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Yamaha XSR900, la prova
di Alessandro Codognesi
il 29/01/2016 in Anteprime
Dopo averla ammirata a EICMA 2015 è venuto il momento di provare la Yamaha XSR900, la nuova classica giapponese, dal look inconfondibile che richiama il passato ma sfrutta la moderna meccanica della MT09. Già in vendita in due versioni, base 9.790 euro e nell’affascinante 60° Anniversary a 10.090 euro chiavi in mano
Yamaha XSR900, la prova
Durante la conferenza stampa i soliti numeri della scheda tecnica vengono appena accennati. Suona un po’ strano, ma i termini più utilizzati sono heritage, custom, accessori e via così. È un segnale di quanto la Yamaha creda nella filosofia Faster Sons, nelle moto ispirate al passato ma con contenuti tecnologici moderni. La Yamaha XSR900 è la seconda proposta di questo filone, una nuda che, sotto vesti accattivanti ed evocative, nasconde una MT-09 sapientemente modificata.
La Yamaha XSR900 si ispira alla special realizzata dal californiano Roland Sands, la Faster Wasp. Una concept bike che sfruttando la meccanica del tre cilindri richiama nelle forme la Yamaha TZ750 da dirt-track guidata da Kenny Roberts negli Anni 70. Ma la Wasp è un prototipo non omologato per la circolazionen stradale, la XSR sì, nonostante sfoggi dettagli che sembrano artigianali (e in parte lo sono…).
Il motore è il collaudato 3 cilindri da 847 centimetri cubi crossplane, capace di 115 CV e 87,5 Nm (la potenza è invariata nonostante l’arrivo dell’Euro4) già visto sulla MT-09. Di serie c’è il TCS (Traction Control System) che equipaggia anche la Tracer: il sistema è privo di giroscopi, più semplicemente sfrutta i sensori dell’ABS per monitorare il livello di slittamento delle ruote. Anche i D-Mode, o mappature che dir si voglia, sono di serie: la A è la più aggressiva, poi c’è la STD (standard), quindi la B, più dolce. Sono state tutte ritoccate per migliorare la risposta all’acceleratore rispetto al passato (uno dei punti deboli delle MT). Le modifiche riguardano lo scarico, dal profilo diverso, e la frizione che, grazie a un sistema che utilizza molle più leggere, richiede uno sforzo inferiore del 20% per essere azionata. In più è dotata di antisaltellamento. Il telaio rimane una sorta di doppio trave in alluminio pressofuso, identico a quello della MT-09; anche il telaietto è immutato, già abbastanza sottile per poter customizzare il posteriore della XSR senza dover intervenire pesantemente. La forcella a steli rovesciati da 41 mm e il mono non sono cambiati, ma hanno tarature idrauliche specifiche e un diverso precarico al fine di ottenere sospensioni più sostenute.
Cambia molto invece la posizione di guida: la nuova sella, sagomata e a due livelli, è più alta di 15 mm (ora raggiunge gli 830 mm) e il busto dista 5 cm più lontano dal manubrio. Quest’ultimo è identico a quello della MT-09, tutto per avere una sensazione più naturale in sella. La strumentazione è minimal ma pur sempre LCD e completa di tutto. È tonda, al pari del faro (sorretto da due nuove piastrine di alluminio) che a guardarlo risulta molto evocativo e d’effetto. Tutte queste modifiche hanno portato ad un aggravio di peso di 4 kg in più rispetto alla sorella “09”: la bilancia si ferma infatti a 195 kg (in ordine di marcia con il pieno).
La Yamaha XSR 900 è già disponibile nelle concessionarie nelle colorazioni Garage Metal e Rock Slate. Rispetto al prezzo della versione base (9.590 euro), occorrono 300 euro in più per l’affascinante “60° Anniversary” nella bella livrea gialla e nera. Una quotazione che in entrambi i casi può salire facilmente se si pesca dal bacino degli accessori, profondo più che mai.
Il motore è il collaudato 3 cilindri da 847 centimetri cubi crossplane, capace di 115 CV e 87,5 Nm (la potenza è invariata nonostante l’arrivo dell’Euro4) già visto sulla MT-09. Di serie c’è il TCS (Traction Control System) che equipaggia anche la Tracer: il sistema è privo di giroscopi, più semplicemente sfrutta i sensori dell’ABS per monitorare il livello di slittamento delle ruote. Anche i D-Mode, o mappature che dir si voglia, sono di serie: la A è la più aggressiva, poi c’è la STD (standard), quindi la B, più dolce. Sono state tutte ritoccate per migliorare la risposta all’acceleratore rispetto al passato (uno dei punti deboli delle MT). Le modifiche riguardano lo scarico, dal profilo diverso, e la frizione che, grazie a un sistema che utilizza molle più leggere, richiede uno sforzo inferiore del 20% per essere azionata. In più è dotata di antisaltellamento. Il telaio rimane una sorta di doppio trave in alluminio pressofuso, identico a quello della MT-09; anche il telaietto è immutato, già abbastanza sottile per poter customizzare il posteriore della XSR senza dover intervenire pesantemente. La forcella a steli rovesciati da 41 mm e il mono non sono cambiati, ma hanno tarature idrauliche specifiche e un diverso precarico al fine di ottenere sospensioni più sostenute.
Cambia molto invece la posizione di guida: la nuova sella, sagomata e a due livelli, è più alta di 15 mm (ora raggiunge gli 830 mm) e il busto dista 5 cm più lontano dal manubrio. Quest’ultimo è identico a quello della MT-09, tutto per avere una sensazione più naturale in sella. La strumentazione è minimal ma pur sempre LCD e completa di tutto. È tonda, al pari del faro (sorretto da due nuove piastrine di alluminio) che a guardarlo risulta molto evocativo e d’effetto. Tutte queste modifiche hanno portato ad un aggravio di peso di 4 kg in più rispetto alla sorella “09”: la bilancia si ferma infatti a 195 kg (in ordine di marcia con il pieno).
La Yamaha XSR 900 è già disponibile nelle concessionarie nelle colorazioni Garage Metal e Rock Slate. Rispetto al prezzo della versione base (9.590 euro), occorrono 300 euro in più per l’affascinante “60° Anniversary” nella bella livrea gialla e nera. Una quotazione che in entrambi i casi può salire facilmente se si pesca dal bacino degli accessori, profondo più che mai.
Le immagini non le rendono giustizia. A guardarla da vicino la XSR900 è tempestata di dettagli preziosi: il serbatoio accuratamente sagomato, gli specchietti lucidi, la piccola ma luminosa strumentazione, non c’è un solo dado che la faccia apparire come una moto povera. La grafica “60° Anniversary”, poi, è proprio azzeccata. In sella l’impostazione è naturale: si sta un pelo più in alto ma anche più inseriti nella sagoma del veicolo, questo soprattutto grazie alla nuova sella. Una sensazione di controllo assoluto. In più, la posizione che si assume è talmente naturale che anche dopo molte ore di guida ci si sente freschi come una rosa. La protezione dall’aria è poca, d’accordo, ma qui poco importa.
I pochi comandi che regolano l’elettronica sono esattamente dove ci si aspetterebbe di trovarli: modificare i settaggi è questione di pochi secondi. E già nei primi metri di guida viene voglia di giocare: il peso è poco, l’impegno ridotto, la potenza distribuita dolcemente. È un mix che coinvolge immediatamente perché tutto sembra facile. La frizione è morbidissima (peccato non sia regolabile), il cambio preciso e dolce negli innesti, le vibrazioni assenti. In questo bel quadretto, solo la risposta del motore nei D-Mode A e STD rovina un po’ la festa perché è rimasta troppo decisa, soprattutto nella prima fase di apertura. E proprio come accade sulla MT-09, la mappa preferita è la B, che stempera sensibilmente l’effetto. Per il resto, il motore ha ben poco di heritage: non serve tirare le marce per divorare i rettilinei in pochi attimi. Può girare a bassi regimi senza fare il minimo rifiuto, basta poi ruotare il gas per avere subito una spinta regolare senza strattoni.
Si accelera in un crescendo costante e galvanizzante; non ci sono particolari picchi ma la coppia a disposizione è sempre molta ed è costante fino quando non si entra nella zona rossa. È la potenza ideale per divertirsi in strada, non troppa e squisitamente distribuita.
La ciclistica asseconda l’entusiasmo del tre cilindri. Pur se ritarate, le sospensioni offrono un temperamento più turistico che sportivo: quando si alza il ritmo i trasferimenti di carico in frenata e accelerazione si fanno sentire. Nonostante ciò la moto rimane fedele alla linea impostata, difficile sentirla allargare. Il TCS fa il suo utile lavoro quando si esagera, ma non è particolarmente delicato nell’intervento. Se poi si imposta la modalità più conservativa la sua presenza si fa… ingombrante.
Rapida nei cambi di direzione, ben frenata e aiutata da un ABS a punto, fa quasi sorridere se si pensa che fa l’occhiolino alle proposte old-style. Ha un look inconfondibile, certo, ma per il resto si guida anche meglio della sorella dall’animo dark. Per quel poco che costa in più, la scelta è quasi obbligata.
I pochi comandi che regolano l’elettronica sono esattamente dove ci si aspetterebbe di trovarli: modificare i settaggi è questione di pochi secondi. E già nei primi metri di guida viene voglia di giocare: il peso è poco, l’impegno ridotto, la potenza distribuita dolcemente. È un mix che coinvolge immediatamente perché tutto sembra facile. La frizione è morbidissima (peccato non sia regolabile), il cambio preciso e dolce negli innesti, le vibrazioni assenti. In questo bel quadretto, solo la risposta del motore nei D-Mode A e STD rovina un po’ la festa perché è rimasta troppo decisa, soprattutto nella prima fase di apertura. E proprio come accade sulla MT-09, la mappa preferita è la B, che stempera sensibilmente l’effetto. Per il resto, il motore ha ben poco di heritage: non serve tirare le marce per divorare i rettilinei in pochi attimi. Può girare a bassi regimi senza fare il minimo rifiuto, basta poi ruotare il gas per avere subito una spinta regolare senza strattoni.
Si accelera in un crescendo costante e galvanizzante; non ci sono particolari picchi ma la coppia a disposizione è sempre molta ed è costante fino quando non si entra nella zona rossa. È la potenza ideale per divertirsi in strada, non troppa e squisitamente distribuita.
La ciclistica asseconda l’entusiasmo del tre cilindri. Pur se ritarate, le sospensioni offrono un temperamento più turistico che sportivo: quando si alza il ritmo i trasferimenti di carico in frenata e accelerazione si fanno sentire. Nonostante ciò la moto rimane fedele alla linea impostata, difficile sentirla allargare. Il TCS fa il suo utile lavoro quando si esagera, ma non è particolarmente delicato nell’intervento. Se poi si imposta la modalità più conservativa la sua presenza si fa… ingombrante.
Rapida nei cambi di direzione, ben frenata e aiutata da un ABS a punto, fa quasi sorridere se si pensa che fa l’occhiolino alle proposte old-style. Ha un look inconfondibile, certo, ma per il resto si guida anche meglio della sorella dall’animo dark. Per quel poco che costa in più, la scelta è quasi obbligata.
Yamaha XSR900, la prova
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