonavano familiari anche se magari relegati ai ricordi del periodo dell’infanzia.
Sforzandosi di ricordare cosa fossero posti come Luordes, Santiago, Fatima ecc. realizzò che non ne aveva più sentito parlare da quando a 12 anni fu radiato dall’albo dei chierichetti per aver, domenica 1 Aprile, attaccato i pesci al prete mentre celebrava la messa. Decise che era tempo di porre termine al rancore serbato per l’ingiusto licenziamento e tentare un riavvicinamento alla fede. Disegnò un percorso che sembrava un pellegrinaggio tentando di convincersi che fosse la strada giusta per ritrovare la spiritualità.
Mancavano ancora alcune cose non di poco conto: una moto, una compagnia e una squadra di appoggio.
Così si procurò una BMW GS 1200 R cui pazientemente fece fare 20.000 km di rodaggio (tanto fu necessario per farle smettere il vizio di bere lubrificante),
chiese a destra e a sinistra se qualcuna fosse abbastanza credente da ritenere fattibile una tale impresa al punto da parteciparvi e trovò una fin troppo credente che di posti come Lourdes ha le chiavi della basilica e a cui Bernardette pare dia del Lei; talmente abituata agli atti di fede che in totale incoscienza decide su due piedi di affidare il suo più che gradevole fondoschiena alla sella della GS.
Le ricorrenze dell’Europeade vollero di nuovo Zamora come città ospitante e il gruppo dei Balarins di Buje come partecipanti. C’era anche una squadra di appoggio; “el camino” poteva cominciare.
La partenza da Buja ad Arles
Si parte da Buja alle 6 e 30 del 14 luglio, alle 6 e 45 prima tappa a Colugna per far salire il passeggero e caricare i suoi bagagli, che nonostante fossero stati
concordati per dimensione e peso subiscono un incremento, in quanto i 6 kg di beauty case non sono stati ritenuti sufficientemente “rassicuranti” da Sandra che vi aggiunge un’altra decina fra creme e gadgets vari, suscitando il disappunto di Manuel che ricambia con 350 km in moto senza scambiare una parola e senza far sgranchire il passeggero nemmeno una volta. Prima di uscire dall’Italia ci si vede con Annarita a Bordighera per uno spuntino “al solito ristorantino” e una passeggiatina sul lungomare. Poi di nuovo in sella per raggiungere Arles, cittadina della Camargue, destinata ad essere la prima e unica tappa del tour in terra di Francia.
Il 14 luglio è la ricorrenza della presa della Bastiglia, festa nazionale in Francia, che quest’anno si celebra a 5 giorni dalla sconfitta contro l’Italia ai mondiali di calcio; Manuel ritiene che queste due ricorrenze mal si conciliano con la (I) che la moto riporta sulla targa e tenta di eclissare la moto in uno scantinato ma non trovandolo deve ovviare parcheggiando con targa a muro. Dopo aver fatto un giretto per la città, per dimostrare a se stessi di poter essere ancora autonomi dal punto di vista locomotorio, ci si ritira, cotti da 951 km di sella, nella stanza dell’hotel Acacias, dove verso l’una, una volta terminati i festeggiamenti con i fuochi artificiali di rito, si prende sonno.
2° giorno - 15 luglio - Arles-Roncesvalles km.951-1617
Alle 9 si parte tagliando la Camargue su una strada che attraversa i paesi della zona, calati tra risaie, frutteti, prati con cavalli e bovini al pascolo e zone paludose con i fenicotteri rosa fino a raggiungere Montpellier e qui salire in autostrada in direzione Toulouse, passando accanto alla bellissima città medievale di Carcassonne.
Ma la tappa prevista per il ristoro è più avanti, alle pendici dei Pirenei Centrali, una ridente cittadina tristemente famosa per delle strane apparizioni mistiche ed oggetto di pellegrinaggio del mondo cattolico in cui Manuel, debitore di una promessa estorta in cambio dell’accettazione del passeggero ad accompagnarlo nell’impresa, non può esimersi dal sostare: Lourdes.
Sarà solo il primo dei tanti luoghi di culto che daranno al tour i connotati del pellegrinaggio ma sarà anche l’inizio della fine dei pedaggi autostradali; e le acquesante, le candele e i souvenir di questa piccola Montecarlo della fede, dove un paninetto e una coca costano 7 € ci faranno compagnia nella borsa da serbatoio per il resto della spedizione.
Evasi gli obblighi contrattuali si riparte costeggiando i Pirenei in direzione dei paesi baschi per poi salire a Sant Jean Pied de Port verso il confine con la Spagna in cui entriamo a Roncesvalles, primo comune della Navarra e punto di partenza del più noto degli itinerari conosciuti come “Camino de Santiago” il cammino francese. Qui arriviamo dopo aver scollinato alla “ragguardevole” quota di 1057mt. alla fine di 15 km di strada molto bella in cui finalmente si può dar sfogo alle inclinazioni motociclistiche, limando un poco le varie appendici della BMW e degli scarponcini.
Nel paese, 24 abitanti ed un grande monastero che funge anche da asilo per pellegrini, ci sistemiamo in una delle due pensioni che ricevono i turisti, La Posada. Si beve una cerveza da mezzo come aperitivo e si è costretti a temporeggiare per la cena in quanto dalle 20 alle 20.30 viene servito il menù del pellegrino (8 €) cui non ci siamo aggregati. Il menù della cena ci porta al primo incontro con un ortaggio che farà da padrone nell’alimentazione in terra iberica e che nell’occasione porta il nome di “Pimientos del piquillo al horno”, cui aggiungiamo delle insalate con tonno e dei formaggi fusi, il tutto accompagnato dalla cerveza.
Nella successiva passeggiatina poco si riesce a smaltire della cerveza, tanto che in preda all’euforia offriamo a due motociclisti tedeschi di condividere la nostra camera quadrupla con loro qualora non riuscissero a trovare alloggio. Manuel scrocca al centauro e fuma l’ultima sigaretta del tour e i due tedeschi trovano sistemazione a Burguete, il paese più a valle.
Poi a nanna dopo una piccola discussione su quali dei 4 letti occupare. La moto riposa nel parcheggio della comunità, la (I) non è più causa di patemi: siamo in Spagna.
concordati per dimensione e peso subiscono un incremento, in quanto i 6 kg di beauty case non sono stati ritenuti sufficientemente “rassicuranti” da Sandra che vi aggiunge un’altra decina fra creme e gadgets vari, suscitando il disappunto di Manuel che ricambia con 350 km in moto senza scambiare una parola e senza far sgranchire il passeggero nemmeno una volta. Prima di uscire dall’Italia ci si vede con Annarita a Bordighera per uno spuntino “al solito ristorantino” e una passeggiatina sul lungomare. Poi di nuovo in sella per raggiungere Arles, cittadina della Camargue, destinata ad essere la prima e unica tappa del tour in terra di Francia.
Il 14 luglio è la ricorrenza della presa della Bastiglia, festa nazionale in Francia, che quest’anno si celebra a 5 giorni dalla sconfitta contro l’Italia ai mondiali di calcio; Manuel ritiene che queste due ricorrenze mal si conciliano con la (I) che la moto riporta sulla targa e tenta di eclissare la moto in uno scantinato ma non trovandolo deve ovviare parcheggiando con targa a muro. Dopo aver fatto un giretto per la città, per dimostrare a se stessi di poter essere ancora autonomi dal punto di vista locomotorio, ci si ritira, cotti da 951 km di sella, nella stanza dell’hotel Acacias, dove verso l’una, una volta terminati i festeggiamenti con i fuochi artificiali di rito, si prende sonno.
2° giorno - 15 luglio - Arles-Roncesvalles km.951-1617
Alle 9 si parte tagliando la Camargue su una strada che attraversa i paesi della zona, calati tra risaie, frutteti, prati con cavalli e bovini al pascolo e zone paludose con i fenicotteri rosa fino a raggiungere Montpellier e qui salire in autostrada in direzione Toulouse, passando accanto alla bellissima città medievale di Carcassonne.
Ma la tappa prevista per il ristoro è più avanti, alle pendici dei Pirenei Centrali, una ridente cittadina tristemente famosa per delle strane apparizioni mistiche ed oggetto di pellegrinaggio del mondo cattolico in cui Manuel, debitore di una promessa estorta in cambio dell’accettazione del passeggero ad accompagnarlo nell’impresa, non può esimersi dal sostare: Lourdes.
Sarà solo il primo dei tanti luoghi di culto che daranno al tour i connotati del pellegrinaggio ma sarà anche l’inizio della fine dei pedaggi autostradali; e le acquesante, le candele e i souvenir di questa piccola Montecarlo della fede, dove un paninetto e una coca costano 7 € ci faranno compagnia nella borsa da serbatoio per il resto della spedizione.
Evasi gli obblighi contrattuali si riparte costeggiando i Pirenei in direzione dei paesi baschi per poi salire a Sant Jean Pied de Port verso il confine con la Spagna in cui entriamo a Roncesvalles, primo comune della Navarra e punto di partenza del più noto degli itinerari conosciuti come “Camino de Santiago” il cammino francese. Qui arriviamo dopo aver scollinato alla “ragguardevole” quota di 1057mt. alla fine di 15 km di strada molto bella in cui finalmente si può dar sfogo alle inclinazioni motociclistiche, limando un poco le varie appendici della BMW e degli scarponcini.
Nel paese, 24 abitanti ed un grande monastero che funge anche da asilo per pellegrini, ci sistemiamo in una delle due pensioni che ricevono i turisti, La Posada. Si beve una cerveza da mezzo come aperitivo e si è costretti a temporeggiare per la cena in quanto dalle 20 alle 20.30 viene servito il menù del pellegrino (8 €) cui non ci siamo aggregati. Il menù della cena ci porta al primo incontro con un ortaggio che farà da padrone nell’alimentazione in terra iberica e che nell’occasione porta il nome di “Pimientos del piquillo al horno”, cui aggiungiamo delle insalate con tonno e dei formaggi fusi, il tutto accompagnato dalla cerveza.
Nella successiva passeggiatina poco si riesce a smaltire della cerveza, tanto che in preda all’euforia offriamo a due motociclisti tedeschi di condividere la nostra camera quadrupla con loro qualora non riuscissero a trovare alloggio. Manuel scrocca al centauro e fuma l’ultima sigaretta del tour e i due tedeschi trovano sistemazione a Burguete, il paese più a valle.
Poi a nanna dopo una piccola discussione su quali dei 4 letti occupare. La moto riposa nel parcheggio della comunità, la (I) non è più causa di patemi: siamo in Spagna.
Da Roncesvalles a Covadonga
La cerveza e l’aria di montagna conciliano il sonno e la mattina ci si alza abbastanza riposati e, consapevoli che la strada da percorrere giornalmente da qui in poi, sarà minore, anche rilassati; è domenica e la domenica ci si riposa. Si fa colazione ma prima, essendo domenica, il passeggero, da buon cristiano, desidera gustarsi uno scampolo di messa in spagnolo; licenza che il pilota, da buon samaritano, concede, facendosi inconsciamente il segno della croce. Si parte verso le 9 in direzione Pamplona lungo una strada che sale e scende piacevolmente su dei rilievi pirenaici non molto elevati.
Nel percorrere la circonvallazione della città di Pamplona si ha per la prima volta la netta impressione che la Spagna stia vivendo un vero e proprio boom economico; ci sono cantieri ovunque, si costruiscono infrastrutture, centri commerciali e attività produttive. Noi siamo comunque lì come turisti e sono altre le cose che ci coinvolgono, tuttavia questo aspetto non passa inosservato.
Passata Pamplona andiamo in direzione Vitoria e, prima di giungervi usciamo dalla strada a 4 corsie per imboccarne una molto bella in direzione Bilbao, lungo la quale ci imbattiamo in un posto di blocco della Guardia Civil in assetto antisommossa. Quattro fuoristrada bloccano la carreggiata, una decina di poliziotti con mitra fermano le macchine, ce n’è perfino uno con una catena chiodata da lanciare sotto le eventuali vetture che non si fermano all’alt.
Qui con una delicata operazione diplomatica ce la siamo cavata mostrando il salvacondotto per la Svizzera che la regina madre consegnò a Manuel all’epoca del primo tour delle Alpi..
La successiva circonvallazione di Bilbao si rivela il tratto di strada più trafficato dell’intero tour; lasciamo fuori dall’itinerario Bilbao e ci dirigiamo a Santander, città sul mar Cantabrico, scelta precedentemente come punto di ristoro. Giunti in città ci dirigiamo alla spiaggia denominata El Sardinero, che si dimostra affollata la metà di Lignano nel mese di agosto e dove, dopo aver scambiato alcune parole con un’abitante del luogo, affascinato dalla moto e dal nostro itinerario, ci sediamo a pranzo in uno dei ristorantini dello stabilimento balneare. Assaggiamo, pur non essendo in Galizia, per la prima volta uno dei piatti che più saranno presenti nella dieta in terra ispanica: il “pulpo alla gallega”, un polipo bollito servito tagliato a fettine cosparso di paprica su un letto di patate lesse che avremmo scoperto poi essere opzionali. La breve camminata sul lungomare e il giretto in moto attraverso il centro con visita al mercato coperto, peraltro chiuso per il giorno festivo, chiudono la nostra permanenza a Santander che lasciamo per dirigerci verso il principato delle Asturie.
Arriviamo a Covadonga, il luogo scelto per due giorni di sosta, verso le 17, che per la Spagna è il primo pomeriggio, dopo aver percorso la strada che costeggia il rio Cares e aver preso un primo contatto con i Picos d’Europa, gruppo montuoso e primo parco nazionale spagnolo istituito in ordine di tempo. Considerata l’ora decidiamo di addentrarci un poco nella strada a fondo cieco che porta all’interno del parco ed incontriamo, prima, il solito santuario alla Beata Vergine che seduce così tanto Sandra al punto da indurla ad assumere il nome di “Covadonga”, poi, salendo per un’altra dozzina di chilometri, due piccoli laghi, a poco più di mille metri di altezza, calati in un contesto tipicamente alpino fatto di pascoli, boschi e cime prive di vegetazione. Dopo aver tentato più o meno fortunatamente di attaccare bottone con la metà dei bovini al pascolo sull’altopiano e percorso qualche chilometro senza casco per sentirsi un poco trasgressivi scendiamo di nuovo a valle per accasarci e per la cena.
Assaggiamo la prima paella in terra spagnola, per la verità così indecorosa che la catena di Hotel “la Pasera” sarà radiata dall’elenco delle possibili sistemazioni future e a nanna dopo la solita camminatina.
4° giorno - 17 luglio - Covadonga-Picos d’Europa-Covadonga km. 2104-2376
La mattina del quarto giorno Manuel decide di farsi il primo bucato del tour, di buonora e mentre il passeggero ancora sonnecchia. La colazione viene consumata ad un’ora “comoda” in quanto la giornata, che terminerà nello stesso hotel, prevede un giro di pochi chilometri (272) nelle Asturie: i Picos d’Europa e la costa del Mar Cantabrico. Verso le dieci si parte per la prima volta con il solo bauletto e senza i soliti bagagli (ma soprattutto senza il solito beauty case di Sandra) rimasti in albergo e ,udite udite, senza alcun santuario lungo il percorso, così sarà finalmente una giornata laica, non soltanto perché è lunedì. La moto si esprime meglio, il pilota non vede l’ora di esprimersi, il passeggero ammutolisce. Da Cangas de Onis facciamo la strada che porta a Riano (Leon) costeggiando il rio Sella che è molto trafficato di canoe, ma dobbiamo attendere circa venti km prima che la carreggiata diventi un po’ gratificante per la moto e soltanto dopo aver scollinato ai 1300 mt del puerto del Ponton diventa piacevole anche per il pilota. La strada che costeggia i rami del lago di Riano (un bacino artificiale) è una meraviglia di curve veloci, in sequenza e a vista e senza anima viva. Le pedane e le scarpe hanno rimediato qualche piaga in quei dieci chilometri.
Dopo le belle foto al lago riprendiamo la strada che riporta ai Picos d’Europa costeggiando il parco nazionale omonimo dal lato orientale, poi si risale in quota al Puerto de San Glorio (1609 mt.) dove in prossimità del passo, imboccando una stradina di un paio di chilometri, arriviamo ad un “mirador” panoramico dal quale si possono contemplare queste montagne, così fuori luogo per la solita Spagna delle cartoline; qui, un paio di aquile ci fanno compagnia.
Poi scendiamo di nuovo verso il mare in direzione di Llanes (la Lignano delle Asturie) dove, come da promessa, il pilota concede al passeggero tre ore di tintarella e un paio di ingressi in acqua, tutto ciò dopo circa un’ora dalla foto scattata alle aquile ( merito della Spagna ma anche della moto). Le tre ore concesse diventano due perché chi guida decide così. In sella di nuovo, percorriamo la costiera scoprendo subito dopo una spettacolare spiaggia quasi priva di turisti, in bassa marea, terminante in ripida scogliera ricoperta di vegetazione e in parte erosa, in parte franata che sembra mostrare il nocciolo bianco dell’anima.
Sedotto, il pilota ,ne assume il nome: “Cantabrico”.
Da qui rincasiamo per la cena dove facciamo conoscenza con il sidro di mele (tipicamente celtico) sei gradi, più alcolico di quello della Bretagna e con un piatto tipico asturiano, la “fabada”, a base di fagioli in umido, varie salsicce e carne di maiale. Dopo cena il termometro segna 31 gradi, così andiamo in moto, ma in desabillè, a Cangas de Onis per la camminatina di rito distribuita fra i negozietti di souvenir, il ponte romano sul Sella e le birrerie del centro. Infine, a nanna discretamente sobri ma col bucato del mattino ancora umido.
Nel percorrere la circonvallazione della città di Pamplona si ha per la prima volta la netta impressione che la Spagna stia vivendo un vero e proprio boom economico; ci sono cantieri ovunque, si costruiscono infrastrutture, centri commerciali e attività produttive. Noi siamo comunque lì come turisti e sono altre le cose che ci coinvolgono, tuttavia questo aspetto non passa inosservato.
Passata Pamplona andiamo in direzione Vitoria e, prima di giungervi usciamo dalla strada a 4 corsie per imboccarne una molto bella in direzione Bilbao, lungo la quale ci imbattiamo in un posto di blocco della Guardia Civil in assetto antisommossa. Quattro fuoristrada bloccano la carreggiata, una decina di poliziotti con mitra fermano le macchine, ce n’è perfino uno con una catena chiodata da lanciare sotto le eventuali vetture che non si fermano all’alt.
Qui con una delicata operazione diplomatica ce la siamo cavata mostrando il salvacondotto per la Svizzera che la regina madre consegnò a Manuel all’epoca del primo tour delle Alpi..
La successiva circonvallazione di Bilbao si rivela il tratto di strada più trafficato dell’intero tour; lasciamo fuori dall’itinerario Bilbao e ci dirigiamo a Santander, città sul mar Cantabrico, scelta precedentemente come punto di ristoro. Giunti in città ci dirigiamo alla spiaggia denominata El Sardinero, che si dimostra affollata la metà di Lignano nel mese di agosto e dove, dopo aver scambiato alcune parole con un’abitante del luogo, affascinato dalla moto e dal nostro itinerario, ci sediamo a pranzo in uno dei ristorantini dello stabilimento balneare. Assaggiamo, pur non essendo in Galizia, per la prima volta uno dei piatti che più saranno presenti nella dieta in terra ispanica: il “pulpo alla gallega”, un polipo bollito servito tagliato a fettine cosparso di paprica su un letto di patate lesse che avremmo scoperto poi essere opzionali. La breve camminata sul lungomare e il giretto in moto attraverso il centro con visita al mercato coperto, peraltro chiuso per il giorno festivo, chiudono la nostra permanenza a Santander che lasciamo per dirigerci verso il principato delle Asturie.
Arriviamo a Covadonga, il luogo scelto per due giorni di sosta, verso le 17, che per la Spagna è il primo pomeriggio, dopo aver percorso la strada che costeggia il rio Cares e aver preso un primo contatto con i Picos d’Europa, gruppo montuoso e primo parco nazionale spagnolo istituito in ordine di tempo. Considerata l’ora decidiamo di addentrarci un poco nella strada a fondo cieco che porta all’interno del parco ed incontriamo, prima, il solito santuario alla Beata Vergine che seduce così tanto Sandra al punto da indurla ad assumere il nome di “Covadonga”, poi, salendo per un’altra dozzina di chilometri, due piccoli laghi, a poco più di mille metri di altezza, calati in un contesto tipicamente alpino fatto di pascoli, boschi e cime prive di vegetazione. Dopo aver tentato più o meno fortunatamente di attaccare bottone con la metà dei bovini al pascolo sull’altopiano e percorso qualche chilometro senza casco per sentirsi un poco trasgressivi scendiamo di nuovo a valle per accasarci e per la cena.
Assaggiamo la prima paella in terra spagnola, per la verità così indecorosa che la catena di Hotel “la Pasera” sarà radiata dall’elenco delle possibili sistemazioni future e a nanna dopo la solita camminatina.
4° giorno - 17 luglio - Covadonga-Picos d’Europa-Covadonga km. 2104-2376
La mattina del quarto giorno Manuel decide di farsi il primo bucato del tour, di buonora e mentre il passeggero ancora sonnecchia. La colazione viene consumata ad un’ora “comoda” in quanto la giornata, che terminerà nello stesso hotel, prevede un giro di pochi chilometri (272) nelle Asturie: i Picos d’Europa e la costa del Mar Cantabrico. Verso le dieci si parte per la prima volta con il solo bauletto e senza i soliti bagagli (ma soprattutto senza il solito beauty case di Sandra) rimasti in albergo e ,udite udite, senza alcun santuario lungo il percorso, così sarà finalmente una giornata laica, non soltanto perché è lunedì. La moto si esprime meglio, il pilota non vede l’ora di esprimersi, il passeggero ammutolisce. Da Cangas de Onis facciamo la strada che porta a Riano (Leon) costeggiando il rio Sella che è molto trafficato di canoe, ma dobbiamo attendere circa venti km prima che la carreggiata diventi un po’ gratificante per la moto e soltanto dopo aver scollinato ai 1300 mt del puerto del Ponton diventa piacevole anche per il pilota. La strada che costeggia i rami del lago di Riano (un bacino artificiale) è una meraviglia di curve veloci, in sequenza e a vista e senza anima viva. Le pedane e le scarpe hanno rimediato qualche piaga in quei dieci chilometri.
Dopo le belle foto al lago riprendiamo la strada che riporta ai Picos d’Europa costeggiando il parco nazionale omonimo dal lato orientale, poi si risale in quota al Puerto de San Glorio (1609 mt.) dove in prossimità del passo, imboccando una stradina di un paio di chilometri, arriviamo ad un “mirador” panoramico dal quale si possono contemplare queste montagne, così fuori luogo per la solita Spagna delle cartoline; qui, un paio di aquile ci fanno compagnia.
Poi scendiamo di nuovo verso il mare in direzione di Llanes (la Lignano delle Asturie) dove, come da promessa, il pilota concede al passeggero tre ore di tintarella e un paio di ingressi in acqua, tutto ciò dopo circa un’ora dalla foto scattata alle aquile ( merito della Spagna ma anche della moto). Le tre ore concesse diventano due perché chi guida decide così. In sella di nuovo, percorriamo la costiera scoprendo subito dopo una spettacolare spiaggia quasi priva di turisti, in bassa marea, terminante in ripida scogliera ricoperta di vegetazione e in parte erosa, in parte franata che sembra mostrare il nocciolo bianco dell’anima.
Sedotto, il pilota ,ne assume il nome: “Cantabrico”.
Da qui rincasiamo per la cena dove facciamo conoscenza con il sidro di mele (tipicamente celtico) sei gradi, più alcolico di quello della Bretagna e con un piatto tipico asturiano, la “fabada”, a base di fagioli in umido, varie salsicce e carne di maiale. Dopo cena il termometro segna 31 gradi, così andiamo in moto, ma in desabillè, a Cangas de Onis per la camminatina di rito distribuita fra i negozietti di souvenir, il ponte romano sul Sella e le birrerie del centro. Infine, a nanna discretamente sobri ma col bucato del mattino ancora umido.
Da Covadonga a Zamora
Tappa lunga quella dopo il giorno di “riposo”. Si parte prestino, verso le 9, e si starà in moto con poche soste per lo stretching fino al tardo pomeriggio. La giornata è nuvolosa, la destinazione è la Galizia nel suo promontorio più occidentale, che è anche il punto di arrivo o meglio la “fin do camino” di Santiago. Era quasi predestinata ad essere una giornata faticosa, ma forse un pellegrinaggio si insaporisce anche così, con un po’ di sofferenza.
Dopo aver corso più o meno a fianco del mar Cantabrico per circa tre ore lo salutiamo definitivamente all’ingresso in Galizia dedicandogli mezz’oretta di sosta e qualche fotografia nei pressi del faro di Ribadeo, per addentrarci poi nell’ondulato interno. Quando rivedremo il mare sarà sulla “costa da morte” (se la chiamano così ci sarà un perché). Per capire questo nome funebre c?è bisogno della memoria del mare, la statistica raccoglie almeno 150 tragedie marittime nel corso dell’ultimo secolo, ma è anche il posto dove la mitologia greca voleva ci fosse il paese dei morti, il posto dove il sole si spegne quando nel resto d’Europa è già notte, il posto dove la terra finisce (Finis Terrae); Finisterre o Fisterra.. E’ lì che andiamo, è la fine del cammino di Santiago, dove i pellegrini bruciano i vestiti, fanno il bagno nell’oceano, si rivestono a nuovo e tornano indietro.
Un dazio (un’infracion), la guardia civil ci fa accostare lungo la statale 634, contestando un sorpasso su striscia continua che il pilota giura di non aver effettuato (pur andando a 110 nel limite di 70) ma che il passeggero invece ricorda perfettamente e si rammarica di conoscere troppo poco lo spagnolo per poterlo riferire agli agenti. La conciliazione costa 63 €, vabbè; da buoni pellegrini riprendiamo il cammino lasciando La Coruna fuori dai nostri passi per raggiungere Finisterra. Qui ci dirigiamo subito al faro smaniosi di vedere l’Atlantico come se fosse il senso del viaggio. Ma l’oceano, celato dalla nebbia, dalla scogliera del faro, si lascia solo intravedere. Ci sono 20 gradi e tra i turisti una famiglia di italiani con un figlio studente universitario a Santiago che ci riferisce come “solita” questa situazione meteorologica. Ci ripromettiamo di tornare più tardi. Scarichiamo i bagagli in hotel, e usciamo per la cena. “Pulpo alla gallega”, questa volta senza letto di patate lesse, deliziosi calamari fritti, grigliata di pesce “parrillada de pescado” in cui per la verità il merluzzo stona un pochino e l’immancabile cerveza vengono consumati sul terrazzo di un ristorante con vista porticciolo.
Verso le 22.30 torniamo al faro, sta facendo buio e la bruma si è un poco diradata. Tentiamo, con discreto successo, qualche foto d’effetto ma compriamo anche qualche cartolina che meglio rappresenti il luogo; la passeggiata si tiene lungo la strada che sale in vetta al promontorio. Guardare verso il mare ci porta a considerare che la prima cittadina che si incontrerebbe dopo Fisterra proseguendo in direzione ovest è New York; la cosa ci seduce e ci dà lo spunto per i saluti delle cartoline, ma sinceramente non ci sentiamo attrezzati per proseguire, optiamo per un più tranquillo rientro in hotel per dormire.
6° giorno - 19 luglio - Finisterre-Zamora km. 2790-3371
Colazione abbondante, nell’hotel dove le brioches sono grandi come gubane. Manuel pensa che tre sia il numero giusto, un’occhiata fuori: nuvoloso. Si parte presto, le nove circa. Costeggiamo l’atlantico per una cinquantina di chilometri scendendo verso sud, una costiera tanto bella quanto inospitale ad eccezione di qualche insenatura che addolcisce il gran mare mettendone al riparo le spiagge. Poi ci si addentra in direzione Santiago, unica fermata della giornata.
La breve visita alla città termina comunque con una piccola razzia di souvenir.
Salutiamo la fresca Galizia per una più calda e soleggiata Castiglia percorrendo strade che attraversano colline e montagne abbastanza brulle e dove per lunghi tratti non si incontrano paesi ma solo campagna e qualche casa o gruppetto di case isolate. E’ un viaggiare tranquillo e riposante su lunghi rettilinei che tagliano il paesaggio seguendone le ondulazioni, molto easy rider. A sera dovremmo incontrarci a Zamora con il gruppo folkloristico dei “Balarins” per cui verso le 17 in prossimità della città sentiamo Stefano che ci comunica che loro sono già accasati nell’alloggio preoparato dall’organizzazione. Dopo un paio di giri a vuoto della città le indicazioni di Stefano ci portano al plesso scolastico che ci ospiterà per i prossimi 5 giorni o forse meglio 4 notti.
Dopo qualche difficoltà incontrata nello spiegare al servizio d’ordine che, pur essendo in moto, facciamo parte del gruppo e veniamo dall’Italia, parcheggiamo “la poderosa” sull’ingresso del dormitorio e saliamo nelle camerate per portare le borse, ricevere i bagagli che avevamo affidato al pullman e per i saluti. Segue la prima uscita per la cena, dove abbiamo modo di apprezzare il miglioramento del servizio di ristoro rispetto a 5 anni prima e la serata di presentazione dell’Europeade che si tiene in una plaza de toros abbastanza gremita. Il sacco a pelo delle brande a castello ci accoglie verso l’una.
Dopo aver corso più o meno a fianco del mar Cantabrico per circa tre ore lo salutiamo definitivamente all’ingresso in Galizia dedicandogli mezz’oretta di sosta e qualche fotografia nei pressi del faro di Ribadeo, per addentrarci poi nell’ondulato interno. Quando rivedremo il mare sarà sulla “costa da morte” (se la chiamano così ci sarà un perché). Per capire questo nome funebre c?è bisogno della memoria del mare, la statistica raccoglie almeno 150 tragedie marittime nel corso dell’ultimo secolo, ma è anche il posto dove la mitologia greca voleva ci fosse il paese dei morti, il posto dove il sole si spegne quando nel resto d’Europa è già notte, il posto dove la terra finisce (Finis Terrae); Finisterre o Fisterra.. E’ lì che andiamo, è la fine del cammino di Santiago, dove i pellegrini bruciano i vestiti, fanno il bagno nell’oceano, si rivestono a nuovo e tornano indietro.
Un dazio (un’infracion), la guardia civil ci fa accostare lungo la statale 634, contestando un sorpasso su striscia continua che il pilota giura di non aver effettuato (pur andando a 110 nel limite di 70) ma che il passeggero invece ricorda perfettamente e si rammarica di conoscere troppo poco lo spagnolo per poterlo riferire agli agenti. La conciliazione costa 63 €, vabbè; da buoni pellegrini riprendiamo il cammino lasciando La Coruna fuori dai nostri passi per raggiungere Finisterra. Qui ci dirigiamo subito al faro smaniosi di vedere l’Atlantico come se fosse il senso del viaggio. Ma l’oceano, celato dalla nebbia, dalla scogliera del faro, si lascia solo intravedere. Ci sono 20 gradi e tra i turisti una famiglia di italiani con un figlio studente universitario a Santiago che ci riferisce come “solita” questa situazione meteorologica. Ci ripromettiamo di tornare più tardi. Scarichiamo i bagagli in hotel, e usciamo per la cena. “Pulpo alla gallega”, questa volta senza letto di patate lesse, deliziosi calamari fritti, grigliata di pesce “parrillada de pescado” in cui per la verità il merluzzo stona un pochino e l’immancabile cerveza vengono consumati sul terrazzo di un ristorante con vista porticciolo.
Verso le 22.30 torniamo al faro, sta facendo buio e la bruma si è un poco diradata. Tentiamo, con discreto successo, qualche foto d’effetto ma compriamo anche qualche cartolina che meglio rappresenti il luogo; la passeggiata si tiene lungo la strada che sale in vetta al promontorio. Guardare verso il mare ci porta a considerare che la prima cittadina che si incontrerebbe dopo Fisterra proseguendo in direzione ovest è New York; la cosa ci seduce e ci dà lo spunto per i saluti delle cartoline, ma sinceramente non ci sentiamo attrezzati per proseguire, optiamo per un più tranquillo rientro in hotel per dormire.
6° giorno - 19 luglio - Finisterre-Zamora km. 2790-3371
Colazione abbondante, nell’hotel dove le brioches sono grandi come gubane. Manuel pensa che tre sia il numero giusto, un’occhiata fuori: nuvoloso. Si parte presto, le nove circa. Costeggiamo l’atlantico per una cinquantina di chilometri scendendo verso sud, una costiera tanto bella quanto inospitale ad eccezione di qualche insenatura che addolcisce il gran mare mettendone al riparo le spiagge. Poi ci si addentra in direzione Santiago, unica fermata della giornata.
La breve visita alla città termina comunque con una piccola razzia di souvenir.
Salutiamo la fresca Galizia per una più calda e soleggiata Castiglia percorrendo strade che attraversano colline e montagne abbastanza brulle e dove per lunghi tratti non si incontrano paesi ma solo campagna e qualche casa o gruppetto di case isolate. E’ un viaggiare tranquillo e riposante su lunghi rettilinei che tagliano il paesaggio seguendone le ondulazioni, molto easy rider. A sera dovremmo incontrarci a Zamora con il gruppo folkloristico dei “Balarins” per cui verso le 17 in prossimità della città sentiamo Stefano che ci comunica che loro sono già accasati nell’alloggio preoparato dall’organizzazione. Dopo un paio di giri a vuoto della città le indicazioni di Stefano ci portano al plesso scolastico che ci ospiterà per i prossimi 5 giorni o forse meglio 4 notti.
Dopo qualche difficoltà incontrata nello spiegare al servizio d’ordine che, pur essendo in moto, facciamo parte del gruppo e veniamo dall’Italia, parcheggiamo “la poderosa” sull’ingresso del dormitorio e saliamo nelle camerate per portare le borse, ricevere i bagagli che avevamo affidato al pullman e per i saluti. Segue la prima uscita per la cena, dove abbiamo modo di apprezzare il miglioramento del servizio di ristoro rispetto a 5 anni prima e la serata di presentazione dell’Europeade che si tiene in una plaza de toros abbastanza gremita. Il sacco a pelo delle brande a castello ci accoglie verso l’una.
Da Zamora a Salamanca
Risveglio, doccia e colazione in sala mensa con i “Balarins” dove, dopo aver chiarito che la giornata sarebbe stata per loro riempita dagli impegni dell’Europeade, Covadonga ed io decidiamo di sfruttarla per varcare il confine col Portogallo ed addentrarci quel tanto che serve ad evitare lo stress da sella anche se abbiamo in previsione due successivi giorni di riposo.
Usciamo da Zamora verso le 10 in direzione Fermoselle con la moto scarica di tutto il superfluo, il paesaggio è più o meno sempre lo stesso con grandi distese, pochi paesi e lunghi rettilinei fino a che, passata Fermoselle, la strada non scende al confine col Portogallo che coincide con l’attraversamento di una diga sul Duero-Douro.
Sono soltanto tre o quattro chilometri, ma buoni come quelli del mitico Turrach (Carinzia). Dopo una sosticina passata a rimirare il canyon in cui scorre il Duero, il pilota ne approfitta per insegnare al passeggero come scattare foto con soggetto in movimento; dopo un paio di litri di benzina e un’anomala usura degli scarponcini consumati nelle stesse due curve ripetute per venti minuti, Manuel riesce ad entrare nell’inquadratura ed il cammino può riprendere.
In Portogallo il paesaggio si mantiene lo stesso ma la sensazione è che il paese sia un pochino meno in crescita della Spagna, ogni tanto qualcuno fuori dai bar saluta al nostro passaggio in moto. Dopo una breve sosta alle rovine di quello che verosimilmente era il castello di Mogadouro prendiamo la strada che si dirige a Macedo de Cavalleros distante circa 50 km. I primi 20 di questi chilometri saranno, motociclisticamente parlando, i migliori dell’intero viaggio; perfino il passeggero se ne accorge se non altro perché ogni curva sente le pedane toccare terra. L’asfalto, rifatto da poco, è abrasivo e tirato come un biliardo; la strada, che costeggia i pendii di una sequenza di colline, lascia per buona parte intendere due o tre traiettorie successive, taglia vigneti, uliveti e castagneti; sale e scende dolcemente. Insomma, vorresti non finisse mai, invece termina in corrispondenza del ponte sul rio Sabor, il cui corso e le cui rive meritano una fotografia, per poi diventare un gradevole nastro turistico senza velleità di essere ascritto agli annali del motociclismo. Macedo non ci piace granchè, così continuiamo per Bragança, raggiunta dopo altri 50 chilometri. E’ una cittadina con un bellissimo centro storico ed una fortificazione cinquecentesca situata su uno dei colli su cui posa. Ci si ferma a mangiare il piatto del giorno di un ristorante-bar: merluzzo e patate fritti con riso di accompagnamento a cui aggiungiamo due birre, due macedonie e il caffè per un totale di 13 € ; cavoli ma allora basta che non ci sia un santuario!!!! Dopo le foto di rito nel centro città e l’acquisto di una bottiglia di porto, ci si ritira per un pisolino sotto un ulivo in prossimità della fortezza. Verso le 16 si risale in moto, usciremo dalla Bragança attraversando nuovamente il Douro a Miranda, altra cittadina meritevole di una passeggiata e di una visita alla basilica dalla quale si gode anche di una bella vista del fiume e del canyon in cui scorre. Fiume che riattraversiamo passando su un ponte-diga che fa da confine.
Siamo a Zamora in tempo per la cena al sacco, preceduta dalla usuale doccia in cortile. Quella sera nel sacchetto c’è un contorno denominato “ali oli” costituito da patate lesse condite con salsa agliata e olio, il tutto confezionato in barattolini di plastica trasparenti. I Balarins sono attesi allo stadio per l’esibizione di apertura dell’Europeade, si va tutti in autobus. Il turno del gruppo di Buja è molto tardi per cui rimaniamo allo stadio fin quasi l’una dopo esserci gustati una cinquantina di gruppi da tutta Europa. A nanna stanchi.
8° giorno - 21 luglio - Zamora-Salamanca in autobus
Il venerdì è la giornata libera del gruppo da dedicare a un’escursione; viene scelta la città di Salamanca, circa 60 km a sud di Zamora, “città universitaria” dal XIII secolo e patrimonio dell’umanità dal 1985. L’autobus ci lascia dentro il centro storico verso mezzogiorno e ci riprenderà alle 19. Nel corso delle sette ore di visita alla città ci saranno diaspore e ricongiungimenti continui fra gruppetti più o meno numerosi di friulani che consentiranno a ciascuno, nel ritorno in autobus, di avere qualcosa di diverso da raccontare; anche se alla fin fine tutti hanno visto le stesse cose, molti hanno bevuto qualcosa di diverso.
Salamanca è una bellissima città quasi monocromatica nella sua tinta sabbia datagli dalla pietra con cui è costruita. Le vie del centro, la cattedrale e le altre chiese “minori”, gli edifici degli atenei e plaza major vengono divorati in due ore.. Covadonga, da brava amministrativa, conta sei cervezas consumate ed altrettante tapas assaggiate e con orgoglio dimostra la sua sobrietà, come fanno le altre ragazze, reggendosi su una gamba nella classica prova del “guardate come tengo l’alcool”.
Di nuovo fuori alla luce del sole in giro per negozi a raccogliere souvenir, un pisolino su panchine e aiuole, un ultimo bar e il ritorno al pullmann.
Non saziati dalla cena andiamo in un localino per mangiare i pimientos fritos. Questi sono dei peperoncini verdi non piccanti che si friggono in olio senza aggiungere altro: una delle tapas più gradite alla compagnia, oggetto di molti bis nella “taperia” del centro, in cui passiamo la seconda serata e consumiamo una seconda cena oltre che la cerveza n°7-8 e 9 della giornata, record personale di Sandra ( prima di allora la cosa più forte che aveva bevuto era stata l’acqua di Lourdes). Poi per solidarietà tutti a letto ad aiutare Sandra a smaltire il record .
Usciamo da Zamora verso le 10 in direzione Fermoselle con la moto scarica di tutto il superfluo, il paesaggio è più o meno sempre lo stesso con grandi distese, pochi paesi e lunghi rettilinei fino a che, passata Fermoselle, la strada non scende al confine col Portogallo che coincide con l’attraversamento di una diga sul Duero-Douro.
Sono soltanto tre o quattro chilometri, ma buoni come quelli del mitico Turrach (Carinzia). Dopo una sosticina passata a rimirare il canyon in cui scorre il Duero, il pilota ne approfitta per insegnare al passeggero come scattare foto con soggetto in movimento; dopo un paio di litri di benzina e un’anomala usura degli scarponcini consumati nelle stesse due curve ripetute per venti minuti, Manuel riesce ad entrare nell’inquadratura ed il cammino può riprendere.
In Portogallo il paesaggio si mantiene lo stesso ma la sensazione è che il paese sia un pochino meno in crescita della Spagna, ogni tanto qualcuno fuori dai bar saluta al nostro passaggio in moto. Dopo una breve sosta alle rovine di quello che verosimilmente era il castello di Mogadouro prendiamo la strada che si dirige a Macedo de Cavalleros distante circa 50 km. I primi 20 di questi chilometri saranno, motociclisticamente parlando, i migliori dell’intero viaggio; perfino il passeggero se ne accorge se non altro perché ogni curva sente le pedane toccare terra. L’asfalto, rifatto da poco, è abrasivo e tirato come un biliardo; la strada, che costeggia i pendii di una sequenza di colline, lascia per buona parte intendere due o tre traiettorie successive, taglia vigneti, uliveti e castagneti; sale e scende dolcemente. Insomma, vorresti non finisse mai, invece termina in corrispondenza del ponte sul rio Sabor, il cui corso e le cui rive meritano una fotografia, per poi diventare un gradevole nastro turistico senza velleità di essere ascritto agli annali del motociclismo. Macedo non ci piace granchè, così continuiamo per Bragança, raggiunta dopo altri 50 chilometri. E’ una cittadina con un bellissimo centro storico ed una fortificazione cinquecentesca situata su uno dei colli su cui posa. Ci si ferma a mangiare il piatto del giorno di un ristorante-bar: merluzzo e patate fritti con riso di accompagnamento a cui aggiungiamo due birre, due macedonie e il caffè per un totale di 13 € ; cavoli ma allora basta che non ci sia un santuario!!!! Dopo le foto di rito nel centro città e l’acquisto di una bottiglia di porto, ci si ritira per un pisolino sotto un ulivo in prossimità della fortezza. Verso le 16 si risale in moto, usciremo dalla Bragança attraversando nuovamente il Douro a Miranda, altra cittadina meritevole di una passeggiata e di una visita alla basilica dalla quale si gode anche di una bella vista del fiume e del canyon in cui scorre. Fiume che riattraversiamo passando su un ponte-diga che fa da confine.
Siamo a Zamora in tempo per la cena al sacco, preceduta dalla usuale doccia in cortile. Quella sera nel sacchetto c’è un contorno denominato “ali oli” costituito da patate lesse condite con salsa agliata e olio, il tutto confezionato in barattolini di plastica trasparenti. I Balarins sono attesi allo stadio per l’esibizione di apertura dell’Europeade, si va tutti in autobus. Il turno del gruppo di Buja è molto tardi per cui rimaniamo allo stadio fin quasi l’una dopo esserci gustati una cinquantina di gruppi da tutta Europa. A nanna stanchi.
8° giorno - 21 luglio - Zamora-Salamanca in autobus
Il venerdì è la giornata libera del gruppo da dedicare a un’escursione; viene scelta la città di Salamanca, circa 60 km a sud di Zamora, “città universitaria” dal XIII secolo e patrimonio dell’umanità dal 1985. L’autobus ci lascia dentro il centro storico verso mezzogiorno e ci riprenderà alle 19. Nel corso delle sette ore di visita alla città ci saranno diaspore e ricongiungimenti continui fra gruppetti più o meno numerosi di friulani che consentiranno a ciascuno, nel ritorno in autobus, di avere qualcosa di diverso da raccontare; anche se alla fin fine tutti hanno visto le stesse cose, molti hanno bevuto qualcosa di diverso.
Salamanca è una bellissima città quasi monocromatica nella sua tinta sabbia datagli dalla pietra con cui è costruita. Le vie del centro, la cattedrale e le altre chiese “minori”, gli edifici degli atenei e plaza major vengono divorati in due ore.. Covadonga, da brava amministrativa, conta sei cervezas consumate ed altrettante tapas assaggiate e con orgoglio dimostra la sua sobrietà, come fanno le altre ragazze, reggendosi su una gamba nella classica prova del “guardate come tengo l’alcool”.
Di nuovo fuori alla luce del sole in giro per negozi a raccogliere souvenir, un pisolino su panchine e aiuole, un ultimo bar e il ritorno al pullmann.
Non saziati dalla cena andiamo in un localino per mangiare i pimientos fritos. Questi sono dei peperoncini verdi non piccanti che si friggono in olio senza aggiungere altro: una delle tapas più gradite alla compagnia, oggetto di molti bis nella “taperia” del centro, in cui passiamo la seconda serata e consumiamo una seconda cena oltre che la cerveza n°7-8 e 9 della giornata, record personale di Sandra ( prima di allora la cosa più forte che aveva bevuto era stata l’acqua di Lourdes). Poi per solidarietà tutti a letto ad aiutare Sandra a smaltire il record .
Da Zamora a Borja
Una giornata dedicata interamente alla città che ci ospita. In tarda mattinata i “Balarins” si esibiscono in una piazza del centro mentre noi percorriamo le vie e visitiamo il Museo etnografico e il mercato coperto dove, nelle macellerie, si vende di tutto, comprese le creste di gallo,e le orecchie di maiale sottovuoto.
All’uscita vediamo che alcune portoghesi in costume giocano a fare la Monroe facendosi sollevare le gonne da un getto d’aria che esce da una grata. Sandra tenta di imitarle ma con la gonna a tubicino l’unica cosa sparata in alto sono i capelli.
Ci rechiamo al consueto refettorio per il pasto di mezzogiorno. Poi i “Balarins” si vanno a preparare per la sfilata nelle vie del centro. Mentre Sandra ed io ci facciamo un tour fotografico delle bellezze della città, compreso il museo della “Semana santa”. Particolare riguardo viene dedicato al ponte romano e alla basilica, poi torniamo a Plaza Major, dove termina la sfilata per incontrare i “Balarins” al loro arrivo e scattare le foto più suggestive della giornata.
Alle ventidue andiamo ad assistere a un bel concerto di Carlos Nunez (l’Hendrix delle cornamuse), accompagnato tra l’altro da due violiniste molto attraenti, che si tiene alla plaza de toros, poi verso l’una di nuovo a mangiare i pimientos fritos nella taperia del centro.
Prima di andare a nanna una pinta di rum in un locale ricavato da uno scantinato chiamato “La trucha” che ormai stava chiudendo.
10° giorno - 23 luglio - Zamora-Borja km. 3719-4268
Mancava la moto al Cantabrico e a Covadonga ma non al punto da farsi Zamora-l’Estartit in una sola giornata, così si decide di spezzare il tragitto in due tappe partendo un giorno prima del gruppo e sfruttando la giornata per visitare altre città. Quindi, partenza alle 9.30, direzione Salamanca e poi Avila, sì proprio la città di Santa Teresa, anche questa patrimonio dell’umanità dal 1985, cui dedichiamo solo un breve stop nella piazza della cattedrale e un veloce giro attorno alle splendide mura ( due chilometri e mezzo, 12 metri di altezza, edificate nell’XI secolo) con otto porte di accesso e 88 torri.
Lasciata Avila ci dirigiamo a Segovia, che raggiungiamo dopo 60 km. senza l’ombra di un distributore, tant’è che quando giungiamo in città per il rifornimento abbiamo due km di autonomia e facciamo 20,76 lt. di benzina in un serbatoio che ne tiene 20. La città è una vera meraviglia, tanto che le tre ore che le dedichiamo sono poco rispetto ai due-tre giorni che meriterebbe, anche questa dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1985 come Avila e Salamanca.
Nelle tre ore di stop abbiamo il tempo per visitare la maestosa cattedrale del 1500, il castello in stile Walt Disney e naturalmente i 728 metri di acquedotto romano, costruito in blocchi di granito murati a secco, che nella parte più alta misura circa 30 metri ed è costituito da due ordini di arcate. Da rimanere a bocca aperta. L’infelice parcheggio a fine acquedotto ci obbliga a una lunga camminata per arrivare al castello, tanto che per il ritorno si è pensato di usare un taxi (introvabile); in compenso abbiamo portato a termine la digestione dei pimientos.
Ripartiamo ma siamo subito colti da un briciolo di stanchezza per cui, quando lungo la strada notiamo una piccola area attrezzata con panchine e altalene, ci fermiamo a stendere un asciugamano per riposarci un po’. Sono circa le 17 quando saliamo in moto con l’intento di fare quanta più strada riusciamo prima di fermarci per la notte. Lungo il percorso abbiamo solo una piccola sosta preventivata, consigliata dalla “Guida della Spagna” : il piccolissimo borgo di Calatanazor, 61 abitanti. Un paesino dell’anno mille le cui case sono costruite con muri di sassi e colonne e travi di legno, legno che sorregge anche i porticati facendo sembrare le case delle palafitte. Dopo aver consumato un Calippo viaggiamo per un’altra ora e mezza finchè stanchi morti, nei pressi della cittadina di Borja troviamo un albergo in cui passare la notte.
Ci viene assegnata una camera al primo piano dove le stanze sono contraddistinte da nomi di vini; ci tocca la camera Merlot.
Due tapas per cena: tortilla e pimientos fritos; da bere due cervezas. Buona la notte.
All’uscita vediamo che alcune portoghesi in costume giocano a fare la Monroe facendosi sollevare le gonne da un getto d’aria che esce da una grata. Sandra tenta di imitarle ma con la gonna a tubicino l’unica cosa sparata in alto sono i capelli.
Ci rechiamo al consueto refettorio per il pasto di mezzogiorno. Poi i “Balarins” si vanno a preparare per la sfilata nelle vie del centro. Mentre Sandra ed io ci facciamo un tour fotografico delle bellezze della città, compreso il museo della “Semana santa”. Particolare riguardo viene dedicato al ponte romano e alla basilica, poi torniamo a Plaza Major, dove termina la sfilata per incontrare i “Balarins” al loro arrivo e scattare le foto più suggestive della giornata.
Alle ventidue andiamo ad assistere a un bel concerto di Carlos Nunez (l’Hendrix delle cornamuse), accompagnato tra l’altro da due violiniste molto attraenti, che si tiene alla plaza de toros, poi verso l’una di nuovo a mangiare i pimientos fritos nella taperia del centro.
Prima di andare a nanna una pinta di rum in un locale ricavato da uno scantinato chiamato “La trucha” che ormai stava chiudendo.
10° giorno - 23 luglio - Zamora-Borja km. 3719-4268
Mancava la moto al Cantabrico e a Covadonga ma non al punto da farsi Zamora-l’Estartit in una sola giornata, così si decide di spezzare il tragitto in due tappe partendo un giorno prima del gruppo e sfruttando la giornata per visitare altre città. Quindi, partenza alle 9.30, direzione Salamanca e poi Avila, sì proprio la città di Santa Teresa, anche questa patrimonio dell’umanità dal 1985, cui dedichiamo solo un breve stop nella piazza della cattedrale e un veloce giro attorno alle splendide mura ( due chilometri e mezzo, 12 metri di altezza, edificate nell’XI secolo) con otto porte di accesso e 88 torri.
Lasciata Avila ci dirigiamo a Segovia, che raggiungiamo dopo 60 km. senza l’ombra di un distributore, tant’è che quando giungiamo in città per il rifornimento abbiamo due km di autonomia e facciamo 20,76 lt. di benzina in un serbatoio che ne tiene 20. La città è una vera meraviglia, tanto che le tre ore che le dedichiamo sono poco rispetto ai due-tre giorni che meriterebbe, anche questa dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1985 come Avila e Salamanca.
Nelle tre ore di stop abbiamo il tempo per visitare la maestosa cattedrale del 1500, il castello in stile Walt Disney e naturalmente i 728 metri di acquedotto romano, costruito in blocchi di granito murati a secco, che nella parte più alta misura circa 30 metri ed è costituito da due ordini di arcate. Da rimanere a bocca aperta. L’infelice parcheggio a fine acquedotto ci obbliga a una lunga camminata per arrivare al castello, tanto che per il ritorno si è pensato di usare un taxi (introvabile); in compenso abbiamo portato a termine la digestione dei pimientos.
Ripartiamo ma siamo subito colti da un briciolo di stanchezza per cui, quando lungo la strada notiamo una piccola area attrezzata con panchine e altalene, ci fermiamo a stendere un asciugamano per riposarci un po’. Sono circa le 17 quando saliamo in moto con l’intento di fare quanta più strada riusciamo prima di fermarci per la notte. Lungo il percorso abbiamo solo una piccola sosta preventivata, consigliata dalla “Guida della Spagna” : il piccolissimo borgo di Calatanazor, 61 abitanti. Un paesino dell’anno mille le cui case sono costruite con muri di sassi e colonne e travi di legno, legno che sorregge anche i porticati facendo sembrare le case delle palafitte. Dopo aver consumato un Calippo viaggiamo per un’altra ora e mezza finchè stanchi morti, nei pressi della cittadina di Borja troviamo un albergo in cui passare la notte.
Ci viene assegnata una camera al primo piano dove le stanze sono contraddistinte da nomi di vini; ci tocca la camera Merlot.
Due tapas per cena: tortilla e pimientos fritos; da bere due cervezas. Buona la notte.
Da Borja a l’Estartit
L’undicesimo giorno è quasi di passaggio dalla vacanza cultural-gastronomico- goliardico-mototuristica a quella balnear-motociclistica. Sandra infatti aveva espresso, prima di partire, il desiderio di passare un paio di giorni al mare. Tocca alla Costa Brava ospitarci per una notte in compagnia dei ritrovati “Balarins”, per altre due da soli. La giornata si consuma nel trasferimento dall’Aragona alla Costa Brava.
L’unica digressione, consigliata da “Le 50 strade più belle d’Europa” di Quattroruote, è per percorrere i 30 km. di costiera tra Lloret de Mar e Saint Feliu, che è sì molto bella e panoramica ma credo maggio sia un mese più indicato per il piacere di farla in moto; nell’attraversare Lloret de Mar pilota e passeggero hanno perso due chili a testa districandosi tra semafori, biciclette, salvagente, attraversamenti pedonali, camper e anarchici del volante.
Attraversata Tossa de Mar ci fermiamo ad un mirador per la foto, Covadonga coglie l’occasione per un pisolino stendendosi su una trave che fa da guard rail; rialzandosi ancora intontita, con una mezza piroetta, batte il ginocchio sul cilindro della poderosa procurandosi un’ematoma di una spanna quadra. L’arrivo dei “Balarins” a l’Estartit è previsto per le 19, noi arriviamo alle 17 e ci accasiamo in hotel , la nostra è una delle camere con l’aria condizionata, per un riposino. Prima però Manuel fa il secondo bucato del tour.
Dopo aver riabbracciato gli amici, ci rechiamo tutti in spiaggia per un bagno di fronte alle isolette Medes, parco marino della Catalogna, a cui El Cantabrico, per un eccesso di campanilismo, non partecipa. Sta facendo buio, sono quasi le dieci, quando siamo pronti per andare a cena. E’ la sera della “paella catalana”; (riso, seppie, calamari, vongole, cozze e nero di seppia) buona, ma preferiamo la valenciana e dei “fideua” una specie di paella di molluschi ma con una pasta a filini che sostituisce il riso.
P.S. la cena termina ben oltre la mezzanotte ma è normale in Spagna.
12° giorno - 25 luglio - l’Estartit-Pirenees-l’Estartit km.4797-5247
Alle sette e mezza in piedi per salutare i “Balarins” che tornano in Friuli. Sandra ed io invece ci fermiamo altri due giorni a mezza pensione nello stesso hotel. E’ questa la giornata in cui ognuno si dedica alla propria passione, Sandra la tintarella, Manuel la moto. Così per la prima volta il pilota parte da solo improvvisando un itinerario sui Pirenei orientali.
Dopo 40 km di piana, passata Girona, la strada inizia a salire un poco in quota; passando la cittadina di Besalù si scatta una foto al ponte e alle mura. Poi si inanela una sequenza di località che portano i nomi di Monastir de Sant Pere, Sant Joan les Fonts, Sant Joan les Abadesses, Sant Pau de Seguries e di nuovo un altro Monastir de Sant Pere!!! Manuel, intimamente convertito, giunge al passo d’Ares (1610 mt), il confine con la Francia. La strada migliora un po’ in terra francese e per qualche chilometro è divertente, fino a che, volendo tentare miglior fortuna con un altro valico, decide di percorrere la bretella che congiunge la strada che sta percorrendo con la statale che porta ad Andorra. Più di 40 km. in una stradina, che un’incoerente interpretazione cartografica segnalava come turistica e dimostratasi, invece, un senso unico alternato portato a termine in un’ora e mezza; la guida rende Manuel rende completamente esausto.
Molto meglio la statale che sale in direzione di Andorra, ma nuvoloni poco bene auguranti iniziano ad oscurare l’orizzonte. Giunto a Bourg Madame (valico per rientrare in Spagna) senza prendere acqua, abbandona l’idea di raggiungere Andorra, anche se in quella direzione il cielo è rassicurante. In direzione est, quella da prendere per tornare al mare, i lampi sono più frequenti dei flash che immortalano Madonna al suo arrivo a Roma, non c’è scampo. Ma il rammarico di constatare che la strada da lì a Ripoll (60 km.) sarebbe stata a dir poco fantastica se non fosse diluviato, fa cadere Manuel in un tale sconforto che pagherebbe qualsiasi cosa per essere teletrasportato in spiaggia a l’Estartit. Sarà per la prossima volta.
La pioggia termina a Ripoll tanto per farci rabbia, e dopo altri 30 km. si rivede il sole che tutto asciuga in pochi minuti. Ognuno riferisce la propria giornata, a Manuel non riesce di far provare invidia. Doccia, riposino, cena in hotel e passeggiata fino al porto chiudono la giornata meno saggia del viaggio.
L’unica digressione, consigliata da “Le 50 strade più belle d’Europa” di Quattroruote, è per percorrere i 30 km. di costiera tra Lloret de Mar e Saint Feliu, che è sì molto bella e panoramica ma credo maggio sia un mese più indicato per il piacere di farla in moto; nell’attraversare Lloret de Mar pilota e passeggero hanno perso due chili a testa districandosi tra semafori, biciclette, salvagente, attraversamenti pedonali, camper e anarchici del volante.
Attraversata Tossa de Mar ci fermiamo ad un mirador per la foto, Covadonga coglie l’occasione per un pisolino stendendosi su una trave che fa da guard rail; rialzandosi ancora intontita, con una mezza piroetta, batte il ginocchio sul cilindro della poderosa procurandosi un’ematoma di una spanna quadra. L’arrivo dei “Balarins” a l’Estartit è previsto per le 19, noi arriviamo alle 17 e ci accasiamo in hotel , la nostra è una delle camere con l’aria condizionata, per un riposino. Prima però Manuel fa il secondo bucato del tour.
Dopo aver riabbracciato gli amici, ci rechiamo tutti in spiaggia per un bagno di fronte alle isolette Medes, parco marino della Catalogna, a cui El Cantabrico, per un eccesso di campanilismo, non partecipa. Sta facendo buio, sono quasi le dieci, quando siamo pronti per andare a cena. E’ la sera della “paella catalana”; (riso, seppie, calamari, vongole, cozze e nero di seppia) buona, ma preferiamo la valenciana e dei “fideua” una specie di paella di molluschi ma con una pasta a filini che sostituisce il riso.
P.S. la cena termina ben oltre la mezzanotte ma è normale in Spagna.
12° giorno - 25 luglio - l’Estartit-Pirenees-l’Estartit km.4797-5247
Alle sette e mezza in piedi per salutare i “Balarins” che tornano in Friuli. Sandra ed io invece ci fermiamo altri due giorni a mezza pensione nello stesso hotel. E’ questa la giornata in cui ognuno si dedica alla propria passione, Sandra la tintarella, Manuel la moto. Così per la prima volta il pilota parte da solo improvvisando un itinerario sui Pirenei orientali.
Dopo 40 km di piana, passata Girona, la strada inizia a salire un poco in quota; passando la cittadina di Besalù si scatta una foto al ponte e alle mura. Poi si inanela una sequenza di località che portano i nomi di Monastir de Sant Pere, Sant Joan les Fonts, Sant Joan les Abadesses, Sant Pau de Seguries e di nuovo un altro Monastir de Sant Pere!!! Manuel, intimamente convertito, giunge al passo d’Ares (1610 mt), il confine con la Francia. La strada migliora un po’ in terra francese e per qualche chilometro è divertente, fino a che, volendo tentare miglior fortuna con un altro valico, decide di percorrere la bretella che congiunge la strada che sta percorrendo con la statale che porta ad Andorra. Più di 40 km. in una stradina, che un’incoerente interpretazione cartografica segnalava come turistica e dimostratasi, invece, un senso unico alternato portato a termine in un’ora e mezza; la guida rende Manuel rende completamente esausto.
Molto meglio la statale che sale in direzione di Andorra, ma nuvoloni poco bene auguranti iniziano ad oscurare l’orizzonte. Giunto a Bourg Madame (valico per rientrare in Spagna) senza prendere acqua, abbandona l’idea di raggiungere Andorra, anche se in quella direzione il cielo è rassicurante. In direzione est, quella da prendere per tornare al mare, i lampi sono più frequenti dei flash che immortalano Madonna al suo arrivo a Roma, non c’è scampo. Ma il rammarico di constatare che la strada da lì a Ripoll (60 km.) sarebbe stata a dir poco fantastica se non fosse diluviato, fa cadere Manuel in un tale sconforto che pagherebbe qualsiasi cosa per essere teletrasportato in spiaggia a l’Estartit. Sarà per la prossima volta.
La pioggia termina a Ripoll tanto per farci rabbia, e dopo altri 30 km. si rivede il sole che tutto asciuga in pochi minuti. Ognuno riferisce la propria giornata, a Manuel non riesce di far provare invidia. Doccia, riposino, cena in hotel e passeggiata fino al porto chiudono la giornata meno saggia del viaggio.
Da l’Estartit a Dolceaqua
Pilota e passeggero ridiventano una coppia, allorchè decidono di usare la moto per andare al mare, era così semplice no? Bauletto e borsa da serbatoio contengono il necessario per andare in spiaggia, l’abbigliamento di scorta e la macchina fotografica. Manuel parte in pantaloni corti, scarpe da ginnastica e T-shirt, Sandra preferisce coprirsi le gambe già abbastanza abbronzate. Un bel campo di girasole ci obbliga a uno stop per le foto dopo soli dieci chilometri, poi si parte per la penisola di Cap de Creus su una litoranea abbastanza trafficata.
Dalla cittadina di Roses fino a Cadaques si percorre una bellissima strada che sale sul promontorio in cima al quale si dirama una stradina che porta a una struttura posta sul cucuzzolo che, però, non è possibile raggiungere, in quanto zona militare. Optiamo per una strada di sassi che porta a una collinetta dalla quale si può vedere un lungo tratto di costa brava (verso sud) e la costa francese (verso nord); le foto sono d’obbligo, la moto coricata sul ciglio della mulattiera un po’ meno. Scendiamo a Cadaques senza entrarci e ci dirigiamo al faro che segna la fine della Spagna a oriente.
Qui iniziamo una dieta a base di Calippo e acque minerali. Il Calippo toccerà punte di 2 € al pezzo nel chiosco di Port Lligat di fronte alla casa di Salvador Dalì. Scendiamo in una delle spiaggette di ciotoli sotto l’egida del faro percorrendo un angusto e ripido sentiero per un bagno di sole di circa un’ora. La successiva risalita, sotto il sole, obbliga Manuel ad una tenuta kitch : casco, costume da bagno e scarpe da ginnastica che non abbandonerà più fino a sera, nemmeno per il prelievo al bancomat del grazioso paese di pescatori di Cadaques che entriamo a visitare dopo aver consumato l’ennesimo ghiacciolo. Risaliamo il promontorio fino ad un bivio dove, prendendo a destra, ci dirigiamo a Port de la Selva per poi da lì salire per 9 chilometri al monastero di Sant Pere de Rodes, una persecuzione!!!
Anche da lassù un panorama stupendo e nella sosta Manuel ne approfitta per farsi fotografare mentre guida la moto senza casco e con il solo costume da bagno. Intanto braccia e gambe cominciano ad assumere tonalità preoccupanti nel lato esposto al sole. Ci dirigiamo verso l’hotel dopo aver tirato un paio di grattatine alle pedane nelle curve della discesa a Figueres, città in cui non ci fermiamo. Rientriamo a l’Estartit nel tardo pomeriggio, Manuel commissiona a Sandra il furto di 4 mele in un frutteto lungo la strada; poi in albergo facciamo abbondante uso delle creme contro le scottature.
Poi a nanna con la malinconia di dover l’indomani salutare la Spagna.
14° giorno - 27 luglio - l’Estartit-Dolceacqua km. 5427-6045
Gli ultimi due giorni servono a tornare a casa. Ben poco di nuovo ci attende, anche perché il percorso di ritorno è per buona parte lo stesso dell’andata. Via dall’hotel alle nove, dopo 10 km. il “solito” furto di mele nel frutteto, poi cercando di tenerci per un po’ fuori dall’autostrada ripassiamo fuori Figueres per passare il confine con la Francia a La Jonquera, così ricca di negozi (e povera di parcheggi) che non abbiamo capito se sono solo retaggio delle vecchie barriere doganali o se in qualche modo è un porto franco, anche perché dopo qualche chilometro la GdF francese sorteggia le macchine a cui far aprire i bagagli. A Perpignan riprendiamo l’autostrada per uscirne a Montpellier e, come all’andata, traversare la Camargue.
Il mezzogiorno della Francia scorre vie veloce, così decidiamo di uscire a Montecarlo e di arrivare a Ventimiglia dalla costiera. Una puntatina al casinò ma solo in senso figurato, due chilometri del percorso del Gran Premio e un salto a scegliere lo yacht che Sandra tanto desidera. Poi Mentone e Ventimiglia dove incontriamo di nuovo Annarita che era stata delegata a trovarci una sistemazione per la notte nel paese di Dolceacqua ( bandiera arancione del TCI) nell’entroterra di Ventimiglia.
Nel centro storico del paese le stradine sono così strette che è un problema anche parcheggiare la moto. Il B&B che ci ospita ha le camere al terzo piano, camere che a dispetto delle scale sono molto accoglienti e, a garanzia di riposo, viste le temperature del periodo, sono dotate di climatizzatore!!
15° giorno - 28 luglio - Dolceacqua-Buja km. 6045-6701
E’ la giornata più calda del viaggio, il tratto più noioso, poca voglia di mettersi in marcia ma la determinazione a tener fede all’itinerario prefissato alla fine prevale. Del viaggio sono da ricordare i due litri di Gatorade che son serviti a Manuel per sopravvivere ed i 38°C indicati all’autogrill Bauli di Verona..A Buja alle 16 e a Colugna alle 17 nessun comitato di accoglienza.
Casa dolce casa.
Dalla cittadina di Roses fino a Cadaques si percorre una bellissima strada che sale sul promontorio in cima al quale si dirama una stradina che porta a una struttura posta sul cucuzzolo che, però, non è possibile raggiungere, in quanto zona militare. Optiamo per una strada di sassi che porta a una collinetta dalla quale si può vedere un lungo tratto di costa brava (verso sud) e la costa francese (verso nord); le foto sono d’obbligo, la moto coricata sul ciglio della mulattiera un po’ meno. Scendiamo a Cadaques senza entrarci e ci dirigiamo al faro che segna la fine della Spagna a oriente.
Qui iniziamo una dieta a base di Calippo e acque minerali. Il Calippo toccerà punte di 2 € al pezzo nel chiosco di Port Lligat di fronte alla casa di Salvador Dalì. Scendiamo in una delle spiaggette di ciotoli sotto l’egida del faro percorrendo un angusto e ripido sentiero per un bagno di sole di circa un’ora. La successiva risalita, sotto il sole, obbliga Manuel ad una tenuta kitch : casco, costume da bagno e scarpe da ginnastica che non abbandonerà più fino a sera, nemmeno per il prelievo al bancomat del grazioso paese di pescatori di Cadaques che entriamo a visitare dopo aver consumato l’ennesimo ghiacciolo. Risaliamo il promontorio fino ad un bivio dove, prendendo a destra, ci dirigiamo a Port de la Selva per poi da lì salire per 9 chilometri al monastero di Sant Pere de Rodes, una persecuzione!!!
Anche da lassù un panorama stupendo e nella sosta Manuel ne approfitta per farsi fotografare mentre guida la moto senza casco e con il solo costume da bagno. Intanto braccia e gambe cominciano ad assumere tonalità preoccupanti nel lato esposto al sole. Ci dirigiamo verso l’hotel dopo aver tirato un paio di grattatine alle pedane nelle curve della discesa a Figueres, città in cui non ci fermiamo. Rientriamo a l’Estartit nel tardo pomeriggio, Manuel commissiona a Sandra il furto di 4 mele in un frutteto lungo la strada; poi in albergo facciamo abbondante uso delle creme contro le scottature.
Poi a nanna con la malinconia di dover l’indomani salutare la Spagna.
14° giorno - 27 luglio - l’Estartit-Dolceacqua km. 5427-6045
Gli ultimi due giorni servono a tornare a casa. Ben poco di nuovo ci attende, anche perché il percorso di ritorno è per buona parte lo stesso dell’andata. Via dall’hotel alle nove, dopo 10 km. il “solito” furto di mele nel frutteto, poi cercando di tenerci per un po’ fuori dall’autostrada ripassiamo fuori Figueres per passare il confine con la Francia a La Jonquera, così ricca di negozi (e povera di parcheggi) che non abbiamo capito se sono solo retaggio delle vecchie barriere doganali o se in qualche modo è un porto franco, anche perché dopo qualche chilometro la GdF francese sorteggia le macchine a cui far aprire i bagagli. A Perpignan riprendiamo l’autostrada per uscirne a Montpellier e, come all’andata, traversare la Camargue.
Il mezzogiorno della Francia scorre vie veloce, così decidiamo di uscire a Montecarlo e di arrivare a Ventimiglia dalla costiera. Una puntatina al casinò ma solo in senso figurato, due chilometri del percorso del Gran Premio e un salto a scegliere lo yacht che Sandra tanto desidera. Poi Mentone e Ventimiglia dove incontriamo di nuovo Annarita che era stata delegata a trovarci una sistemazione per la notte nel paese di Dolceacqua ( bandiera arancione del TCI) nell’entroterra di Ventimiglia.
Nel centro storico del paese le stradine sono così strette che è un problema anche parcheggiare la moto. Il B&B che ci ospita ha le camere al terzo piano, camere che a dispetto delle scale sono molto accoglienti e, a garanzia di riposo, viste le temperature del periodo, sono dotate di climatizzatore!!
15° giorno - 28 luglio - Dolceacqua-Buja km. 6045-6701
E’ la giornata più calda del viaggio, il tratto più noioso, poca voglia di mettersi in marcia ma la determinazione a tener fede all’itinerario prefissato alla fine prevale. Del viaggio sono da ricordare i due litri di Gatorade che son serviti a Manuel per sopravvivere ed i 38°C indicati all’autogrill Bauli di Verona..A Buja alle 16 e a Colugna alle 17 nessun comitato di accoglienza.
Casa dolce casa.