I viaggi dei lettori
Miami-Key West in... trattore
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Come evitare una Harley Davidson e visitare a cavallo di un 'solido' motorone i luoghi mitici della Florida
Dicono che sia uno dei “greatest ride” da fare negli States. Percorrere la Interstate 1 da Miami fino al punto più meridionale della Florida significa in realtà lasciarsi condurre per un lungo nastro d’asfalto che collega un susseguirsi, spesso monotono, di innumerevoli isolette e canali immersi nella lussureggiante vegetazione tropicale, fino al famoso Seven Miles Bridge e alla leggendaria Key West.
Un viaggio attraverso luoghi evocativi, forse un po’ sopravvalutati nell’immaginario collettivo, ma comunque di indubbio fascino.
Con la solita scusa del “viaggio di lavoro” negli States, mi sono così trovato a Miami un sabato mattina di fine luglio alla ricerca di una moto con cui partire per il week-end. E qui incontro le prime difficoltà. Sembra infatti che in tutta la Florida non sia possibile affittare una moto che non sia una Harley. Decido comunque di non arrendermi e, dopo una lunga ricerca, riesco finalmente a mettere le chiappe su qualcosa con due ruote che si avvicini maggiormente a quello che è il mio concetto di moto. Il concessionario (Harley ovviamente), con lo sguardo a metà tra il preoccupato e l’incredulo, mi consegna una Buell XB12 Firebolt 1200 rossa nuova fiammante. Il pulsare del grosso bicilindrico e la corposa tonalità di scarico mi danno un brivido. Sono felice come un bambino con il suo giocattolo nuovo. Tiro la frizione e metto la prima. Si parte.
Con me c’è John, sulla sua Ducati Monster 750. E’ molto fiero della sua prima moto, anche se io l’ho definita una “girly bike” per la cilindrata ridotta. In seguito me l’ha fatta provare: rispetto alla Buell sembra una bicicletta per quanto è maneggevole, ma il motore è un vero chiodo. La Buell invece è un oggetto davvero particolare che non riesco bene a catalogare: la posizione di guida sportiva e raccolta mi è piaciuta subito, ma contrasta con il motore dalla spinta vigorosa e allo stesso tempo dolce e morbida, che tradisce chiaramente la sua origine custom. Il senso di morbidezza dell’erogazione è accentuata dalla silenziosa trasmissione a cinghia. A seimila giri, quando la mia Aprilia comincia a dare il meglio, il limitatore taglia l’accensione e la Buell si pianta in modo brusco e certamente poco piacevole. La moto è visibilmente corta e la ciclistica molto sportiva. Ti aspetteresti quindi una moto maneggevole, in realtà è dura da buttare in piega e il peso del motorone si sente molto. Il mio amico, che ha trascorso l’infanzia in qualche fattoria del Minnesota, la definisce giustamente “a tractor”, appropriato nomignolo che resterà alla “mia” moto fino alla fine del viaggio.
Con il passare delle miglia, se ne va anche parte dell’iniziale entusiasmo. Il caldo è soffocante e la strada inesorabilmente dritta. Alla ridicola velocità di 50 miglia all’ora (80 Km/h…), solo con i miei pensieri, comincio a capire tante cose. Innanzi tutto perché esistono moto come le Harley e perché siano tanto diffuse negli USA. Guidare una sportiva su queste strade e a queste velocità non ha senso. Indovinate però qual è una delle sportive più diffuse? Ovviamente la Suzukona Hayabusa, motoretta da 300 e passa km orari… che naturalmente si può guidare senza casco, indossando però sempre degli occhiali “protettivi” (!?) e senza mai superare le 65 miglia/h (110 km/h) !!!. Strano paese gli USA.
Il primo rifornimento di carburante è un’esperienza nuova: si può scegliere tra tre tipi di super con diverso livello di ottani, mentre il diesel non esiste. Al momento di pagare viene naturale pensare a un errore. Solo 4$ per il pieno della moto!!? Nessun errore: la benza costa più o meno 1$ al gallone (circa 3 litri) e cioè circa un terzo rispetto all’Italia. E se capiti nella settimana fortunata lo Stato della Florida ti fa lo sconto e non paghi le tasse sul carburante, risparmiando ancora qualche cent! Ecco perché negli States le automobili sono minimo 3.000 cc. e ora mi spiego anche perchè la Triumph abbia deciso di partorire quel mostro della Rocket tre cilindri 2.000 cc.
Con il passare del tempo inizio ad abituarmi al caldo umido e ad apprezzare il consiglio di John di comprare un particolare giubbino protettivo fatto di una leggera rete traspirante con protezioni su spalle e gomiti. Non è certo sicuro come la mia Dainese, ma non me la fa rimpiangere, anzi penso che mi sarà utile in estate anche in Italia. Per fortuna comunque arriva il momento di fermarci e John non poteva scegliere posto migliore. Riposarsi all’ombra, sorseggiando una birra gelata e sgusciando con le mani gamberi lessi all’Alabama Jack’s, è un’esperienza imperdibile se si visitano le Keys. Da cinquant’anni è un classico ritrovo per gente di tutti i tipi: barcaioli, famiglie con bambini, harleyisti (c’è anche un simpatico cartello di divieto di sosta: moto diverse dalle harley verranno rimosse...). C’è persino un’attempata e bizzarra coppia di novelli sposi che festeggia le nozze con musica country dal vivo, pesce fritto e fiumi di birra.
In estate ai Tropici il tempo può cambiare in modo repentino. Giusto il tempo di riparare le nostre cose in un sacchetto di plastica e ci ritroviamo inzuppati fino alle mutande. Incuranti dei violenti scrosci di pioggia proseguiamo il viaggio. I piedi sguazzano nelle scarpe piene d’acqua, ma un po’ di refrigerio non è disprezzabile e probabilmente saremo completamente asciutti prima di arrivare.
In alcuni punti la strada corre su lembi di terra talmente stretti che non è raro vedere dei granchi cercare di attraversare la strada, per poi tornare indietro di scatto al passare delle nostre moto. Per lunghi tratti invece percorriamo interminabili ponti che collegano tra loro piccolissime isole e sembrano portarci dritti in mezzo al mare.
E’ pomeriggio inoltrato quando arriviamo a Key West. Non è difficile trovare un posto per dormire, ma se non si vuole essere scambiati per una coppia di gay, comunità molto numerosa a Key West, bisogna aver cura di evitare certi alberghi o guest house dove vige spesso la regola “clothing optional”.
Gironzolare in moto per le strade della città senza casco è un piacere che credo di non aver mai provato prima. A bassa andatura emergono alcuni grossi limiti della Buell che non avevo notato durante il viaggio. Il motore scalda da morire i travi del telaio al punto che ci si scotta le gambe anche indossando i jeans. Bisogna poi fare l’abitudine al costante brusio della piccola ventola di raffreddamento, che raramente ho sentito spegnersi durante tutto il viaggio (!). In ultimo, in caso di sosta a motore acceso, appoggiando a terra il piede sinistro, il simpatico silenziatore sotto il motore spara il gas di scarico proprio sulla caviglia. In compenso senza casco il rumore del bicilindrico è ancora più gustoso…
Mettere piede al Southernmost Point, punto più meridionale degli USA, distante solo 90 miglia da Cuba, visitare la casa di Ernest Hemingway e vedere il tramonto dal Mallory dock, sono probabilmente le prime tre cose che ogni turista “deve” fare a Key West. Ma è quando il sole è tramontato che la città cambia ritmo, le strade si riempiono di folla e i numerosi ristoranti, bar e locali si animano. Suoni, musica e colori stimolano i nostri sensi ma in realtà, dopo 300 Km in moto sotto il sole tropicale, siamo cotti, nel vero senso della parola. Ci sono giusto le forze per bersi un paio di birre al leggendario pub Sloppy Joe's, non prima di una succulenta cena a base di pesce. Poi stanchi ma soddisfatti andiamo a dormire. Domani ci aspetta il viaggio di ritorno.
Con la solita scusa del “viaggio di lavoro” negli States, mi sono così trovato a Miami un sabato mattina di fine luglio alla ricerca di una moto con cui partire per il week-end. E qui incontro le prime difficoltà. Sembra infatti che in tutta la Florida non sia possibile affittare una moto che non sia una Harley. Decido comunque di non arrendermi e, dopo una lunga ricerca, riesco finalmente a mettere le chiappe su qualcosa con due ruote che si avvicini maggiormente a quello che è il mio concetto di moto. Il concessionario (Harley ovviamente), con lo sguardo a metà tra il preoccupato e l’incredulo, mi consegna una Buell XB12 Firebolt 1200 rossa nuova fiammante. Il pulsare del grosso bicilindrico e la corposa tonalità di scarico mi danno un brivido. Sono felice come un bambino con il suo giocattolo nuovo. Tiro la frizione e metto la prima. Si parte.
Con me c’è John, sulla sua Ducati Monster 750. E’ molto fiero della sua prima moto, anche se io l’ho definita una “girly bike” per la cilindrata ridotta. In seguito me l’ha fatta provare: rispetto alla Buell sembra una bicicletta per quanto è maneggevole, ma il motore è un vero chiodo. La Buell invece è un oggetto davvero particolare che non riesco bene a catalogare: la posizione di guida sportiva e raccolta mi è piaciuta subito, ma contrasta con il motore dalla spinta vigorosa e allo stesso tempo dolce e morbida, che tradisce chiaramente la sua origine custom. Il senso di morbidezza dell’erogazione è accentuata dalla silenziosa trasmissione a cinghia. A seimila giri, quando la mia Aprilia comincia a dare il meglio, il limitatore taglia l’accensione e la Buell si pianta in modo brusco e certamente poco piacevole. La moto è visibilmente corta e la ciclistica molto sportiva. Ti aspetteresti quindi una moto maneggevole, in realtà è dura da buttare in piega e il peso del motorone si sente molto. Il mio amico, che ha trascorso l’infanzia in qualche fattoria del Minnesota, la definisce giustamente “a tractor”, appropriato nomignolo che resterà alla “mia” moto fino alla fine del viaggio.
Con il passare delle miglia, se ne va anche parte dell’iniziale entusiasmo. Il caldo è soffocante e la strada inesorabilmente dritta. Alla ridicola velocità di 50 miglia all’ora (80 Km/h…), solo con i miei pensieri, comincio a capire tante cose. Innanzi tutto perché esistono moto come le Harley e perché siano tanto diffuse negli USA. Guidare una sportiva su queste strade e a queste velocità non ha senso. Indovinate però qual è una delle sportive più diffuse? Ovviamente la Suzukona Hayabusa, motoretta da 300 e passa km orari… che naturalmente si può guidare senza casco, indossando però sempre degli occhiali “protettivi” (!?) e senza mai superare le 65 miglia/h (110 km/h) !!!. Strano paese gli USA.
Il primo rifornimento di carburante è un’esperienza nuova: si può scegliere tra tre tipi di super con diverso livello di ottani, mentre il diesel non esiste. Al momento di pagare viene naturale pensare a un errore. Solo 4$ per il pieno della moto!!? Nessun errore: la benza costa più o meno 1$ al gallone (circa 3 litri) e cioè circa un terzo rispetto all’Italia. E se capiti nella settimana fortunata lo Stato della Florida ti fa lo sconto e non paghi le tasse sul carburante, risparmiando ancora qualche cent! Ecco perché negli States le automobili sono minimo 3.000 cc. e ora mi spiego anche perchè la Triumph abbia deciso di partorire quel mostro della Rocket tre cilindri 2.000 cc.
Con il passare del tempo inizio ad abituarmi al caldo umido e ad apprezzare il consiglio di John di comprare un particolare giubbino protettivo fatto di una leggera rete traspirante con protezioni su spalle e gomiti. Non è certo sicuro come la mia Dainese, ma non me la fa rimpiangere, anzi penso che mi sarà utile in estate anche in Italia. Per fortuna comunque arriva il momento di fermarci e John non poteva scegliere posto migliore. Riposarsi all’ombra, sorseggiando una birra gelata e sgusciando con le mani gamberi lessi all’Alabama Jack’s, è un’esperienza imperdibile se si visitano le Keys. Da cinquant’anni è un classico ritrovo per gente di tutti i tipi: barcaioli, famiglie con bambini, harleyisti (c’è anche un simpatico cartello di divieto di sosta: moto diverse dalle harley verranno rimosse...). C’è persino un’attempata e bizzarra coppia di novelli sposi che festeggia le nozze con musica country dal vivo, pesce fritto e fiumi di birra.
In estate ai Tropici il tempo può cambiare in modo repentino. Giusto il tempo di riparare le nostre cose in un sacchetto di plastica e ci ritroviamo inzuppati fino alle mutande. Incuranti dei violenti scrosci di pioggia proseguiamo il viaggio. I piedi sguazzano nelle scarpe piene d’acqua, ma un po’ di refrigerio non è disprezzabile e probabilmente saremo completamente asciutti prima di arrivare.
In alcuni punti la strada corre su lembi di terra talmente stretti che non è raro vedere dei granchi cercare di attraversare la strada, per poi tornare indietro di scatto al passare delle nostre moto. Per lunghi tratti invece percorriamo interminabili ponti che collegano tra loro piccolissime isole e sembrano portarci dritti in mezzo al mare.
E’ pomeriggio inoltrato quando arriviamo a Key West. Non è difficile trovare un posto per dormire, ma se non si vuole essere scambiati per una coppia di gay, comunità molto numerosa a Key West, bisogna aver cura di evitare certi alberghi o guest house dove vige spesso la regola “clothing optional”.
Gironzolare in moto per le strade della città senza casco è un piacere che credo di non aver mai provato prima. A bassa andatura emergono alcuni grossi limiti della Buell che non avevo notato durante il viaggio. Il motore scalda da morire i travi del telaio al punto che ci si scotta le gambe anche indossando i jeans. Bisogna poi fare l’abitudine al costante brusio della piccola ventola di raffreddamento, che raramente ho sentito spegnersi durante tutto il viaggio (!). In ultimo, in caso di sosta a motore acceso, appoggiando a terra il piede sinistro, il simpatico silenziatore sotto il motore spara il gas di scarico proprio sulla caviglia. In compenso senza casco il rumore del bicilindrico è ancora più gustoso…
Mettere piede al Southernmost Point, punto più meridionale degli USA, distante solo 90 miglia da Cuba, visitare la casa di Ernest Hemingway e vedere il tramonto dal Mallory dock, sono probabilmente le prime tre cose che ogni turista “deve” fare a Key West. Ma è quando il sole è tramontato che la città cambia ritmo, le strade si riempiono di folla e i numerosi ristoranti, bar e locali si animano. Suoni, musica e colori stimolano i nostri sensi ma in realtà, dopo 300 Km in moto sotto il sole tropicale, siamo cotti, nel vero senso della parola. Ci sono giusto le forze per bersi un paio di birre al leggendario pub Sloppy Joe's, non prima di una succulenta cena a base di pesce. Poi stanchi ma soddisfatti andiamo a dormire. Domani ci aspetta il viaggio di ritorno.
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