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La forza e il fascino delle (MOTO) italiane

Federico  Garbin
Federico Garbin il 19/03/2024 in Moto & Scooter
La forza e il fascino delle (MOTO) italiane
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Gli anni sessanta, settanta e ottanta hanno decimato le Case motociclistiche italiane. Oggi, tuttavia, qualche nome storico sta tornando a far parlare di sé. E se fosse la volta buona?

Prendete in mano il nostro listino. Leggete bene tutti i nomi delle Case: le italiane si possono contare sulle dita di una mano. Eppure, fino agli Anni 60 l’industria motociclistica nostrana era una delle più fervide nel panorama mondiale.

Cosa è successo?

Cosa è successo? Negli anni della ricostruzione c’era fame di moto, di veicoli leggeri ed economici per muoversi, andare a lavoro, riprendersi un po’ di libertà. E molte industrie meccaniche si sono convertite alla produzione di motoleggere, magari unendo semplici telai a motori ausiliari o sviluppando piccoli monocilindrici a due tempi e quattro tempi. Con gli Anni 70 il declino dell’industria motociclistica italiana si è fatto endemico: moltissimi produttori sono scomparsi, altri hanno dovuto rivedere completamente la produzione adattandosi ad un mercato che stava cambiando, molto rapidamente.

La trasformazione

La motocicletta si è velocemente trasformata da mezzo utilitaristico a passione: le automobili utilitarie e gli scooter hanno preso il posto delle motoleggere, facendole di fatto scomparire. Le moto sono cresciute in cilindrate, in dotazioni, in prestazioni. In tecnica. E sono arrivati i costruttori giapponesi a mostrare che tutti (o quasi) avrebbero potuto disporre di un motore a quattro cilindri in linea. Cosa che prima di allora era ad esclusivo appannaggio di Agostini, Surtees, Hailwood, Pasolini e compagnia bella.

Qualcuno ce l’ha fatta a resistere al quadrangolare attacco nipponico, non senza zoppicare. È il caso di Ducati e di Moto Guzzi, soprattutto. Molti, i più, hanno mollato il colpo, con una parabola discendente non priva di sofferenza. Marchi come Aermacchi, Laverda, Benelli, Gilera sono pressoché scomparsi, chi quasi subito, chi resistendo fino agli anni 90, focalizzandosi sulle piccole cilindrate. A farne le spese non sono state solo le Case nostrane ma anche quelle inglesi che, fino agli Anni 60, dettavano legge, anche nelle storie da bar. Perché erano belle e andavano veloci. E perdevano olio, vero. Ma era segno che qualcosa di untuoso nel carter c’era.

Il ritorno

Gli ultimi trent’anni del motociclismo italiano sono storia nota ai più. Passaggi di consegna, roboanti fallimenti, risurrezioni più o meno riuscite, mecenati stranieri, fondi di investimento e via discorrendo.  Incredibilmente anche in questi ultimi anni di profonda crisi economica e imprenditoriale, con piglio donchisciottesco, qualcuno si è fatto avanti nel riproporre nomi altisonanti che appartengono a tempi più o meno remoti: è il caso di Fantic, di Mondial, di Moto Morini, Italjet... è una lotta dura, la loro. Costi di produzione, concorrenza e vincoli omologativi rendono dura la vita anche del più coriaceo (e appassionato) imprenditore.

E altro che lottare contro i mulini a vento…

Io, a tutto questo, voglio crederci.  Anche perché sono stufo di vedere sempre le stesse moto in giro: lo penso tutte le volte che mi trovo a scorrazzare con le mie borbottanti vecchiette. Per la cronaca: si tratta di una Cagiva e di una Gilera.

Ecco una raccolta con quelle moto italiane che hanno lasciato il segno e quelli che hanno segnato il ritorno di alcuni storici marchi

Quelle (moto) italiane indimenticabili
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