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Attualità
Mercato moto, l'analisi: l'invasione indiana e il declino dell'Europa
Marco Gentili
il 25/08/2017 in Attualità
Rassegnamoci, Europa e Stati Uniti conteranno sempre meno nel mercato mondiale delle moto. I protagonisti del futuro sono i grossi produttori indiani, che pezzo a pezzo mangeranno le nostre industrie delle due ruote. Anzi, lo stanno già facendo a ritmi voraci
Mercato moto, l'analisi: l'invasione indiana e il declino dell'Europa
Fino a 10-15 anni fa, i nomi Bajaj e TVS non dicevano nulla ai motociclisti europei o americani. L’India era un’idea lontana. E la Cina la nazione dove venivano prodotti motori dozzinali e scooter scadenti. Adesso però la geografia della moto racconta che il mondo è cambiato. I mercati europei e americani, quelli a cui sono destinati (e dove vengono pensati) i modelli premium, valgono pochi spiccioli.
Nel 2017, se le previsioni saranno rispettate, in Europa verranno venduti circa 1 milione e 300 mila tra moto e ciclomotori, a fronte di una popolazione di circa 740 milioni di persone. Vi sembrano tanti? Se avete il paraocchi e non guardate al di là dei confini, la risposta è sì.
Peccato che l’ago della bilancia punti a oriente. Dove l’India ha superato la Cina sia per popolazione, sia come mercato più ampio al mondo per le due ruote a motore. L’India, con un miliardo e 330 mila abitanti, è un mercato che vale 17 milioni e 590 mila pezzi all’anno. Certo, è un mercato di quantità, fatto in buona parte di ciclomotori e motocicli da 125 cc, ma è lì che girano i soldi. Ed è lì che ci sono i più grossi impianti industriali di produzione.
Non è quindi un caso che l’ombra lunga dell’industria indiana stia inesorabilmente oscurando l’industria europea. Bajaj è proprietaria del 48% di KTM e di recente ha iniziato un percorso che la porterà a crescere anche in Triumph. TVS, altro colosso-assemblatore, produce tutti i modelli di piccola cilindrata con marchio BMW. E Mahindra di recente ha rilevato il prestigioso ma decaduto marchio inglese BSA. Per non parlare poi dell’icona dell’industria americana, Harley-Davidson, che sta per inaugurare uno stabilimento in Thailandia.
Solo qualche retrogrado può pensare che si tratti di un processo reversibile. Da anni India e Cina – e a ruota i Paesi dei sudest asiatico - hanno sviluppato tecnologie e sistemi di produzione che non hanno nulla da invidiare a quelli occidentali. L’Europa e gli Stati Uniti sono e saranno sempre di più mercati marginali dal punto di vista numerico.
Certo, la qualità dei reparti R&D, la creatività, la cura del prodotto occidentale resterà a lungo insuperabile, ma sarà destinato a una produzione di alto livello e relativa a piccoli volumi.
Quale sarà dunque l’impatto dell’invasione indiana sul mercato della moto? Sul medio-lungo termine, la produzione delle aziende motociclistiche si dovrà adattare ai gusti dei mercati dominanti (quindi quelli asiatici), creando così una divaricazione tra il mercato di massa, orientato sulle basse cilindrate, e la nicchia premium che abbinerà estrema qualità, prezzi elevati e prestazioni di livello superiore. In questo campo i piccoli e medi produttori come Ducati o BMW potranno ancora giocare un ruolo da protagonisti. Ma si tratterà sempre d partite minori. I big match si giocheranno altrove.
Nel 2017, se le previsioni saranno rispettate, in Europa verranno venduti circa 1 milione e 300 mila tra moto e ciclomotori, a fronte di una popolazione di circa 740 milioni di persone. Vi sembrano tanti? Se avete il paraocchi e non guardate al di là dei confini, la risposta è sì.
Peccato che l’ago della bilancia punti a oriente. Dove l’India ha superato la Cina sia per popolazione, sia come mercato più ampio al mondo per le due ruote a motore. L’India, con un miliardo e 330 mila abitanti, è un mercato che vale 17 milioni e 590 mila pezzi all’anno. Certo, è un mercato di quantità, fatto in buona parte di ciclomotori e motocicli da 125 cc, ma è lì che girano i soldi. Ed è lì che ci sono i più grossi impianti industriali di produzione.
Non è quindi un caso che l’ombra lunga dell’industria indiana stia inesorabilmente oscurando l’industria europea. Bajaj è proprietaria del 48% di KTM e di recente ha iniziato un percorso che la porterà a crescere anche in Triumph. TVS, altro colosso-assemblatore, produce tutti i modelli di piccola cilindrata con marchio BMW. E Mahindra di recente ha rilevato il prestigioso ma decaduto marchio inglese BSA. Per non parlare poi dell’icona dell’industria americana, Harley-Davidson, che sta per inaugurare uno stabilimento in Thailandia.
Solo qualche retrogrado può pensare che si tratti di un processo reversibile. Da anni India e Cina – e a ruota i Paesi dei sudest asiatico - hanno sviluppato tecnologie e sistemi di produzione che non hanno nulla da invidiare a quelli occidentali. L’Europa e gli Stati Uniti sono e saranno sempre di più mercati marginali dal punto di vista numerico.
Certo, la qualità dei reparti R&D, la creatività, la cura del prodotto occidentale resterà a lungo insuperabile, ma sarà destinato a una produzione di alto livello e relativa a piccoli volumi.
Quale sarà dunque l’impatto dell’invasione indiana sul mercato della moto? Sul medio-lungo termine, la produzione delle aziende motociclistiche si dovrà adattare ai gusti dei mercati dominanti (quindi quelli asiatici), creando così una divaricazione tra il mercato di massa, orientato sulle basse cilindrate, e la nicchia premium che abbinerà estrema qualità, prezzi elevati e prestazioni di livello superiore. In questo campo i piccoli e medi produttori come Ducati o BMW potranno ancora giocare un ruolo da protagonisti. Ma si tratterà sempre d partite minori. I big match si giocheranno altrove.
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