Africa
Dall'Italia al Sud Africa: 17esima tappa
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Usciti dal Malawi, i nostri viaggiatori devono attraversare il Mozambico prima di raggiungere lo Zimbabwe, dove incontreranno i ragazzi del CESVI e visiteranno il secondo campo
Da Blantyre, in Malawi, partiamo la mattina presto: fa quasi freddo, la strada serpeggia fra le colline per un centinaio di chilometri, poi si scende verso la frontiera con il Mozambico. Ci assale subito un caldo impressionante: siamo partiti con circa 15 gradi e ora ce ne sono 40.
L'uscita dal Malawi è rapida, un po' meno l'ingresso in Mozambico, soprattutto per i fastidiosi cambiavalute e l'assicurazione che, nonostante le garanzie, non viene accettata. Discutiamo per un po', poi, visto che non c'è nulla da fare, mi rassegno a stipularne un'altra al costo, ragionevole, di 23 $. Il modulo viene compilato un po' alla carlona ma spero che non ce ne sarà bisogno. Ci avventuriamo nel caldo asfissiante del bush mozambicano. È quasi del tutto disabitato, solo rarissime capanne, nemmeno ombreggiate da alberi degni di nota. Niente benzina, niente da mangiare. Arriviamo abbastanza rapidamente a Tete, capitale di questa provincia famosa per il ponte sospeso sul fiume Zambesi.
Ci accorgiamo di essere quasi arrivati perché ci troviamo impegolati in una coda di camion difficile da immaginare in un posto così desolato. Scopriamo presto che a provocarla è proprio il ponte: per passarlo si paga un pedaggio di un paio di dollari, e in più è in riparazione per cui si passa a senso unico alternato. Ci perdiamo un sacco di tempo e ci becchiamo un sacco di caldo, tanto da decidere di fermarci appena giunti in città, dall'altra parte del fiume. Troviamo subito qualche albergo, ma sono troppo cari o "fully booked". Beviamo qualche litro di acqua gelata e decidiamo di proseguire per Changara, 150 km più avanti, anche se non sappiamo se ci sarà da dormire. Il caldo è sempre insopportabile e il paesaggio di una noia mortale. Arriviamo a Changara che ormai sta per fare buio. La nostra attenzione è subito attratta da un alto muro su cui spicca la parola "complexo". All'esterno c'è solo un bar nel solito stile africano: una stanza di cemento senza nessun mobile, con un buco nel muro protetto da una grata. Da lì qualcuno fa passare le birre ai clienti che quando sono "troppo stanchi" possono cadere agevolmente a terra sul duro cemento. Chiediamo se c'è modo di dormire. Naturalmente si. Scegliamo la sistemazione con il bagno e la ventola. Vista la stanza e il numero di zanzare che ci abitano, il prezzo è irragionevole ma non c'è assolutamente nient'altro.
Ci accorgiamo di essere quasi arrivati perché ci troviamo impegolati in una coda di camion difficile da immaginare in un posto così desolato. Scopriamo presto che a provocarla è proprio il ponte: per passarlo si paga un pedaggio di un paio di dollari, e in più è in riparazione per cui si passa a senso unico alternato. Ci perdiamo un sacco di tempo e ci becchiamo un sacco di caldo, tanto da decidere di fermarci appena giunti in città, dall'altra parte del fiume. Troviamo subito qualche albergo, ma sono troppo cari o "fully booked". Beviamo qualche litro di acqua gelata e decidiamo di proseguire per Changara, 150 km più avanti, anche se non sappiamo se ci sarà da dormire. Il caldo è sempre insopportabile e il paesaggio di una noia mortale. Arriviamo a Changara che ormai sta per fare buio. La nostra attenzione è subito attratta da un alto muro su cui spicca la parola "complexo". All'esterno c'è solo un bar nel solito stile africano: una stanza di cemento senza nessun mobile, con un buco nel muro protetto da una grata. Da lì qualcuno fa passare le birre ai clienti che quando sono "troppo stanchi" possono cadere agevolmente a terra sul duro cemento. Chiediamo se c'è modo di dormire. Naturalmente si. Scegliamo la sistemazione con il bagno e la ventola. Vista la stanza e il numero di zanzare che ci abitano, il prezzo è irragionevole ma non c'è assolutamente nient'altro.
Chiediamo qualcosa da mangiare e, mentre lo preparano facciamo un giretto per il polveroso paesino, animato solo dai camion di passaggio. Passiamo la notte ad ammazzare le zanzare prima che ci mangino completamente e a farci un sacco di problemi con le statistiche sulla malaria.
La mattina, piuttosto mal ridotti, ci avviamo verso lo Zimbabwe. Dogana svelta ma costosa, visto, bond per l'occupazione delle strade e qualche altra tassucola, per un totale di circa 60 $. Paghiamo in dollari cercando, come al solito, di sbolognare la banconote più consunte, cosa molto difficile da queste parti, dove basta una macchiolina o un'emissione troppo "antica" (attenzione agli euro: quelli del 2002 li accettano con qualche difficoltà) per farseli rifiutare. Qui invece accettano di tutto. La cosa ci sorprende fino a quando scopriamo che in Zimbabwe hanno corso (non posso dire "legale") solo i dollari. Dopo un periodo in cui l'inflazione pare corresse al 1700% al mese, il governo di Mugabe ha deciso di dare circolazione solo ai dollari americani. La cosa non ha alcun fondamento legale e non c'è nessun accordo con gli Stati Uniti. Semplicemente sono stati immessi sul mercato un certo numero di dollari e da allora si paga con quelli. Questo ha portato ad alcune conseguenze. La prima è che non ci sono spiccioli e la spesa viene arrotondata con caramelle, leccalecca e lamette da barba. La seconda è che le poche banconote in circolazione hanno raggiunto uno stato di usura difficilmente immaginabile. Spesso per capirne il valore ( i dollari purtroppo hanno tutti lo stesso formato) occorre riconoscerli dal presidente (Lincoln o Washington).
Il paesaggio, per fortuna cambia subito, e cominciamo a salire uscendo dal calderone mozambicano. Ovunque spuntano enormi formazioni rocciose e la campagna è punteggiata di fattorie che dovevano essere ricche e rigogliose. Raggiungiamo Harare all'ora di pranzo e telefoniamo ai ragazzi del CESVI. Domani andremo a visitare il loro progetto, cento chilometri più a nord.
Siamo pronti a tutto.
www.1bike2people4aid.it
La mattina, piuttosto mal ridotti, ci avviamo verso lo Zimbabwe. Dogana svelta ma costosa, visto, bond per l'occupazione delle strade e qualche altra tassucola, per un totale di circa 60 $. Paghiamo in dollari cercando, come al solito, di sbolognare la banconote più consunte, cosa molto difficile da queste parti, dove basta una macchiolina o un'emissione troppo "antica" (attenzione agli euro: quelli del 2002 li accettano con qualche difficoltà) per farseli rifiutare. Qui invece accettano di tutto. La cosa ci sorprende fino a quando scopriamo che in Zimbabwe hanno corso (non posso dire "legale") solo i dollari. Dopo un periodo in cui l'inflazione pare corresse al 1700% al mese, il governo di Mugabe ha deciso di dare circolazione solo ai dollari americani. La cosa non ha alcun fondamento legale e non c'è nessun accordo con gli Stati Uniti. Semplicemente sono stati immessi sul mercato un certo numero di dollari e da allora si paga con quelli. Questo ha portato ad alcune conseguenze. La prima è che non ci sono spiccioli e la spesa viene arrotondata con caramelle, leccalecca e lamette da barba. La seconda è che le poche banconote in circolazione hanno raggiunto uno stato di usura difficilmente immaginabile. Spesso per capirne il valore ( i dollari purtroppo hanno tutti lo stesso formato) occorre riconoscerli dal presidente (Lincoln o Washington).
Il paesaggio, per fortuna cambia subito, e cominciamo a salire uscendo dal calderone mozambicano. Ovunque spuntano enormi formazioni rocciose e la campagna è punteggiata di fattorie che dovevano essere ricche e rigogliose. Raggiungiamo Harare all'ora di pranzo e telefoniamo ai ragazzi del CESVI. Domani andremo a visitare il loro progetto, cento chilometri più a nord.
Siamo pronti a tutto.
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